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Perché è necessario che i sanitari possano raccontare la pandemia da Covid-19?

di Marilena Cara

09 APR - Gentile Direttore,
la vetrina dei social media al tempo del Covid-19 mostra volti di medici e infermieri segnati dalla fatica e racconti drammatici di Anime. Coloro che svolgono una professione di aiuto sono spesso costretti ad affrontare un’invisibile presenza chiamata impotenza che,, in compagnia del Covid, si è fatta strada nelle corsie degli ospedali come un’ombra minacciosa carica di sgomento. Mai come ora quest’ombra silenziosa prevarica l’uomo: soffoca le vittime, toglie il respiro a coloro che per ore e ore lavorano con dispositivi di protezione che fanno mancare l’aria.
 
La scienza medica questa volta è rimasta sullo sfondo, lasciando il ruolo di protagonista all’umano. Il palcoscenico delle corsie sembra ora animato da paura, tristezza, morte, angoscia. La paura è un’emozione che ha pervaso tutti e in modo particolare chi è in prima linea: la paura di affrontare turni ancora più pesanti di quanto già non lo fossero, la paura di scegliere chi salvare, del rischio di contagio per se e per i propri cari, della morte, dell’isolamento (molti si sono allontanati dalla famiglia).
 
Il Covid-19 ci ha invaso con la sua unicità. Un contagio subdolo che può passare inosservato ma anche colpire con violenza inaudita portando velocemente ad una morte fatta di lucida agonia e solitudine. Il contagio non è solo corporeo ma anche psichico. Ogni terapeuta corre il rischio (come insegna Jung) di “infettarsi” della sofferenza del paziente e non solo dei suoi batteri o virus. Lo stato emotivo del paziente può contagiare quello del terapeuta. Il sanitario in questo tragico momento vive, più o meno consapevolmente, nella costante paura di diventare vittima di ciò che sta curando, con il rischio di identificarsi con il malato e la malattia.
 
Anche nella stanza di analisi il terapeuta frequentemente affronta il contagio delle emozioni del paziente, correndo il rischio di essere invaso dai contenuti psichici del paziente, ma a differenza del sanitario, viene formato alla gestione emotiva. La capacità del terapeuta di lasciarsi attraversare dal dolore dell’altro diventa anche potenza terapeutica (come ci illustra Jung). Il medico che è stato a sua volta paziente è più paziente, e ha la possibilità, e forse il dono, di diventare un medico che si distingue per una particolare capacità curativa.
 
Una diagnosi clinica e una gestione corretta del paziente, non può prescindere da un professionista in grado di mantenere un equilibrato assetto emotivo, che è alla base della comunicazione e della presa in carico del paziente. I professionisti sono uomini e donne con un’Anima che ride e piange come tutti.
 
Se la popolazione è sottoposta all’angoscia dell’ignoto, il sanitario è sottoposto alla consapevolezza di ciò cui andrà incontro qualora venisse contagiato. Il forte stress emotivo di chi è in prima linea, spesso poco riconosciuto, è a tutti gli effetti un trauma. La psicanalisi ci insegna che il trauma non si esaurisce al termine dell’evento traumatico, ma continua a vivere nella psiche dell’individuo fino a quando non viene ri-vissuto ed elaborato. La rielaborazione di questo trauma, attraverso un percorso formativo di presa in carico dei sanitari, dovrà rendersi necessario al fine di proteggere i sanitari e quindi la nostra sanità da un pericoloso burn-out già in atto.
 
Questo potrebbe essere un momento epocale per la sanità e per coloro che la amministrano: l’inizio di una nuova umanizzazione delle cure che ha come punto di partenza il lato umano di chi ha tra le mani la scienza medica. Si dovrebbero predisporre nei prossimi mesi degli spazi di cura per i sanitari al fine di fornire loro strumenti efficaci per il superamento dell’inevitabile trauma che stanno attraversando. Coloro che aiutano non sono indenni dalla tristezza, dalle paure, dai pensieri paranoici, anzi ne sono maggiormente sottoposti poiché respirano costantemente le ansie, le angosce e le paranoie di tutti coloro, che colpiti dalla malattia, regrediscono ad uno stato emotivo primitivo.
 
Uno dei punti fondamentali per rielaborate un trauma è la narrazione. Raccontare l’esperienza professionale vissuta permetterebbe a chi sta vivendo da vicino quest’ondata di morte di curare il trauma. La condivisione di quelle scelte difficili che sono state affrontate nelle corsie di trincea può alleggerire e curare la ferita umana ed esistenziale inevitabilmente subita.
 
Questa breve riflessione vuol essere un’esortazione per il personale sanitario e per chi di personale sanitario si occupa, affinché avvenga una corretta presa in carico delle nuove necessità nella fase post-pandemia, che non potrà essere solamente rivolta alla ripresa economica. Mai come ora si dovrebbe iniziare un percorso di formazione “gruppale” in sanità per la Sanità, purché condotto da esperti non solo in ambito psicologico ma anche in materia sanitaria.
 
Marilena Cara
Nefrologa Psicanalista Junghiana
Obiettivo Ippocrate

 

09 aprile 2020
© Riproduzione riservata

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