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Censis. Sanità peggiorata per il 29% degli italiani


L’accentuarsi delle differenze regionali (35,2%) e l’interferenza della politica sulla qualità della sanità (35%) sono le paure maggiori dei cittadini. I dati al centro della Tavola rotonda promossa oggi dall’Associazione parlamentare per la tutle del diritto alla prevenzione e da AboutPharma.

22 MAR - Gli italiani sono preoccupati per loro salute. E lo sono sempre di più. Emerge chiaramente dal capitolo Welfare e Salute del 45° Rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis, sui cui risultati si sono confrontati oggi politici ed esperti del settore riuniti al Senato per la Tavola Rotonda promossa dall’Associazione Parlamentare per la Tutela e la Promozione del Diritto alla Prevenzione e da AboutPharma.

Il tema delle risorse rappresenta chiaramente uno degli snodi nevralgici della questione, ed il rischio più rilevante è che l’unica direttrice degli interventi di riforma sia quella della razionalizzazione economica che non necessariamente porta ad una ottimizzazione del sistema. Oggi, in sanità è ancora evidente il divario di performance regionali, tanto che nelle Regioni del Mezzogiorno è più alta la percentuale di cittadini che parla di un peggioramento negli ultimi due anni: sono sempre più le persone che valutano come inadeguati gli ospedali, i laboratori di analisi, i medici specialisti e gli uffici delle Asl. L’accentuarsi delle differenziazioni regionali (35,2%) e l’interferenza della politica sulla qualità della sanità (35%) sono le paure maggiori dei cittadini per il futuro della loro salute.

“Bisogna dare risposta alle attese della gente, cercare dove possibile di venire incontro alle loro richieste che sono per noi tutti molto importanti, ma per poter far questo sarà indispensabile, che già da ora, le cose comincino a cambiare”, ha affermato il senatore Antonio Tomassini, Presidente XII Commissione Igiene e Sanità del Senato e Presidente dell’Associazione Parlamentare per la Tutela e la Promozione del Diritto alla Prevenzione intervenendo alla tavola rotonda. “Le dinamiche del Servizio sanitario regionale – ha aggiunto - dovranno garantire fattivamente entrambe le esigenze della popolazione: sostenibilità finanziaria e a tutti i cittadini, di qualunque Regione essi siano, la migliore qualità possibile”.


Tra i risultati evidenziati emerge come le donne dichiarino condizioni di salute buone in quote sistematicamente inferiori rispetto ai maschi, anche perché oberate dal lavoro di cura e di assistenza: le caregiver, specie nei casi più gravi di non autosufficienza, sono soprattutto donne che molto spesso assumono il carico assistenziale da sole, pagando talvolta con problemi psicologici e di salute. “Sulla condizione di salute al femminile – ha messo in luce Concetta Maria Vaccaro, responsabile del Welfare e Salute del Censis - pesano ancora situazioni strutturali di diseguaglianza sociale, come gli alti tassi di disoccupazione e i bassi livelli di reddito e le donne subiscono anche il contraccolpo della squilibrata distribuzione del lavoro di cura in termini di rischio psico-sociale e sanitario. Le casalinghe sono, subito dopo i ritirati dal lavoro (più anziani), la componente della popolazione che denuncia condizioni di salute peggiori. E nelle giovani donne incidono anche stili di vita più rischiosi, quali fumo e alcool, o la minore attività fisica”.

Nel corso dell’incontro si è anche dibattuto sul fatto che negli ultimi anni i redditi da pensione hanno fornito un contributo importante alle finanze di figli e nipoti alle prese con la crisi economica attuale. Questa forma di solidarietà intergenerazionale è però destinata a conoscere una brusca frenata nei prossimi anni: le pensioni erogate dal sistema obbligatorio pubblico saranno più basse di quelle attuali e, soprattutto, sarà indispensabile rimanere più a lungo nel mondo del lavoro per maturarne il diritto. “Tutta la popolazione – ha commentato Vaccaro - sembra però sostanzialmente inconsapevole di quello che sarà il livello reale di copertura garantito dal sistema pubblico, e anche per questo si registrano bassi livelli di adesione alla previdenza integrativa ed anche una scarsa propensione a farlo nel futuro. Nello stesso tempo i lavoratori più giovani e gli autonomi, quelli più colpiti dall’instabilità lavorativa attuale, hanno percorsi contributivi più deboli ma nella maggior parte dei casi non possono permettersi di sottoscrivere strumenti integrativi. Insomma – ha concludo Vaccaro -, l’equilibrio nei conti della previdenza pubblica non ci salverà dalla caduta del reddito degli anziani di domani, che con ogni probabilità dovranno fronteggiare i loro bisogni sanitari e assistenziali senza neanche poter contare sull’autogestione familiare”.
 

22 marzo 2012
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