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Esclusiva. De Biasi (PD): “Basta tagli alla sanità. No alla sperimentazione stamina. Se ddl Lorenzin non marcia stralciamo riforma Ordini”

di C.F.

Parla la presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato. “La sanità ha già dato. Altri tagli impossibili”. “Dicuteremo di Stamina ma la sperimentazione non penso si farà”. “La riforma degli ordini non può aspettare. Se ddl governo ritarda meglio tornare al testo unico”. Sulla 194: “La posizione di Lorenzin sull’obiezione non convince”. E Berlusconi?: “Deve decadere”

18 SET - “Basta con i tagli”. Non usa mezzi termini il presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato, Emilia Grazia De Biasi del PD. “La sanità ha già dato e altri tagli non sarebbero sostenibili”. Ma è certo che qualcosa va rivisto. A partire dal “chi fa che cosa” tra Stato e Regioni. “La riforma del titolo V è rimasta purtroppo a metà – ci ha detto in questa intervista esclusiva – creando una situazione nella quale è venuto a mancare quel ruolo fondamentale di regia nazionale che non può che spettare al Governo, ma anche al Parlamento”.
 
Con questa premessa la nostra conversazione non poteva che partire da qui. Dal tema della sostenibilità del Ssn, oggetto di una serie di audizioni in Commissione. “Ma non parliamo solo di economia – sottolinea De Biasi – ci interessa anche e soprattutto la tenuta del sistema e il recupero di quella capacità di indirizzo nazionale che abbiamo smarrito”.
 
Ma si è parlato anche d’altro. Di legge 194: “Non sono d’accordo con le conclusioni del ministro Lorenzin. Il problema dell’obiezione di coscienza esiste. Eccome”. Di metodo stamina: “Dopo la bocciatura del Comitato scientifico penso che la sperimentazione non si debba fare per non alimentare illusioni. E siamo in tanti a pensarla così in Commissione”. E di riforma degli Ordini: “Se non ci sarà una corsia preferenziale per il ddl Lorenzin, proporremo lo stralcio della parte riguardante gli ordini sanitari tornando al testo unico parlamentare. Perché quella riforma va fatta subito”.
 
Presidente De Biasi mentre siete impegnati nelle vostre audizioni, le Regioni e il Governo stentano a trovare l’accordo sul nuovo Patto per la Salute. Il motivo è sempre lo stesso da mesi: manca certezza sulle risorse.
Non c’è dubbio, lo stallo è sui soldi. E su questo dobbiamo essere chiari: dalla nuova spending review, di cui a breve dovremmo sapere qualcosa da parte del Governo, non dovranno pervenire nuovi tagli al settore sanitario.
 
Nemmeno in nome della lotta agli sprechi?
No. Mi spiego. La lotta agli sprechi si fa con una attenta revisione di bilancio andando a verificare le modalità di spesa laddove i trend presentano indici fuori norma. Ma questo non vuol dire tagliare a priori e in modo lineare come è stato fatto fino ad oggi. I budget delle Asl e degli ospedali non devono essere toccati. Il sistema non può più reggere ulteriori tagli. Su questo non ho dubbi. Nello stesso tempo vanno messe nero su bianco le coperture economiche per il mancato (e ne sono contenta, anche se sul ticket occorrerà ragionare per una completa revisione del sistema di compartecipazione) inserimento dei nuovi ticket a partire dal 2014. Si tratta di 2 miliardi che non possono essere in ogni caso sottratti al Ssn. E il Governo deve dire come farà. Ma la nostra indagine non punta solo all’aspetto economico.
 
Cioè?
Siamo di fronte a due ambiti della sostenibilità del Ssn. Quello economico per l’appunto. Ma poi c’è quello istituzionale. Con la riforma della Costituzione abbiamo, senza volerlo, introdotto de facto 21 centralismi regionali. E’ andata smarrita, o meglio non l’abbiamo mai vista all’opera, quella sinergia tra Stato e Regioni nella gestione della sanità che era nelle intenzioni del legislatore quando decise di modificare il titolo V attribuendo alle Regioni la responsabilità della gestione della sanità e riservando allo Stato il ruolo di indirizzo e controllo a garanzia dell’uniformità dei livelli di assistenza. La sanità pubblica e l’universalismo, che è il cardine sul quale poggia il nostro sistema sanitario, rischiano seriamente di essere messi in ginocchio da questa forbice drammatica che vede, da un lato, una contrazione progressiva delle risorse e, dall’altro, l’incapacità dello Stato di mantenere uniformità nell’accesso e nella qualità delle cure in tutto il Paese. Se non fermiamo questa spirale nella quale siamo avvitati da un decennio, il rischio di una deriva assicurativa di impronta privata per la sanità si fa molto evidente.
 
Quasi a confermare quanto sta dicendo, sono ormai molte le voci, non soltanto dal mondo liberal, che sostengono che “questa sanità per tutti non possiamo più permettercela”. E’ così?
Premesso che non credo al modello americano, va chiarito che c’è una differenza tra uguaglianza e pari opportunità. Nel senso che chi ha di meno deve dare di meno e chi ha di più deve dare di più. Sembra logico e infatti il nostro sistema si base sulla progressione del contributo fiscale in base al reddito. Ma, soprattutto in sanità, questo sta venendo meno. Basti pensare ai ticket, che comportano aggravi tali per chi ha un reddito anche medio da mettere a rischio la stessa possibilità di accedere alle prestazioni. E oggi, con questa crisi, il fenomeno sta dilagando, come testimoniano moltissimi studi e analisi. Quindi il punto non è che non ci possiamo più permettere questa sanità. Il punto è che occorrono nuove politiche che garantiscano il pieno rispetto di quel concetto base che ho richiamato: chi ha di più deve dare di più per garantire il diritto alla salute che resta un diritto non negoziabile e che deve essere garantito in primis dal pubblico.
 
Ma torniamo al Patto per la Salute. Se lo stallo perdura a suo avviso il Parlamento può fare qualcosa?
Devo premetterle che sono una federalista convinta. E del federalismo rivendico tuttora quella mission originaria volta ad avvicinare servizi e risposte assistenziali ai bisogni delle popolazioni. E la sanità è senz’altro il campo principale ove esercitare tale dinamica. Per questo sono contraria a ipotesi, che sono pure circolate, di un ritorno alla centralità dello Stato. Ma il braccio di ferro tra Governo e Regioni sul Patto non sta producendo nulla. Il Parlamento non può restare a guardare lo sfascio. Deve recuperare quella funzione di cerniera, ponendosi in qualche modo esso stesso come garante del diritto alla salute, sia nei confronti delle Regioni ma anche del Governo. Vincolandolo con gli strumenti in suo possesso al rispetto di quanto, ad esempio, votato dal Parlamento in materia sanitaria. A partire dai Lea.
 
Si spieghi.
E’ solo un esempio ma calza nel nostro ragionamento. L’ex ministro Balduzzi aveva previsto che nei nuovi Lea (tra l’altro ancora non emanati nonostante il termine di legge era fissato al 31 dicembre 2012) vi fossero anche le prestazioni per il contrasto della dipendenza patologica da gioco. Una patologia ancora poco studiata e complessa. Con dinamiche assolutamente nuove nel suo manifestarsi. E’ pensabile che le Regioni amministrino ognuna per conto proprio una risposta del genere? Spetta al ministero della Salute indicare livelli e ambiti dell’intervento. E questo vale più in generale per tutta quell’area ai confini tra sanitario e sociale, parlo delle dipendenze ma anche dell’assistenza per i disturbi mentali, che in questi ultimi anni si sta di fatto dissolvendo. Con risposte assistenziali difformi tra una realtà e l’altra o addirittura con servizi ormai pressoché azzerati o in altri casi totalmente medicalizzati, come nel caso del disagio mentale o, al contrario, totalmente socializzati, come è avvenuto per molti Sert. Il dramma di tutto ciò è che stiamo smarrendo una cultura e una prassi verso queste aree delicatissime del disagio sociale dove, invece, siamo stati addirittura all’avanguardia per molto tempo, con modalità di intervento che hanno fatto scuola nel mondo. E, sempre in questo ambito, non dimentichiamo il caso degli Opg per i quali un’ulteriore proroga della chiusura sarebbe inaccettabile.
 
Non pensa che tutto ciò sia in qualche modo collegato con il generale disinteresse verso la sanità da parte delle istituzioni di governo ma anche da parte della politica in generale?
Sì. Non c’è dubbio. La sanità è ormai vista esclusivamente come un grande comparto di spesa pubblica. Da contenere per l’equilibrio dei conti. Senza considerarne le enormi potenzialità di sviluppo per la stessa economia del Paese, a partire dagli investimenti e dalla ricerca. E’ mancata la comprensione  del cambiamento, ormai radicato nel mondo, conseguente al passaggio dal concetto di sanità a quello di salute. Intesa come “salute in tutte le politiche”. E non è un concetto astratto. Al contrario, si tratta di riplasmare l’approccio sociale, economico e finanziario di un Paese, in un’ottica dove il benessere a 360 gradi del cittadino diventa l’obiettivo principale di ogni amministrazione. Fossi il ministro della Salute, la prima cosa su cui mi impegnerei, insieme ai colleghi dell’Università e dello Sviluppo Economico, sarebbe quella di varare un grande piano per la ricerca per diventare leader in un settore come quello bio medico, dove abbiamo tutte le potenzialità per diventarlo, dando il via ad una nuova politica di investimenti e di incentivi nei confronti delle imprese (perché il privato investe solo se il pubblico investe) e delle università.
 
Cambiamo argomento. Dal 2009 medici e sanitari, pubblici e convenzionati, hanno il contratto bloccato fino a tutto il 2014. Nonostante abbiano fatto uno sciopero nazionale, da parte della politica c’è stata un sostanziale indifferenza.
E’ vero. E penso che ciò derivi soprattutto da due cause. La prima è che questa crisi ha fatto emergere tante di quelle realtà in sofferenza che lascia anche la politica quasi attonita rispetto a un’impresa immane come sarebbe quella di dare a tutti una risposta risolutiva e immediata. Ma poi c’è un’altra ragione che invece ci deve far riflettere molto. Lo sa che in occasione dello sciopero da lei citato non ho ricevuto alcuna richiesta di audizione da parte dei sindacati? Questo mi ha dato una conferma ulteriore della sfiducia nei confronti del Parlamento. Anche da settori che tradizionalmente hanno sempre operato per mantenere un rapporto stretto col legislatore. C’è un po’ l’idea che il Parlamento non possa fare nulla. Non c’è dubbio che ciò sia anche una conseguenza di anni in cui le Camere sono state di fatto esautorate dalla scelta di andare avanti quasi esclusivamente con decreti legge e fiducie. Ma certo dobbiamo invertire la rotta. E in questo caso siamo assolutamente pronti a sentire le ragioni dei sanitari e valutare cosa e come fare per superare un blocco che, mi rendo conto, può essere anch’esso un fattore di grave rischio per la tenuta del sistema.
 
Di professioni sanitarie e in particolare dei loro Ordini si parla nel ddl Lorenzin. Il cosiddetto “omnibus” che comprende anche norme sulla sperimentazione clinica e molte altre cose. L’avete già valutato?
No, anche perché non ci è ancora pervenuto il testo ufficiale. E questo, devo dire, mi sembra strano essendo stato varato dal Consiglio dei ministri a fine luglio. In ogni caso ciò che mi lascia perplessa, al di là del merito, è la sua estensione. Quella caratteristica omnibus da lei richiamata, con materie molto diverse e complesse da affrontare tutte insieme. Penso che, a meno che non vi sia una corsia preferenziale per esaminarlo, si dovrebbe valutare un suo riassemblamento, scorporando proprio quella parte degli Ordini professionali dove la nostra Commissione ha già lavorato alacremente arrivando quasi alla definizione di un testo unico frutto della collaborazione bipartisan e basato su ben 4 ddl presentati da diversi esponenti della stessa Commissione. Su questo penso sia serio fare chiarezza quanto prima. La riforma degli Ordini sanitari aspetta da anni ed ora che abbiamo trovato consenso e uniformità di vedute in Parlamento non vorrei che, paradossalmente, fosse proprio la buona volontà del ministro Lorenzin a far inceppare, involontariamente, la macchina parlamentare. Quindi o si esamina subito il ddl del Governo (e il fatto di non avere ancora il testo, certo non aiuta) oppure la Commissione chiederà lo stralcio delle norme sugli ordini per tornare a lavorare al testo unico parlamentare, comprendendovi ovviamente anche il dettato governativo.
 
A proposito di ordini come sta vivendo la presenza in Commissione di tanti presidenti di ordine. Non teme il conflitto di interessi?
Nessun problema fino a questo momento. Anche perché li faccio lavorare su altro!
 
Ma sono loro i primi firmatari dei ddl parlamentari?
Sì, ma la relatrice sono io.
 
Pochi giorni fa il ministro Lorenzin ha consegnato alle Camera la Relazione sulla legge 194. Un appuntamento atteso soprattutto per i dati sull’obiezione di coscienza. Per il ministro però il problema va ridimensionato perché se è vero che il fenomeno è in aumento, gli aborti diminuiscono tanto da rendere ancora “congruo” il numero dei non obiettori. E’ d’accordo?
No. E’ una risposta elusiva rispetto a quanto accade realmente e mi riferisco alla nuova emergenza dell’aborto clandestino. Che si sta diffondendo soprattutto tra le donne straniere. Dobbiamo capire se ciò avviene perché le donne hanno difficoltà a rivolgersi a una struttura dove si sa già che i medici sono tutti obiettori. E poi perché il diritto all’obiezione di coscienza deve contemperare l’altro diritto, quello previsto dalla legge 194, ad una decisione responsabile della donna sulla maternità. E poi vorrei capire anche quanto sono diffusi quei comportamenti di dissuasione nei colloqui da parte di associazioni e movimenti che albergano in molti ospedali. E poi vorrei capire come si può lasciar correre su situazioni dove si sa che l’obiezione è al 100%. Magari nella stessa Regione. Insomma la risposta del ministro non ci ha convinto e glielo diremo.
 
Bene. Ma cosa si può fare?
C’è una sola via da percorrere ed è quella di una riprogrammazione generale da parte delle Regioni degli standard di personale obiettore e non obiettore per far sì che in ogni parte d’Italia e in ogni ospedale la legge 194 sia applicata correttamente e pienamente. E poi penso che vada comunque sviluppata l’Ivg farmacologica che indubbiamente rende molto più gestibile il percorso abortivo, anche per il corpo della donna. E, a proposito di salute della donna, le anticipo che porterò all’ufficio di presidenza della Commissione una proposta per far sì che una parte della nostra indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Ssn sia dedicata proprio a questo tema. Non solo 194, ma anche prevenzione e nuovi approcci terapeutici alle nuove emergenze di genere. E l’obiettivo è quello di fare del progetto salute donna un tassello specifico del nuovo Patto per la Salute che coinvolga in modo stringente i principali attori del sistema.
 
Sempre in tema di 194, ha suscitato molto scalpore la notizia della parlamentare alla quale i medici della Camera non hanno voluto prescrivere la pillola del giorno dopo, avanzando l’obiezione di coscienza. Che ne pensa?
E’ un fatto grave. Siamo un Paese ipocrita, prima si rifiuta l’aborto e poi la contraccezione per prevenirlo. Ma insomma, non è accettabile. Il farmaco per la contraccezione d’emergenza è un farmaco regolarmente autorizzato e in commercio e come tale deve essere prescritto, salvo vi siano ragioni mediche che ne scoraggino l’uso. Detto questo, penso però vada fatta chiarezza su un punto: la contraccezione d’emergenza è appunto tale. Non può essere la soluzione facile del “dopo”. Dobbiamo investire sulla contraccezione ordinaria in modo serio e responsabile. Soprattutto nei confronti delle giovani generazioni che non devono pensare che intanto poi c’è la pillola del giorno dopo. E’ sbagliato. Eticamente e anche per la salute della donna.
 
Metodo stamina. Cosa deciderete dopo la bocciatura del Comitato scientifico? Si farà o no la sperimentazione votata dal Parlamento?
Ho chiesto al ministro che venga a riferire al Parlamento. Perché è questo il luogo dove la decisione di avviare la sperimentazione è stata presa e deve essere questo il luogo dove valutare, alla luce del parere del Comitato scientifico, se cambiare quella decisione. Una decisione presa soprattutto per togliere quell’aurea di vittima a chi Stamina dirige. Dal punto di vista scientifico eravamo, e siamo ancor più oggi, consci di essere oggetto dell’ironia (per non dire altro) della comunità scientifica internazionale. Ma quel passaggio andava fatto. Ora il metodo (ma non vorrei neanche chiamarlo così) è stato bocciato e penso (e non sono la sola in Commissione) che la decisione non potrà che essere quella di stoppare la sperimentazione proprio per non alimentare ulteriormente speranze e illusioni.
 
Chiudiamo con un riferimento a quanto accade a poca distanza da qui. Nella sede della Giunta per le elezioni che sta discutendo sulla decadenza da senatore di Berlusconi. Secondo lei cosa accadrà? Ci sarà crisi?
Le posso dire che tutta la vicenda dovrebbe essere già risolta da tempo. Una persona condannata con sentenza definitiva non può sedere in Parlamento. Punto. Si farà la crisi? Penso che per primi ne avrebbero la responsabilità i ministri del Pdl che hanno giurato al Quirinale per dare vita a un Governo per il bene del Paese. Non saranno responsabili? E allora si voti, ma con una nuova legge elettorale che il Parlamento ha il dovere di fare. Subito e comunque.
 
Cesare Fassari

18 settembre 2013
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