Io, infermiera, interessata alla Questione medica
di Marcella Gostinelli
09 APR -
Gentile Direttore,
le scrivo per partecipare al dibattito sulla “questione medica” portando una mia testimonianza; sono un’ infermiera convinta che questo dibattito giovi anche alla “questione infermieristica”, ignorata dagli ordini provinciali e dalla federazione degli ordini degli infermieri. Il contrario di quello che accade ai medici che possono invece contare su confronti in ampi spazi di discussione dedicati e Stati Generali.
Ho letto l’articolo del Dott.Pizza (
QS, 5 aprile 2019), in risposta a quello della Dott.ssa Labate (
24 marzo 2019), e l’ho apprezzato perché non è comune osservare in presidenti di ordini professionali la conoscenza che il Dott. Pizza dimostra di avere e soprattutto la capacità di utilizzarla, bene o male; non è comune che un presidente di ordine riservi un’attenzione profonda ai problemi del pensiero, o abbia interesse concreto per un intellettuale come Cavicchi, il cui pensiero è cosi avanzato e concreto da risultare spesso scomodo perché impegnativo.
Meno interessante, a mio avviso, quello della Dottoressa Labate che mostra in quell’articolo una conoscenza, un sapere filosofico esteso del quale però sembra non servirsi quando, da neoliberista convinta, mostra nostalgia per le mutue, o quando scrive per aprire un dibattito senza riferirsi agli interlocutori di quel dibattito.
La Dottoressa Labate sembra usare quel sapere filosofico acquisito non a vantaggio della “questione”, ma per soddisfare evidentemente altri bisogni. Dico questo perché Labate nel suo mostrare conoscenza dice di “azzardare una risposta certamente non esaustiva, ma di contestualizzazione della problematica (…)” ma non si “azzarda” a contestualizzare ed a declinare la sua conoscenza.
Ella, sembra non sapere che in Italia la Fnomceo, a partire dalle 100 tesi di Cavicchi, fa sul serio. Non rammenta mai questo importante e significativo impegno di Fnomceo, non ha bisogno di citare Cavicchi, e ciò che concretamente ha già fatto, perché questi è, prima e di più, sociologo, e poi e meno, filosofo; trovandosi perfettamente in sintonia con Panti che chiedeva esperti al convegno, non riconoscendo come esperti i partecipanti al convegno.
Ma non dico questo perché Cavicchi debba essere citato per forza, ma perché non siamo all’inizio di un dibattito, non si parte da zero, siamo oltre il dibattito e ciò che è fatto e si continua a fare deve essere considerato, per apprezzarlo o no, e per partire da ciò che già c’è ed essere pragmatici. La questione quindi non è, come lamenta Labate, di non poter intervenire democraticamente in un dibattito, la questione è che Labate scegliedi non intervenire al dibattito ed a ciò che ne è conseguito, perché ignora il dibattito stesso, dimostrando poco interesse per le soluzioni della “questione”.
Fossi stata però nel Dott. Pizza non avrei avuto la necessità di contrapporre, mostrandolo, un più ampio sapere rispetto a quello di Labate e mi sarei concentrata di più sul pensiero delle 100 tesi in modo che sempre più menti possano avere coscienza dell’impresa e del valore che esse hanno per superare la stasi e l’empirismo ingenuo.
In questo percorso, affascinante e intellettuale, ho avuto l’onore di imbattermi anche io, e, seppur con modestia, sento di aver dato anche una mano.
Ascoltai per la prima volta il Prof. Cavicchi all’Istituto Superiore di Sanità, non ricordo esattamente l’anno, dove tenne una lezione magistrale sulla Complessità. Ricordo, come fosse ora, di aver partecipato a quel convegno perché ero alla ricerca di un pensiero improbabile, per sbarazzarmi dal pensiero prevedibile e bearmi di pensiero dal” rischio incontrollabile”, pensiero inesistenze nelle realtà direzionali infermieristiche.
Ascoltai la lezione magistrale con orecchio non esperto, non scaltrito, ma ebbi modo lo stesso di cogliere nel pensiero del professore non la visione armoniosa di chi contempla soltanto i concetti dei quali parla, non la visione di chi usa l’occhio teoretico attraverso il quale vede solo cigni bianchi, ma la visione di chi sa disperdersi coraggiosamente nell’esperienza e riesce perciò a farti credere che poco più in là c’è anche qualche cigno nero, e alla fine lo vedi anche.
Entrai in quel convegno scettica, convinta che il mio corpo di conoscenze sarebbe aumentato grazie all’ascolto di un pensiero costruito su osservazioni confermative e non avrei mai immaginato che ne sarei uscita “semiscettica” (K.R.Popper): avevo visto un cigno nero e potevo certamente affermare che non tutti i cigni erano bianchi.
Provai un grande senso di gratitudine verso quel pensiero che non mi ha mai abbandonato. Iniziai cosi a leggere i suoi libri, tutti, attraverso i quali ho potuto servirmi di una razionalità che mi ha permesso di avere un certo grado di autonomia intellettuale professionale, e soprattutto quei libri mi hanno insegnato a prendere decisioni empiriche, a non avere paura della incertezza, e sapere come agire quando le informazioni scarseggiano .
Quando uscì il libro “
Una filosofia per la medicina” (
Dedalo Edizioni, 2011) lavoravo al Centro oncologico fiorentino come dirigente sanitaria responsabile della innovazione organizzativa e assistenziale. L’uscita del libro coincise con la realizzazione del Patto di Ospitalità, un’intesa politico sociale tra parti sociali ed istituzioni sanitarie che realizzai declinando il pensiero del prof. Cavicchi sulla ospitalità. Scopo di questo lavoro era quello di creare forme sociali di reciprocità, di scambio di pareri e quindi maggiori opportunità situazionali rispetto ai bisogni di relazione, di prossimità che i cittadini dichiarano di avere ancora oggi. Il Patto, che allego, fu stipulato in presenza dei cittadini di Sesto, sostenuto dal prof. Cavicchi e firmato dal Direttore Generale e dal Sindaco di Sesto fiorentino.
Fu una esperienza impegnativa, ma non difficile perché il pensiero di Cavicchi era chiaro e lucido e non fu impossibile intuirne le implicazioni pratiche. Grata e soddisfatta decisi di presentare il libro “Una filosofia per la medicina” al Centro oncologico con un convegno denso di pensiero, come restituzione di un bene donato. La direzione apicale mi lasciò carta bianca e con il professore ebbi l’onore di invitare al convegno importanti personalità con le quali discutemmo e ipotizzammo soluzioni possibili, ma imprevedibili.
L’unica volta nella mia vita professionale in cui ho avuto il piacere di discutere in presenza anche della presidenza nazionale infermieristica. Per tutto questo cito spesso Cavicchi nei miei articoli.
Marcella Gostinelli
Infermiera
09 aprile 2019
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore