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Specializzazioni. Non si tratta solo di dare un futuro ai giovani medici, ma anche al Ssn

di Stefano Falcinelli (Omceo Ravenna, CdA Enpam)

07 SET - Gentile Direttore,
l’appassionato dibattito che ci coinvolge in questi giorni circa le gravi difficoltà e le carenti disponibilità per l’accesso alle scuole di specialità e al corso di formazione specifica in medicina generale, non riguarda solo le attese e le speranze dei giovani colleghi, ma la possibilità stessa di dare continuità al sistema sanitario pubblico.

I numeri che anche recentemente la Fnomceo ha ricordato sono evidenti: nel prossimo futuro mancheranno al sistema circa la metà dei medici necessari e questo impedirà non solo il mantenimento di un livello di qualità ancora buono, ma, di fatto, rischia di sancire la fine del sistema. Faccio un rapido esempio: nel 2016 l’Ocse ci classifica al diciottesimo posto su trentaquattro paesi per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, ma al quarto posto per attesa di vita. Un risultato che dipende in buona parte dalla preparazione e dall’impegno dei professionisti.

Non si tratta, a mio avviso, di pensare a una nuova riforma del sistema, probabilmente impossibile per incapacità progettuale e per insostenibilità economica. Dobbiamo invece ragionare insieme su una ‘manutenzione straordinaria’.

Certamente, il ‘totem’ è quello della sostenibilità, ovvero come far fronte ai costi esponenziali di una tecnologia sanitaria sempre più raffinata e a una crescente domanda di sanità di un paese sempre più abitato da anziani affetti da patologie cronico-degenerative.
 
Come ha scritto qualche giorno fa il presidente dell’Enpam, Alberto Oliveti, è necessario che ogni attore faccia la propria parte: agli Ordini, cui spetta di garantire la qualità, il compito di definire il rapporto tra universalità, equità e sostenibilità (di fatto cosa è eticamente giusto che il sistema garantisca tra quello che è tecnicamente possibile); alle società scientifiche l’incarico di contribuire fattivamente al ragionamento sul rapporto tra appropriatezza e sostenibilità; ai sindacati quello di tradurre in termini contrattuali la redistribuzione di compiti e di risorse tra ospedale e territorio; all’ente di previdenza la responsabilità non solo di dare certezza al futuro pensionistico, ma anche di sostenere il presente con nuove e significative prestazioni assistenziali (accesso alla professione, tutela assicurativa, investimenti in attività sanitarie).

Mi soffermo su due aspetti in particolare: il primo è come ricondurre nel sistema almeno parte dell’ingente spesa per le cure a carico del cittadino (36 miliardi di euro nel 2016); il secondo riguarda la necessità di riprogettare il rapporto tra ospedale e territorio.

RISORSE PUBBLICHE PER LA TUTELA UNIVERSALE DELLA SALUTE
Se infatti alcune forme di sanità integrativa a quanto il Servizio sanitario nazionale non potrà - e non dovrà! - offrire sono accettabili e condivisibili, il problema riguarda quanto di fatto si pone sempre più in maniera sostitutiva e alternativa al sistema.

Queste prestazioni sottraggono non solo risorse economiche e professionali, ma rischiano in poco tempo di diventare una fonte di disparità e di crisi irreversibile. La conseguenza è che solo chi potrà pagarselo avrà accesso in tempi rapidi a un servizio di qualità.

Il primo interrogativo forte quindi è come reindirizzare, con coraggio e senza pregiudizi, le risorse private all’interno del sistema pubblico. In quest’ambito è necessario tracciare un confine preciso e invalicabile: evitare derive di tipo commerciale, riaffermando che l’esercizio della professione medica non può che avere al suo centro la tutela della salute.

RISORSE PUBBLICHE, RIPROGETTARE IL RAPPORTO OSPEDALE-TERRITORIO
Il secondo grande interrogativo riguarda l’organizzazione e la ridistribuzione delle risorse pubbliche tra ospedale e territorio, tenuto conto della necessità di dovere fare fronte alle mutate esigenze e necessità di pazienti sempre più anziani, affetti da patologie croniche.
 
Se come è giusto che sia l’ospedale deve diventare sempre più un luogo di ricovero per pazienti acuti organizzato per intensità di cura, va finalmente concretizzata una nuova risposta assistenziale sul territorio. È necessario organizzare le aggregazioni funzionali in tutte le possibili declinazioni - dalle più semplici alle più strutturate, dalle medicine di gruppo agli ospedali di comunità - vincendo le residue resistenze di una generazione di medici di famiglia in parte già proiettati verso la conclusione della propria esperienza professionale.

Queste nuove aggregazioni dovranno essere orientate a due compiti precisi: la gestione sempre più proattiva della cronicità e la promozione della prevenzione, tema questo che - anche secondo il recente parere del Comitato nazionale di bioetica in difesa del Servizio sanitario nazionale - deve avere un ruolo centrale per garantire la futura sostenibilità del sistema.
 
Ospedale e territorio inoltre dovranno sempre più essere in rete: la comunicazione dei dati riguardanti la salute dei pazienti attraverso gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione (fascicolo sanitario elettronico), porta prima di tutto a migliorare la qualità degli interventi dei singoli professionisti, ma consente anche di evitare duplicazioni di prestazioni e sprechi di risorse.

Il momento è talmente critico e i tempi sono cosi ristretti da richiedere uno sforzo eccezionale, possibilmente congiunto, e lo scopo di quanto ho scritto - insieme alla speranza - è di suscitare una riflessione condivisa tra i diversi rappresentanti della professione.

Riprendo ancora Alberto Oliveti che termina il suo intervento chiedendo “…se non ora, quando?”
La risposta è ADESSO!

Stefano Falcinelli
Presidente Omceo Ravenna
Consigliere d’amministrazione Enpam


07 settembre 2017
© Riproduzione riservata

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