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Alla ricerca del Dg di Aifa. Di uomini liberi è piena l’Italia

di Luca De Fiore

Il conflitto di interessi è una condizione di rischio di non integrità e illegalità e, se non governato, può danneggiare la reputazione delle istituzioni. È opportuno preoccuparsene e scegliere persone competenti e indipendenti. Che non mancano, basta saperle riconoscere

18 LUG - Il commento del Professor Fabrizio Gianfrate pubblicato ieri da Quotidiano Sanità ha il merito di portare all’attenzione pubblica una questione dibattuta da tempo in altri paesi: “chi ha un elevato livello di competenza ed esperienza inevitabilmente ha o ha avuto rapporti professionali e/o di consulenza con industrie farmaceutiche e altri attori economici del sistema.
 
Chi invece non li ha o non li ha avuti è perché probabilmente non è abbastanza competente ed esperto.” In sintesi e riprendendo la sostanza della posizione di un attore importante della sanità internazionale come il New England Journal of Medicine, le persone di valore collaborano con le imprese private innescando una convergenza di interessi, laddove chi è trascurato dalle aziende lo sarebbe perché non sufficientemente preparato. Chi collabora con le industrie – precisa Gianfrate – matura “legittimi e meritati guadagni” che sarebbero “parte fisiologica e normale di vita professionale”.
 
Dalla frase chiave di Gianfrate, non a caso ripresa nel catenaccio dai titolisti di QS, apprendiamo che i rapporti professionali e di consulenza tra professionisti sanitari competenti e industrie sarebbero inevitabili. Al di là di ogni discussione, ovviamente influenzata da diversi punti di vista etici o culturali, basterebbe smentire questa premessa: soprattutto, non è inevitabile che la collaborazione professionale con aziende private si traduca in guadagni personali. Ancora di più, non è per nulla scontato che le persone professionalmente più meritevoli siano legate da rapporti di collaborazione ed economici con industrie. Tantomeno che la competenza sia misurabile dall’entità di tali relazioni.
 
Beninteso, stiamo parlando dell’indipendenza personale, e non della legittima collaborazione dei centri di ricerca pubblici con aziende private ovviamente nel rispetto non solo delle aspettative di ritorno economico, ma soprattutto dei diritti dei cittadini e dei pazienti.
 
Le implicazioni riguardano non solo l’ambito della clinica e della ricerca, ma anche quello della comunicazione e dell’educazione continua del personale sanitario. Con quello che la direttrice della rivista, Fiona Godlee, definiva nel 2011 un ribaltamento di prospettiva, il British Medical Journal ha deciso di adottare una politica assai rigorosa: nel caso di contributi dal valore esplicitamente formativo non basta più dichiarare l’esistenza di contatti con l’industria ma qualunque esperto abbia intrattenuto rapporti con aziende è di per sé escluso dal novero degli autori. Senza ovviamente che questa maggiore attenzione abbia avuto conseguenze sulla qualità dei contenuti della rivista o dei suoi programmi formativi, a riprova del fatto che anche gli autori indipendenti erano persone di valore.
 
Altro esempio viene da Cochrane, network internazionale di ricercatori dedicati alla produzione di revisioni sistematiche, che esclude che i progetti di ricerca siano finanziati da aziende private con interessi reali o potenziali riguardanti i possibili esiti delle revisioni stesse. Nessun Cochrane Group può ricevere finanziamenti da sponsor o da fonti che abbiano interessi commerciali. In Italia, tra gli altri, il Cochrane Neurological Sciences Field con sede a Perugia, il Gruppo Cochrane Sclerosi multipla e malattie rare del sistema nervoso con base al Besta a Milano,  il Drug and Alcohol Group con base al Dipartimento di Epidemiologia del servizio sanitario del Lazio, unico centro GRADE italiano lavorano  grazie a finanziamenti pubblici nazionali e sovranazionali e, comunque, senza beneficiare di supporti che possano configurare una condizione di potenziale conflitto di interesse. Cochrane è una comunità composta da più di 11 mila clinici e ricercatori in oltre 130 nazioni del mondo che non hanno rapporti di consulenza con aziende con interessi in ambito sanitario: un esercito di incompetenti?
 
Il conflitto di interessi è una condizione di rischio di non integrità e illegalità e, se non governato, può danneggiare la reputazione delle istituzioni. Ben prima della medicina accademica questo pericolo è stato avvertito da alcune industrie che si sono date delle regole stringenti per prevenire possibili problemi. Il rischio più grave è che l’evidenza di conflitti di interesse possa intaccare la fiducia dei cittadini nella medicina e nel sistema stesso di tutela della salute: è un pericolo che il servizio sanitario nazionale non può permettersi di correre.
 
Per citare nuovamente Calvino, esistono due modi per non soffrire l’inferno: “Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” Ce la possiamo fare perché in Italia non mancano né la libertà né gli uomini liberi. Basta saperli riconoscere e avere il coraggio di sceglierli.
 
Luca De Fiore
Presidente, Associazione Alessandro Liberati Network Italiano Cochrane

18 luglio 2018
© Riproduzione riservata

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