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Toscana. L’Anaao risponde a Rossi

Dopo le puntualizzazioni del presidente della Regione, il segretario aziendale dell’Anaao Gerardo Anastasio ribatte: “Una riorganizzazione dei servizi sanitari in funzione della riduzione dei costi dei fattori produttivi, medici e infermieri compresi, provoca più danni che benefici”

25 FEB - Caro Presidente,
La ringrazio per aver ascoltato il nostro grido di dolore e per la professione di fede – da noi condivisa – sulla Sanità Pubblica: la sua disponibilità le fa onore e su queste solide basi si potrà certamente sviluppare un confronto leale e sereno tra Professioni e Governo Regionale, al fine di preservare in questi tempi così bui il nostro prezioso sistema sanitario.
 
Detto questo, e in attesa delle risposte dell’Assessore, è doveroso entrare nel merito di alcune questioni.
 
Per quanto attiene l’entità dei tagli imposti dal Governo e da Lei previsti per l’ammontare di circa 250/350 milioni per quest’anno, occorre tenere conto che il 2014 si è chiuso per la Regione Toscana in avanzo (lieve) di bilancio. Pur tenendo conto della rinuncia all’incremento previsto per il 2015 e considerando incerte le previsioni d’incremento del Fondo Sanitario Nazionale (per il 2016 in 115,444 e per il 2017  vicino  a 122 miliardi di €), conviene dissestare la governance del sistema in una rincorsa al gigantismo istituzionale - di dubbia efficacia pratica, date le esperienze negative di altre regioni - addirittura prevedendo l’esubero di 1.500 tra medici, dirigenti sanitari e infermieri, sottratti al  SSR per almeno 2 anni ? Non converrebbe invece concentrarsi su interventi specifici e puntare su un nuovo Patto con i Professionisti, che recluti le loro intelligenze e competenze anche ai fini del contenimento dei costi?
 
Ad esempio: sono proprio necessarie 2 neurochirurgie, 2 cardiochirurgie e 5 laboratori di emodinamica nell’area vasta nord-ovest, distanti pochi chilometri le une dalle altre e con un bacino di utenza di 1.2 milioni di abitanti?  Si può parlare della Fondazione Monasterio e del collegato Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, assurto agli onori della cronaca in questi giorni per un buco che potrebbe raggiungere i 10 milioni di euro causato per sua esplicita ammissione dal responsabile dell’ufficio progetti di ricerca che assunto come custode, ha fatto carriera interna certificando falsamente di avere una laurea e che risulta per giunta affetto da gravi e certificati disturbi psichici? (http://www.lanazione.it/pisa/buco-ifc-cnr-borbotti-responsabile-1.694117). E che dire del mancato sviluppo della cardiochirurgia pediatrica al Meyer, mantenendone una a quasi 100 chilometri di distanza con tutte le problematiche di rischio clinico connesse? Non esiste in tutta Europa un centro pediatrico di alto livello che  sia privo di una cardiochirurgia. Non è il caso poi di rivedere secondo logiche di volumi di attività ed esiti l’intera rete dei trapianti? E infine perché non chiudere i punti nascita con meno di 500 parti - come previsto dalla delibera regionale 1235 del 2012 - potenziando nelle sedi rimanenti la neonatologia?
Queste osservazioni non derivano dalla difesa di interessi di gruppi di potere ma dall’analisi di chi vorrebbe un sistema equo, efficiente e senza sprechi.
 
I “troppi primari”. Le ricordo che nell’agosto scorso le OO.SS. della dirigenza medica e sanitaria e l’Assessorato hanno siglato un accordo -  recepito con delibera di giunta - che al riguardo definisce gli impegni economici regionali, stabilisce princìpi e definisce standard nel numero di strutture complesse in rapporto alla dotazione di posti letto (1 direttore ogni 17,5 p.l.): tali criteri sono ripresi da leggi e norme nazionali, recentemente ribadite nel regolamento sugli standard ospedalieri.
Perché non viene applicato?
Negli ospedali delle aziende territoriali siamo al di sotto di questo standard: l’eccesso si ha nelle aziende ospedaliero-universitarie, per i motivi da Lei giustamente richiamati, dove - tra l’altro - il costo assistenziale delle carriere è a carico del bilancio aziendale, e quindi del Fondo Sanitario Regionale e non dei fondi contrattuali, come accade per le corrispondenti figure ospedaliere.
Nella realtà dove lavoro, con una dotazione organica costituita per l’80% da medici ospedalieri e solo per il 20% da universitari (che dovrebbero dedicarsi anche alla didattica e alla ricerca, per cui tale percentuale ai fini assistenziali è di fatto ulteriormente ridotta), la possibilità per un medico ospedaliero di dirigere un’unità operativa complessa (vincendo un concorso pubblico, a differenza degli universitari per i quali basta una semplice delibera del Direttore Generale d’intesa col rettore, spesso a prescindere da una valutazione del curriculum professionale) o un dipartimento è inferiore al 6%, mentre raggiunge per i  colleghi accademici quasi il 37%: il numero e la tipologia delle strutture sono peraltro declinate nello statuto delle aziende miste, atto soggetto a valutazione regionale e oggetto di approvazione mediante delibera.
Concordo quindi con lei che ce n’è per tutti, ma qualcuno ha già dato tanto e sarebbe giusto chiedere ora a chi ha dato di meno.
La bella notizia di cui la ringrazio e come cittadino toscano mi rallegro, è che il DIPINT nel 2015 non verrà finalmente rifinanziato.
Mi auguro solo che quello che esce dalla porta non rientri dalla finestra.
 
Solo un accenno infine al personale infermieristico. Personalmente non ritengo opportuno che gli infermieri possano essere sostituiti dagli operatori socio sanitari nelle loro funzioni: seppur più giovani e motivati, non penso che questo basti per supplire alla mancanza di esperienza e di specifiche competenze che vengono acquisite peraltro attraverso un ben definito percorso formativo che si conclude con un diploma di laurea.
 
Purtroppo, e amaramente, penso che sia un altro capitolo dello svilimento del valore del lavoro dell’uomo che oramai è diventato una costante dell’odierno contesto socio-politico.
 
Una riorganizzazione dei servizi sanitari in funzione della riduzione dei costi dei fattori produttivi, medici e infermieri compresi, provoca più danni che benefici. Qualunque modello organizzativo deve recuperare il valore del lavoro, delle competenze professionali e della vocazione all’assistenza che fanno la differenza tra la vita e la morte, tra la salute e la malattia, se si vuole realmente continuare a mantenere il diritto dei cittadini alla salute ed alla sicurezza delle cure attraverso le competenze di chi è chiamato a garantirne la esigibilità.
 
Cordialmente
 
Gerardo Anastasio
Segretario Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana
Componente della Direzione Nazionale ANAAO-Assomed

25 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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