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Spesa sanitaria. Salerno (Cerm): “In Italia previsioni sottostimate dell'1% del Pil. Rivedere indici di calcolo"

di Luciano Fassari

Da tempo Ocse ed Ecofin simulano l'andamento della spesa con un indicatore diverso da quello usato finora nei Paesi UE. Se applicato alla spesa storica, l'incidenza media sul Pil in Italia sarebbe più alta di circa 1 punto. È quanto sostiene il Senior economist del Cerm in uno studio appena pubblicato che ci ha illustrato in questa intervista. LO STUDIO

07 OTT - Calcoliamo bene le nostre previsioni di spesa sanitaria? Gli strumenti che abbiamo sono adeguati o serve modificare la metodologia? Queste le domande cui Nicola C. Salerno, Senior economist del Cerm ha cercato di dare una risposta attraverso un “Test sulle ipotesi delle proiezioni a medio-lungo termine della spesa sanitaria”. Un esercizio, come lo definisce lo stesso autore in questa intervista a Qs, che “ricostruisce l’incidenza della spesa sul Pil tra il 1988 e il 2012 e la confronta con il dato storico” e che evidenzia come, se si applicano nuovi indicatori proposti da Ocse ed Ecofin, risulta che la spesa nel 2012 dovrebbe essere più alta di 1 punto percentuale di Pil, ovvero proprio il differenziale che abbiamo rispetto agli altri Paesi Ue”.
 
Dottor Salerno, come mai questo test a ritroso nel tempo per analizzare le previsioni di spesa sanitaria?
L’esigenza nasce dal fatto di capire se abbiamo strumenti e metodologie valide per prevedere quale sarà l’andamento reale della spesa sanitaria futura. Per questa ragione ho voluto effettuare un test applicando a ritroso nel tempo (l’incidenza della spesa sul Pil tra il 1988 e il 2012) la metodologia di proiezione della spesa sanitaria utilizzata da Ocse-Ecofin e che si basa su profili di spesa pro-capite per fasce di età con un mark up pari ad un 1 punto percentuale, che è superiore rispetto a quello di 0,5 p.p. utilizzato per la maggiore fino ad oggi. Il tutto, chiaramente messo a confronto con la spesa storica effettiva
 
E cosa emerge con questo scenario?
Se la spesa pro-capite del 1988 cresce ad un tasso maggiorato di 1 p.p. rispetto al tasso di crescita del Pil pro-capite, l’incidenza sul Pil della spesa ricostruita risulta sempre maggiore rispetto all’incidenza storicamente osservata, con una differenza che nel 2012 è quantificabile in circa 1 p.p. di Pil. Più o meno il gap di spesa sanitaria pubblica che l’Italia ha nei confronti degli altri Paesi Ue.
Voglio precisare che la maggiorazione di 1 p.p. del tasso di crescita non è una semplice ipotesi: corrisponde al mark-up mediamente riscontrabile sulle serie storiche dei Paesi a economia e welfare sviluppati. È utilizzata, pur con alcune differenze, nelle proiezioni di Ecofin e di Ocse e corrisponde al mark-up che, applicato dall’anno base 1988 in poi, allineerebbe oggi la spesa sanitaria pubblica italiana, in percentuale del Pil, alla media dell’Area Euro.
 
Ma c’è una metodologia unica che viene applicata a livello internazionale?
Non c’è un metodo univoco e forse non sarebbe neanche un bene perché su questo tema è meglio un confronto sempre aperto. In ogni caso, fino ad oggi come le dicevo si è utilizzata nella maggior parte dei casi la metodologia di previsione che aveva un mark up aggiuntivo di 0,5 p.p. ma sono stati la stessa Ocse e l’Ecofin a rivedere la metodologia con un mark up più alto.
 
Ma perché applicare un mark up maggiore?
Perché negli ultimi 25 anni la policy ha interferito spesso e anche in maniera significativa con la dinamica della spesa. Sono state necessarie azioni di compressione e di rallentamento che fanno dubitare, adesso, che l’evoluzione della spesa contabilizzata sia rimasta nel tempo coerente con il fabbisogno. Un dubbio che trova amplificazione nel fatto che, mai dalla nascita del Ssn ad oggi, è stata compiuta una qualche verifica circostanziata dell’adeguatezza tra le risorse spese e le prestazioni da fornire (i Lea).
 
Quali sono secondo le azioni da intraprendere?
Innanzitutto i termini del dibattito dovrebbero essere più costruttivi. Abbiamo fatto diventare questi parametri come quelli della discordia. E poi occorrerebbe una migliore comprensione degli esercizi di proiezione, a partire dalla scelta delle ipotesi, ciò favorirebbe l’obiettività e il disegno della policy. Il problema è che in Italia intorno a questo tema si assiste al confronto tra due visioni che spesso contengo alcune incongruenze.
 
Quali?
Volendo semplificare i contenuti: da una parte ci sono i sostenitori di elasticità al Pil superiori all’unità, dall’altra quelli a sostegno di dinamiche più contenute e stabilizzate. I primi sembrano favorevoli allo sviluppo dell’offerta privata, i secondi a difesa del pubblico, ma ambedue le parti spesso confondono erogazione e finanziamento delle prestazioni.
 
In che modo?
Se si evidenzia per esempio che, in percentuale del Pil, l’Italia dedica alla sanità pubblica meno della media dell’Area Euro, non si può, allo stesso tempo, negare che se oggi l’Italia fosse allineata a quella media i tassi di crescita storicamente osservati nella spesa pro-capite sarebbero stati significativamente più alti dei tassi di crescita del Pil pro-capite. E, se è giusto che la finanza pubblica si sforzi, in quantità e qualità, di non lasciare l’Italia indietro rispetto alla sanità dei Partner Area Euro, allora si deve riconoscere che una dinamica forte come quella già vista può ripresentarsi anche in futuro, e che è necessario approntare per tempo idonee modalità di copertura.
 
Qual è quindi il messaggio dello studio?
Che le forti dinamiche di spesa attese non devono implicare in alcun modo una fuga dal Ssn, ma al contrario segnalano la necessità e l’urgenza di ammodernarlo e rinforzarlo per tenerlo all’altezza dei fabbisogni e della missione.
 
Luciano Fassari

07 ottobre 2013
© Riproduzione riservata


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