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Sanità integrativa. Vecchietti (Rbm) replica ai Cinque Stelle

di Marco Vecchietti

19 DIC - Gentile Direttore,
lo scorso 5 dicembre il Sen. Luigi Gaetti, componente della Commissione Igiene e Sanità del Senato e membro del MoVimento 5 Stelle, ha commentato sul suo quotidiano le proposte per un sistema sanitario multi-pilastro presentate da RBM Assicurazione Salute in occasione dell’ultimo Forum di Risk Management in Sanità. Tuttavia, dal tenore di alcune riflessioni svolte mi è sembrato di cogliere che alcuni aspetti delle nostre soluzioni non siano stati percepiti nella loro interezza. Per questo motivo ho ritenuto di scrivere una lettera al Sen. Gaetti per argomentare con maggior livello di dettaglio le nostre argomentazioni con l’obiettivo di favorire una riflessione seria sul tema della sostenibilità economica e sociale del sistema sanitario del nostro Paese.
 
Entrando nello specifico delle argomentazioni sviluppate dal Sen. Gaetti credo sia importante in primo luogo partire da un’evidenza anch’essa confermata non solo dai principali Istituti di Ricerca ma dalla stessa Ragioneria Generale dello Stato: il sistema sanitario italiano è sotto-finanziato. Questo dato incontrovertibile, tuttavia, non può essere utilizzato per rivendicare una presunta “straordinaria efficienza” del nostro Paese rispetto agli altri Stati Europei.
 
La realtà sotto gli occhi di tutti è che il Fondo Sanitario Nazionale ha una dotazione insufficiente a fronteggiare il fabbisogno di salute degli italiani. Nell’ultimo decennio la crescita della spesa sanitaria pubblica nel nostro Paese è stata pari ad un quarto (1,0% medio annuo contro il 3,9%) rispetto a quella dei Paesi dell’EU14. L’effetto più evidente a livello economico di questa politica di de-finanziamento è stato il consolidarsi di un gap strutturale tra la spesa pubblica pro capite dell’Italia e quella degli Stati dell’Europa Occidentale che attualmente si attesta al 36% (con una crescita del 2,9% solo nell’ultimo anno).
 
L’ampliarsi di questo gap, peraltro, ha corso parallelamente a quello relativo al PIL pro capite che attualmente si attesta al 22,7% (con una crescita del 13,9% nell’ultimo decennio). In linea con i Paesi dell’UE14, invece, la crescita della spesa sanitaria privata (2,1% annuo contro il 2,3%) con un‘incidenza rispetto al PIL, pertanto, superiore a quelle riscontrabile a livello europeo. Proprio questo dato evidenzia come la spesa sanitaria privata nel nostro Paese complementi fondamentalmente la spesa sanitaria pubblica peraltro anche in uno scenario macro-economico di crisi. Nel contempo il fatto che la spesa sanitaria privata abbia ormai un’incidenza del 24,4% della spesa sanitaria totale acclara come già oggi non esista più una “supremazia” del servizio pubblico in sanità e che il nostro sistema sanitario è già, nei fatti, un sistema multi-pilastro.
 
In quest’ottica mi si consenta di osservare che l’argomentazione sulla presunta induzione di ulteriore spesa privata quale conseguenza dell’introduzione di un Secondo Pilastro istituzionalizzato, sulla scorta del modello francese, non trova riscontro nei numeri. Attualmente si può dire che i cittadini italiani già ricevano il 75% delle proprie cure attraverso il Servizio Sanitario Nazionale ed il 25% delle stesse pagandole direttamente di tasca propria (del resto, non dimentichiamolo, l’incidenza della spesa sanitaria privata intermediata sulla spesa sanitaria totale è solamente del 13%). Il vero tema da affrontare al riguardo è se si voglia restituire una “dimensione collettiva” a questa spesa che oggi ciascuna famiglia affronta esclusivamente in base alle proprie disponibilità economiche ed indirizzarla a finalità coerenti e complementari con la promozione della salute pubblica.
 
Sempre con riferimento all’efficientamento della spesa sanitaria pubblica nel nostro Paese bisogna considerare che tali risultati sono stati conseguiti attraverso strumenti (si pensi in particolare ai Piani di Rientro ed ai vincoli previsti dal Patto per la Salute) che hanno inciso notevolmente sull’accessibilità alle prestazioni sanitarie (si veda l’annoso tema dall’allungamento delle liste di attesa) e con una generalizzata posticipazione degli investimenti che, pur migliorando la situazione contabile nel breve periodo, è suscettibile di ingenerare problemi a medio termine, per effetto – ad esempio – dell’obsolescenza delle strutture e delle tecnologie o della scarsità di risorse stanziate per la promozione delle salute. In questa direzione, del resto, si susseguono segnali non proprio incoraggianti sul fronte degli outcome aggregati (si vedano, tra gli altri: la riduzione dell’aspettativa di vita, l’incremento della mortalità al Sud, l’incidenza di fattori di rischio modificabili per ripartizione, l’effettività fruibilità degli screening oncologici, etc.) che tendono a confermare come ad una spesa sanitaria inferiore corrisponda una maggiore mortalità.
 
Non a caso, con ulteriore impatto peraltro sul tema dell’uguaglianza, le Regioni con il tasso di mortalità standardizzato più elevato sono la Campania (91,04), Sicilia (86,00) e Calabria (82,14) che presentano rispettivamente anche il più basso ammontare di spesa sanitaria pro capite (€ 2.310,00, Campania; € 2.174,00 Sicilia e € 2.097,00, Calabria). Bollare tale esigenze come “consumismo sanitario” significa ignorare il contributo straordinario che il progresso scientifico e tecnologico può portare per la salute dei cittadini come del resto la capacità dei percorsi di prevenzione e diagnosi precoce di garantire un miglioramento degli indicatori relativi alla vita (maggiore sopravvivenza dei cittadini), alla salute pubblica ed alla sostenibilità finanziaria (del sistema sanitario nel suo complesso).
 
E’ in questa prospettiva che una valutazione più equilibrata e consapevole del modello francese, come del resto di quello tedesco, non può che portare a concludere che a fronte di più elevati livelli di spesa tali sistemi abbiano potuto finanziare maggiore qualità assistenziale nei confronti dei cittadini.
 
In questa prospettiva ritengo che le soluzioni proposte da RBM non solo non aggraverebbero lo “stato di salute” del nostro sistema sanitario ma anzi consentirebbero di arrestarne la “patologia” principale, l’insostenibilità socio-economica, i cui sintomi, “universalismo selettivo” e “disuguaglianza” sono ormai sempre più gravi.  
 
Volendo ricostruire correttamente il fenomeno bisogna, quindi, ammettere che oggi esiste una fascia di cittadini che fruisce della Sanità Integrativa e se le parti sociali – associazioni datoriali (aziende) ed organizzazioni dei lavoratori (sindacati) – chiedono con sempre maggiore convinzione risorse aggiuntive per il “secondo” welfare, perché sta crescendo una domanda assistenziale alla quale il nostro Servizio Sanitario Nazionale, complice anche l’inadeguatezza del modello di finanziamento del sistema sanitario italiano, non riesce più a fare fronte.
 
Se poi il problema è quello di una fiscalità agevolata, che – e ci tengo a ricordarlo sia al Sen. Gaetti sia agli autori del paper “I Fondi Sanitari Integrativi e Sostitutivi e le Assicurazioni Sanitarie, che lui richiama – ad oggi in relazione alle polizze sanitarie ha un costo di poco più di 500 milioni (meno di 700 milioni volendo considerare anche i fondi sanitari autoassicurati), eliminiamo pure i benefici fiscali ma rendiamo disponibile per tutti i cittadini un Secondo Pilastro Sanitario. Ritengo infatti che se, come dimostrano i numeri, esiste uno strumento (la Sanità Integrativa) che è in grado di abbattere in media del 56% la spesa sanitaria di tasca propria di tutte le famiglie italiane restituendo al sistema sanitario maggiore accessibilità ed equità sia davvero singolare rinunciarvi per “risparmiare” una somma (quella corrispondente al beneficio fiscale) che non vale poco meno dell’1,5% dell’intera spesa sanitaria privata e corrisponde a poco meno dello 0,5% della spesa sanitaria pubblica.
 
Bene allora alla luce di queste evidenze mi si permetta una provocazione: eliminiamo le agevolazioni fiscali per la Sanità Integrativa, reinvestiamo questi 500 – 700 milioni nel Servizio Sanitario Nazionale (con benefici che, francamente, saranno appena percepibili…) ma impegniamo tutte i MMG o le ASL nella promozione della Sanità Integrativa presso i pazienti ed i cittadini con l’obiettivo di avere a 5 anni un Secondo Pilastro Sanitario disponibile come in Francia all’90% della popolazione. Poi, per la quota residua, valutiamo pure forme di assicurazione sociale – anche qui, già previste nel modello francese –per la popolazione meno abbiente e/o “non assicurabile”, così da non lasciare indietro nessuno per davvero e non solo sulla carta.
 
Attualmente milioni di italiani sono costretti a rinunciare ad una o più prestazioni sanitarie voglio perdere il focus di questo contributo entrando nell’annoso dibattito se siano 5 milioni, 10 milioni o 13,5 milioni perché a mio avviso la sostanza non cambia; l’esistenza di questo fenomeno infatti, di per sé, è già uno di quei sintomi preoccupanti che richiamavo poc’anzi di un sistema sempre più affetto da disuguaglianza e disparità. E le prestazioni rinunciate o differite non sono certo, come alcuni commentatori vorrebbero farci credere, inappropriate o di scarso valore (low value), anche perché peraltro in un contesto macro-economico sostanzialmente recessivo sarebbe davvero singolare che si innestassero fenomeni di progressivo “consumismo sanitario”. Non a caso dalle indagini condotte dal Censis risulta come tende a consolidarsi un carattere regressivo della spesa sanitaria di tasca propria.  
 
I conti sulla salute dei cittadini vanno fatti con attenzione e soprattutto non possono alimentare populismi o strumentalizzazioni.  A questo riguardo allego alla presente un estratto del VII Rapporto Censis – RBM nel quale illustriamo numeri alla mano quali sarebbero i benefici dell’attivazione anche nel nostro Paese di un Secondo Pilastro Sanitario Aperto che potrebbe garantire una disponibilità aggiuntiva per le politiche sanitarie pubbliche di circa 22 miliardi aggiuntivi con un contenimento, nel contempo, della spesa sanitaria privata a 4,3 miliardi annui. Se il Secondo Pilastro Sanitario in Italia diventasse obbligatorio come in Francia o quanto meno “opzionabile” come in Germania (anche su quest’ultimo scenario, sotto il profilo quantitativo, faccio integralmente rinvio all’estratto allegato), si potrebbe peraltro garantire anche una maggiore accessibilità alle cure per i cittadini italiani ponendo rimedio strutturalmente, e senza ulteriore spreco di risorse pubbliche, al problema del razionamento implicito dell’assistenza sanitaria e delle liste di attesa che da tempo affligge il Servizio Sanitario Nazionale.
 
Non si tratta, pertanto, solamente di identificare un sostegno di natura economica per i cittadini ma di rinnovare il patto sociale sul quale si basa l'intero sistema attraverso la promozione di un’alleanza pubblico - privato che sia in grado di garantire in una logica multi-pilastro diritti effettivamente esigibili e duraturi nel tempo.
 
Siamo fortemente impegnati a promuovere lo sviluppo di una seria riflessione sulla sostenibilità del sistema sanitario italiano avvalendoci di partner scientifici, come la Fondazione Censis e l’Osservatorio Sui Consumi Privati in Sanità della SDA Bocconi, in grado di rilevare ed analizzare con autorevolezza i principali fenomeni in atto con l’obiettivo di fornire un contributo concreto allo sviluppo del nostro Paese.
 
La diffusione di un’adeguata cultura nel campo del welfare e della sanità integrativa fa parte della mission stessa della nostra impresa e ci impedisce, mi creda Sen. Gaietti, di ricorrere a qualsiasi strategia di disinformazione proditoria per dimostrare le nostre tesi o raggiungere i nostri obiettivi.
 
Abbiamo scelto di occuparci della salute perché siamo profondamente conviti della centralità della persona e delle necessità di fornire al Paese, in quanto azienda una logica naturalmente economica, soluzioni che possano preservare il welfare di oggi anche per le generazioni future.  
 
Marco Vecchietti
Consigliere Delegato RBM ASSICURAZIONE SALUTE S.p.A.

19 dicembre 2017
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