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Gli Ordini protagonisti di una nuova stagione di iniziativa medica. Intervista al presidente di Parma Muzzetto: “Bene la nuova strategia ma non dimentichiamo che non siamo ‘controparte’ ma ‘alleati’ del Governo”

di Antonella Del Gesso

“La politica federativa sta cambiando però forse nell’approccio ai problemi determinato dal desiderio di sollecitare l’Istituzione governativa, la quale non può essere controparte, ma alleata cui richiedere la considerazione dovuta”. Per questo, “Serve un rapporto nuovo col Governo, e per altro verso anche col mondo delle professioni sanitarie, arrivando ad una nuova visione dell’essere Ordine, lontani da quell’autoreferenzialità che non giova al dialogo interprofessionale”

21 NOV - L’importanza della formazione per il futuro della professione è stato il tema centrale di un convegno nazionale che si è svolto da poco a Parma. Una riflessione interna alla categoria medica che si è interrogata sul problema degli sviluppi formativi, anche alla luce delle novelle legislative che propongono nuovi assetti assistenziali in medicina, che appunto rimettono in discussione i programmi di studio e la loro specificità.
 
La giornata di lavoro è stata organizzata dall’Ordine dei Medici di Parma che insieme alla Fnomceo ha coinvolto nel dibattito bioeticisti, esperti del mondo medico sindacale, l’accademia Universitaria, il mondo medico giuridico e quello dell’informazione. Un’occasione per ascoltare opinioni e comprendere se vi sia un percorso apposito per affrontare efficacemente il problema più generale del sistema assistenziale, togliendo dalla scena quelle incomprensioni che sono immancabilmente fonte di conflitti professionali e altamente improduttive.
 
In questo contesto il presidente dell’Ordine di Parma, Pierantonio Muzzetto, che ricordiamo essere stato cofondatore (con Salvatore Amato, presidente di Omceo Palermo) del movimento di confronto “Insieme FNOMCeO” nell’ultima tornata elettorale per il rinnovo delle cariche federative, ha ragionato con noi su alcuni aspetti della professione.
 
Qual è la sua considerazione sulla politica sanitaria di questo Governo? Quale crede essere la visione della sanità da parte dell’Esecutivo?
L’impressione che si ha è che il capitolo “Salute” rimanga inserito saldamente come voce della Legge Finanziaria, o del DEF, dunque fonte di spesa e di sua riconversione.
Certo la presa di posizione federativa oggi ha portato ad una nuova considerazione del problema sanitario da parte del premier Renzi, con l’auspicio di una maggiore attenzione alle dinamiche della nuova chiamata all’unità di questi giorni.
Un merito che va indubbiamente riconosciuto al vertice nazionale della Fnomceo forte di quell’intuizione di riunire sotto il suo mantello le sigle sindacali, in una sorta di intesa della professione. Questa è la lettura da dare alla riunione del 21 ottobre scorso e di quella del 28 novembre: una ricerca di comunanza in tema di professione e di difesa della salute.
Ma all’intuizione della Federazione medica, che è pur sempre un organo ausiliario dello Stato, deve corrispondere la sua “missione istituzionale”, di supporto e di consultazione con il mondo governativo, non rinunciando ad essere un punto di riferimento per i problemi sanitari.
 
Ritiene che la politica federativa in un certo qual modo cambi gli equilibri degli Ordini in relazione alla loro funzione Istituzionale?
Non credo. Non vi deve essere a mio parere un limite al confronto all’interno della professione e anche fra le professioni, in osservanza proprio della missione ordinistica che, come istituzione, è volta alla garanzia della salute della collettività. La politica federativa sta cambiando però forse nell’approccio ai problemi determinato dal desiderio di sollecitare l’Istituzione governativa, la quale non può essere controparte, ma alleata cui richiedere la considerazione dovuta.
 
I problemi ultimamente sono derivati dagli “equilibri più avanzati delle professioni sanitarie”. Lo ritiene plausibile?
Il sistema del rapporto fra le professioni non è secondario per gli Ordini, soprattutto alla luce dei Lea e delle novelle legislative, non sempre in linea con un piano di programmazione del lavoro e degli interventi, che sembrano rispondere a meri criteri economicistici. Non si può però accettare che si adottino soluzioni che escludono il medico in quegli ambiti in cui invece è previsto, peraltro in una situazione non certo carente di organici, con medici disponibili e prontamente utilizzabili.
Da qui la necessità di pensare ad un nuovo ruolo, in realtà vecchio, dell’Ordine – Federazione in un ambito, invece, di una propositività di politica sanitaria in ambito istituzionale.
 
Ritiene necessario un ripensamento del ruolo degli Ordini?
Forse più che a un ripensamento dovremmo cercare di far chiarezza su fino a che punto siamo Istituzione e, soprattutto, fino a che punto siamo considerati Istituzione. Serve un rapporto nuovo col Governo, e per altro verso anche col mondo delle professioni sanitarie, arrivando ad una nuova visione dell’essere Ordine, lontani da quell’autoreferenzialità che non giova al dialogo interprofessionale.
Un percorso che inizia dal convincimento, e dunque avendo il coraggio, di doversi mettere in discussione, affrontando le numerose problematiche con quella onestà intellettuale che è necessaria per arrivare a conseguire risultati apprezzabili. Rimane però il rilievo di fondo che l’Istituzione ordinistica non può accettare d’essere ignorata nei passaggi in cui deve essere invece co-attrice qualificata.
 
Quali erano gli obiettivi del convegno di Parma?
Il convegno, che è stato pensato e condiviso con la presidente Chersevani, nasce dall’esigenza di chiarirsi su alcuni passaggi fondamentali della professione, che segnano il futuro del medico nei prossimi 50 anni, inerenti il fondamento della formazione. Si delineano cambiamenti che fanno prospettare una rivoluzione della figura del medico, pur consapevoli che dal medico Ippocratico fino ad oggi a cambiare sia stata la medicina, coi mutamenti radicali dovuti alla ricerca e all’esperienza, ma in fondo non è mai cambiato il medico nella sua essenza e nella sua funzione.
Nonostante ciò il Convegno s’inserisce in un momento delicato della sanità italiana che si dibatte fra universalismo della cura e limitate risorse disponibili. Fra una riforma inapplicata e la necessità di rivisitarla per renderla efficace, tralasciando quelle parti estemporanee e di dubbia validità.
 
In che senso il convegno ha valutato questi aspetti ?
Parte da una valutazione dei cambiamenti in sanità, con riguardo agli assetti interprofessionali determinati da un susseguirsi di provvedimenti legislativi, portati avanti anche a causa delle non grandi sollecitazioni da parte di alcune categoriali. C’è grande disorientamento sulla materia e sui rapporti non facili fra le professioni, ritengo artatamente voluta, e prima di procedere ad un confronto diretto abbiamo cercato di far chiarezza interna su alcuni aspetti professionali e sociali e sull’impatto che le novità avranno sulla garanzia di salute del cittadino.
Come Ordine abbiamo voluto contribuire con analisi costruttive alla questio sanitaria italiana.
 
Siamo in un momento storico in cui l’alta qualificazione è una condizione imprescindibile in quasi tutti i settori. La sanità è uno di questi?
Oggi è necessario arrivare a una modulazione delle presenze delle professioni in tutto il processo assistenziale. Ma il sistema di garanzia della salute deve passare attraverso un insieme di interventi coordinati in cui ogni attività sia complementare a quella degli altri perché ciò è funzionale al risultato. La medicina basata sull’evidenza infatti deve sempre più far riferimento agli outcome. Al cui raggiungimento ottimale non concorrono certo il dissidio delle competenze o interventi in piena autonomia.
 
Cosa sta cambiando rispetto a qualche anno fa?
La consapevolezza che tutti non possono fare tutto. A fondamento di una garanzia di salute qualificata e qualificante ci dev’essere una compartecipazione di prestazioni che devono essere eseguite da persone formate in maniera specifica. Persone competenti per rispondere a singole esigenze di lavoro, dove per competenza si intende la conoscenza pratica e applicata conseguente alla teoria acquisita. Dev’essere infatti il percorso di studi e di formazione a determinare la specificità della funzione.
 
Parlava del nuovo paradigma della formazione, in cosa si concretizza?
Un paradigma ovvio ma finora inapplicato: dalla formazione specifica alle competenze specifiche e alle responsabilità altrettanto specifiche.
Una sorta di flow chart che racchiude la cascata delle necessità professionali evolute e alte e che, anche per le conseguenze in ambito di revisione dei programmi di studio, è stata proposta e presentata al sottosegretario Miur Davide Faraone in sede di convegno. In ambito medico la sollecitazione è stata accolta positivamente, nell’obiettivo d’armonizzare gli studi e d’arrivare alla specificità delle competenze. In termini economici, un percorso universitario che corrisponda alle esigenze di qualità del sistema riprova un corretto uso delle risorse e, proprio per questo, costituisce un investimento produttivo per lo Stato, con un ritorno anche in termini di efficienza sociale.
 
Cosa succede oggi in tema di percorsi formativi?
Come emerso anche dalla lucida analisi di Roberto Polillo, intervenuto al convegno di Parma e su Quotidiano Sanità proprio nei giorni scorsi, c’è disomogeneità e dispersione negli ordinamenti didattici per quanto concerne i cursi studiorum delle professioni sanitarie, al contrario di quelli concernenti la professione medica, come ha invece assicurato il Preside della Facoltà di Medicina di Parma Gian Paolo Ceda.
Occorre quindi da parte dello Stato uno sforzo per garantire l’omogeneità formativa anche per i professionisti chiamati ad altri compiti e funzioni. E’ da questa infatti che discende la funzione lavorativa, e non certo dai riconoscimenti estemporanei di leggi o leggine che non chiariscono rapporti, equilibri e certezza dei ruoli. La qualità in sanità non può prescindere dall’organizzazione e dalla costruzione delle responsabilità di scala, con ruoli e funzioni differenziate in un sistema di collaborazioni.
 
Si riferisce alle recenti novità legislative Comma 566 della legge di stabilità dello scorso anno e alle ipotesi di Atto sanitario?
Ne sono l’espressione. In ambito sanitario c’è, infatti, il tentativo di assegnare funzioni, mansioni e responsabilità, attraverso una serie di provvedimenti che non tengono conto dell’insieme dei problemi, a partire dalla mancanza di una programmazione coerente. Sul sistema di “cura” non devono esserci fraintendimenti, come ha ben significato Daniele Rodriguez. Eppure oggi, grazie alla riforma del Titolo V della Costituzione, c’è una discrezionalità delle Regioni nella ideazione di protocolli sperimentali delle professioni, cui si dovrebbe porre un limite. Occorre invece un programma unico nazionale, in cui non vi siano modelli assistenziali atipici o parcellizzazioni degli interventi, con autonomie non di scala ma assolute, che vanno a scoordinare ruoli e funzioni dei prestatori d’opera.
 
Sugli assetti lavorativi incide anche la politica dei tagli?
L’insicurezza dei ruoli e funzioni, i conflitti interprofessionali, l’elasticità delle responsabilità, di certo generano un disordine lavorativo che ricade sulla produttività. Anziché tagli lineari, insisto, si intervenga in settori come questo che, se efficientato, porterebbe a notevoli risparmi e guadagni nell’intera filiera della salute. Interventi a pioggia, in nome dell’economicismo, depauperano un sistema come il nostro, sì costoso, ma tutto sommato virtuoso, universalistico e comunque meno caro di rispetto ad altri paesi di cui oggi si vogliono mutuare i modelli.
Un ottimale rapporto fra competenze ed equilibri lavorativi diventa la base per dominare gli sprechi ben consci del fatto che l’organizzazione e una necessaria programmazione possono limitare la dispersione delle risorse e la conseguente confusione. Banalmente sarà da intervenire dove il sistema non funziona, e non certo dove funziona, perché alla fine non fa neanche quadrare i conti.
 
Un concetto a lei caro è crescere nelle differenze, cosa intende?
Significa che nel tempo della velocità del vivere e del comunicare, dell’informazione diffusa e capillare, dei modelli economici in continua trasformazione, anche il mondo sanitario deve adeguarsi. Cambiando senza snaturarsi, però. Senza mai dimenticare l’inalterabilità del ruolo del medico, che è colui che cura e porta sollievo all’uomo e non solo al corpo, che si confronta col malato prima che con la malattia. E per cui il tempo medico e l’ascolto della persona sono non mai contrattabili.
Da questo punto fisso si può partire per uno sviluppo di tutti i professionisti della sanità, che più sono qualificati più concorreranno ad un ottimale risultato. Nessun conflitto interprofessionale, quindi, al di là delle comode strumentalizzazioni del concetto, bisogna solo che ognuno riconosca il limite ben definito del proprio agire, nel rispetto delle reciproche differenze di ruoli e funzioni, in un contesto di assoluta collaborazione per la migliore gestione della salute possibile. Sic et simpliciter.
 
Antonella Del Gesso

21 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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