Gli esiti del primo turno elettorale dei 117 comuni chiamati al voto il trascorso 25-26 scorso hanno dato prova dell’esordio di una nuova tipologia del consenso politico locale. Quello fondato sulle pretese reali della nazione municipale di corrispondente riferimento.
Al di là di Genova, che ha rappresentato un evento a sé anche legato ai trascorsi regionali, di Ravenna e di Trento, ove i sindaci di capoluoghi hanno già indossato la fascia tricolore, si è verificata una caduta verticale della tradizionale raccolta di voti dei partiti e delle consuete alleanze.
Il resto è rinviato all’8 e il 9 giugno prossimo. Sarà però una sfida più anomala del solito, come del resto è già stata al primo turno in alcune importanti città, con un centrosinistra e un centrodestra in contesa con formazioni politiche, a volte, finanche contraddittorie e alcune volte con strani insiemi, in cui emergevano acronimi del passato, Udc in testa.
Ciò è accaduto a Taranto, con Lega e Udc uniti andati in finale, oramai pronta a disputarsi l’8 e il 9 prossimo venturo la gara per il sindaco. A proposito di Taranto, la competizione è stata tuttavia la prova della perduranza della solita melina del passato: una campagna elettorale che è sembrata essersi distinta come se fossero in contesa ragionieri del dolore piuttosto che latori di un progetto del rinascimento del suo ambiente, mortificato sino all’estrema ratio, sino ad oggi generativo di morti innocenti.
Al di là dei primati mancati delle solite coalizioni politiche, sono venuti fuori due fenomeni a) il superamento dei partiti e la sconfitta dei gruppi impropri e trasversali; b) la ri-codificazione del ruolo di Sindaco, dimostrativa di una lezione per il Paese che pretende impegno nella sanità, nella tutela delle quotidianità degli anziani, nella gestione immacolata dei bilanci, nella politica della casa e dell’incentivazione delle nascite.
Con tutto questo è emersa una domanda sociale nuova, quella di pretendere sindaci di nuova specie, che eseguano attivamente e puntualmente le leggi e, con questo, che non trascurino i doveri istituzionali.
Per un impegno in tale senso e per la premialità sociale conseguente, occorrerebbe approfondire cosa è accaduto a Rende. Una città esempio nel Mezzogiorno, prevalentemente universitaria e dell’avanguardia urbanistica, ove le coalizioni di governo e opposizione nazionali hanno perso entrambe, perché impegnate a combattere un sindaco dimostratosi un neo-riformista attivo, che ha conquistato il 60% dei consensi. Ciò perché obbligatosi con l’elettorato a lottare per una sanità meritevole, per l’assistenza ai deboli e ai diversamente giovani, per una politica della casa convenzionata, per la riabilitazione dei bilanci e per l’incentivazione delle nascite.
Da qui, il nuovo Sindaco che occorre alla Nazione e al Paese, quello del riscatto delle autonomie territoriali e non solo. Un primo cittadino meno cerimonialista e più combattente, più samurai con l’intento di vincere la guerra di riportare il prodotto sociosanitario (Lea) efficiente nelle case, pretendendolo attraverso le Conferenze di sindaci messe in disuso incoscientemente, senza che i partiti se ne avvedessero si veda NT+ Enti Locali & Edilizia del 20 maggio scorso). Meglio, lasciate deserte rendendo facile la strada ai manager delle aziende sanitare di prevaricare la tutela della salute. Più attento alle politiche delle nuove famiglie e delle nuove e vecchie povertà.
Alla Nazione, principalmente a quella meridionale, occorrono primi cittadini autori di giustizia sociale, assicurata da Sindaci con la manipola in mano, atti a costruire un nuovo modello di governo locale. Tutto questo metterà fine al vecchio concepimento di considerare la sindacatura come primo gradino del professionismo politico, come un ruolo da esercitarsi come terminali della raccolta del consenso dei poteri consolidati, di chi fa bene a se stesso ma molto male agli altri.
Ettore Jorio