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Boom spesa sanitaria privata? Allarme privo di fondamento

di Alberto Donzelli

11 GIU - Gentile Direttore,
il 6 giugno su Quotidiano Sanità è stato sintetizzato il Rapporto Censis-RBM con un titolo riferito a un presunto “Boom spesa privata”. Il 7 giugno Marco Geddes ha subito rilevato che il “messaggio di 40 miliardi di spesa privata è semplicistico, se non fuorviante”.

In realtà il messaggio di un forte aumento della spesa privata non è solo “fuorviante”, ma del tutto infondato, perché non tiene conto del potere di acquisto delle monete (che varia nel tempo), come invece correttamente fanno le istituzioni nazionali e internazionali che pubblicano dati seri, corretti in PPP$ per un anno di riferimento.

Per documentarlo, si leggano i dati ufficiali comparativi relativi ai paesi dell’OCSE, con la spesa privata complessiva dal 2000 al 2016 (vedi tabella, estratta oggi, cui ho aggiunto sul foglio di calcolo tre colonne di elaborazioni: spesa 2008/2000, 2016/2009, 2016/2000).

Anzitutto, devo ripetere che non è corretto concentrare l’attenzione solo sulla spesa privata out-of-pocket, ma è più corretto calcolare la spesa privata pro-capite complessiva, cioè privata out-of-pocket (direttamente di tasca propria) + spesa privata intermediata, che transita attraverso Fondi Sanitari e assimilabili o Assicurazioni commerciali. Questo perché, come già sostenuto, perché mai i cittadini italiani, se correttamente informati, dovrebbero essere contenti di ridurre la propria spesa out-of-pocket per aumentare (in misura in proporzione maggiore!) la propria spesa privata affidata a intermediari, se alla fine si ritrovano con una spesa privata totale maggiore in assoluto?

Si esamini ora l’allegata tabella OCSE, che correttamente standardizza i prezzi, rendendo così immediatamente confrontabile un anno con l’altro. La standardizzazione è attuata in base ai PPP$ del 2010, e anche questa appare scelta ragionevole, trattandosi di un anno abbastanza “centrale” nella serie considerata. Si nota che:
1) non c’è stato alcun aumento reale di spesa sanitaria pro-capite privata nel periodo 2000-2008, anzi questa è persino calata
2) l’aumento pro-capite nell’intero periodo dal 2009 al 2016 è stato dell’11%, ma in cifra assoluta la spesa privata complessiva italiana 2016 resta inferiore a quella dei grandi paesi Europei con cui si usa confrontarla, per non parlare della spesa privata molto più elevata di Canada e USA
3) l’aumento pro-capite della spesa privata italiana complessiva in tutto l’arco temporale dal 2000 al 2016 è stato solo dell’1,8%, e si è trattato dell’aumento minore tra tutti i paesi OCSE (con l’eccezione della Turchia)
4) il 2016 non ha fatto registrare alcun aumento rispetto al 2015.

Dunque, di quale allarme (procurato?), di quale inarrestabile aumento stiamo parlando?

Certo, la situazione potrebbe peggiorare nei prossimi anni, ma non certo perché si starebbe tardando a dare ulteriori (!) benefici fiscali ai Fondi sanitari (che hanno ben poco di integrativo al SSN), al Welfare sanitario aziendale e alle Assicurazioni. È proprio il contrario: la spesa privata complessiva rischia di aumentare davvero anche a causa dei problemi generati dai cosiddetti secondo e terzo Pilastro.
 
In sintesi, oltre ad aumentare l’iniquità (l’opposto di quanto i fautori vorrebbero far credere), i sedicenti “pilastri” comportano un uso complessivo inefficiente della spesa, frammentazione dei percorsi assistenziali, sovra-utilizzo di prestazioni, anche futili, e incremento della spesa sanitaria sia totale, sia pubblica, sia privata. Questo per i motivi ripetutamente illustrati su QS, nel documento della Rete Sostenibilità e Salute, nel 3° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale del GIMBE, e di cui non resterebbe che prendere atto, esaminando con attenzione il Rapporto Piperno

Il 3° Rapporto GIMBE aggiunge anche che i dichiarati 39,8 miliardi di Euro di spesa privata sono sovrastimati, perché includono anche:
• 3,36 miliardi di detrazioni IRPEF, 
• 1,31 miliardi di spesa out-of-pocket per farmaci di classe A, cui i cittadini non sarebbero tenuti, in base alle regole SSN
• quasi 1 miliardo di differenziale pagato da cittadini non informati o mal informati, per avere i farmaci di marca anziché scegliere gli equivalenti disponibili.
 
Già così la spesa privata out-of-pocket scende da quasi 40 a 34,16 miliardi di Euro. Senza contare:
• la spesa per integratori ecc. (come fa notare il coordinatore del TDM-Cittadinanzattiva). Cioè per prodotti di efficacia mai dimostrata, che ciascuno, purché informato in modo completo, resta libero di assumere, ma che è giusto paghi di tasca propria
• e l’induzione pubblicitaria incontrastata di consumi di farmaci non soggetti a prescrizione. Si potrebbero fare decine di esempi: dai prodotti “contro il raffreddore”, all’abuso di quelli contro la tosse o contro la febbre (anche quando è sopportabile e utile come difesa dai germi patogeni), agli inibitori della pompa protonica, anche per disturbi lievi/motivi futili, senza informare dei rischi di dipendenza e di effetti avversi anche seri che questo uso “disinvolto” induce in consumatori ignari.
 
In conclusione, c’è da confidare in un’inversione di tendenza impressa dalla nuova Ministra della Salute, che nella scorsa legislatura si era già espressa sul tema in maniera giustamente critica.
 
Alberto Donzelli
Consiglio Direttivo della Fondazione 
Allineare Sanità e Salute 


11 giugno 2018
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