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Cancro. Diagnosi per 3 mln di italiani. Ma 1 su 4 è già guarito. Lorenzin: “Dopo la guarigione garantire il ritorno per tutti a una vita normale”

di Gennaro Barbieri

In aumento i casi: nel 2010 era 2,6 milioni. Ma circa i 25% è guarito, può cioè nutrire la stessa aspettativa di chi non ha mai avuto una diagnosi di tumore. Tra le donne il più diffuso è quello allla mammella, con 600mila casi. Tra gli uomini quello alla prostata: 300mila, pari al 26% del totale dei maschi con neoplasia. In entrambi i sessi frequente quello al colon retto. SINTESI RAPPORTO AIRTUM

09 MAR - Il numero degli italiani con una diagnosi di tumore, recente o passata, registra una progressiva crescita: erano 2,6 milioni nel 2010 e sono diventati 3 milioni nel 2015, segnando quindi un incremento del 20%. Una persona su 4 può però considerarsi già guarita, cioè può nutrire la stessa aspettativa di chi non ha mai avuto una diagnosi di tumore. E’ quanto emerge dallo studio ‘I tumori in Italia-Rapporto Airtum 2014: prevalenza e guarigione da tumore in Italia’, realizzato dall’Airtum (Associazione italiana registro tumori) Working Group.

Il fenomeno interessa soprattutto gli anziani: oltre il 20% dei maschi ultra75enni e il 13% delle femmine di questa fascia di età ha affrontato nella vita l’esperienza del cancro. Tra le tipologie, i casi più diffusi sono quelli di tumore alla mammella: oltre 600mila, pari al 41% di tutte le donne con neoplasia. A seguire i tumori al colon retto (12%), corpo dell’utero (7%) e tiroide (6%). Sono invece 300mila i maschi che hanno ricevuto una diagnosi di tumore alla prostata (il 26% del totale degli uomini con neoplasia) il 16% ha avuto un tumore alla vescica e un altro 16% al colon retto. Le morti per tumore registrano una flessione: dal 1996 al 2014 sono diminuite del 18% fra gli uomini e del 10% fra le donne. Il numero di nuovi casi invece resta sostanzialmente stabile con 365.500 diagnosi oncologiche nel 2014: erano 366mila lo scorso anno, 364mila nel 2012 e 360mila nel 2011. 

“Dobbiamo consentire alle persone, una volta guarite, di tornare alla vita normale – ha auspicato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin – Questo deve avvenire attraverso due processi: garantire alle persone di esercitare tutti i diritti in loro possesso ed evitare di sostenere un esercito di invalidi che peserebbe enormemente sulle casse del Ssn. La sfida è compiere un salto politico e culturale, dalla sopravvivenza alla guarigione. Un passaggio che in medicina è già stato realizzato”. La battaglia contro il cancro passa “comunque in maniera decisiva attraverso maggiori investimenti in prevenzione, contesto per cui in Italia si investono cifre ridicole”.

Miglioramenti di questo genere sono legati “a un impegno più consistente per la realizzazione di screening sul territorio, coinvolgendo maggiormente i medici di medicina generale, e implementando la copertura nazionale dei registri che ora si attesta al 51% e che a breve raggiungerà il 71%”. Una più incisiva prevenzione “dipende poi dai messaggi che siamo in grado di trasmettere, poiché le malattie croniche non sessualmente trasmissibili dipendono in buona parte dagli stili di vita”.

Un appello al ministro è stato rivolto in prima persona da Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo). “E’ necessario stabilire fermamente il diritto alla riabilitazione. In questo senso la conferenza odierna è di primaria importanza, in quanto certifica la possibilità di superare lo stigma secondo cui il cancro equivale a morte”. Lavorare per i malati di cancro “significa sostenere una battaglia sociale ineludibile costruire un argine a spese aggiuntive a danno del Ssn”.

Purtroppo, ha sottolineato De Lorenzo, il Ssn trascura sia la fase di riabilitazione post-trattamento acuto sia quella che segue alla remissione totale. La mancanza di supporto socio-economico-assistenziale carica di oneri le famiglie, costrette a provvedere a proprie spese alle forme di assistenza omesse dal Ssn nella fase post-acuzie. “Questa situazione non rimane confinata nell’ambito familiare, ma si riverbera sulla finanza pubblica, generando oneri sotto forma di assegni d’invalidità e pensioni evitabili. Solo in Italia, infatti, nel 2010 erano 2.587.347 le persone che vivevano dopo una diagnosi di tumore, pari al 4,4%della popolazione totale, nel 2015 saranno 3 milioni”.

Complessivamente lo studio rileva che il 60% dei pazienti a cui è stato diagnosticato un tumore ha avuto la diagnosi da oltre 5 anni. Il tempo di guarigione varia per ogni tipo di tumore ed è influenzato dall’età al momento della diagnosi e dal sesso del soggetto colpito.  I pazienti con tumore del testicolo e della tiroide guariscono mediamente in meno di 5 anni; i pazienti con i tumori di stomaco, colon retto, pancreas, corpo e cervice uterina, cervello e linfoma di Hodgkin guariscono in meno di 10 anni. Le pazienti con tumore della mammella e i pazienti con tumore della prostata invece raggiungono una mortalità simile a quella della popolazione generale dopo circa 20 anni dalla diagnosi. Per i pazienti con tumore di fegato, laringe, linfomi non-Hodgkin e mielomi, il rischio di morire a causa del tumore si mantiene anche oltre 25 anni dalla diagnosi.

Emergono anche notevoli differenze di prevalenza tra le aree geografiche. Oltre il 5% (uno su 20) di tutti i residenti nel Nord Italia hanno avuto una diagnosi neo plastica con valori intorno al 6% nella città di Milano e nelle Province di Ferrara e Genova. In tutte le aree del Sud e nella Provincia di Latina le proporzioni risultavano inferiori al 4%. Le differenze di prevalenza tra i registri del Nord e quelli del Sud (+63%) si sono leggermente ridotte rispetto alle differenze registrate al 2006 (+73%).

Sono quindi in atto numerosi cambiamenti a più livelli. “Stiamo affrontando una nuova fase della sanità italiana – ha evidenziato Lorenzin – e per questo gli schemi utilizzati negli ultimi 15 anni per la spesa farmaceutica non saranno più efficaci. Sarà infatti enorme, in termini di trasformazioni, l’impatto esercitato dalla ricerca scientifica”. Il Ssn deve quindi “adeguarsi e riuscire a garantire, confermando l’universalismo, l’accesso all’innovazione per tutti i cittadini”. Il tema dei nuovi farmaci è già “stato affrontato con le risorse da destinare per quello sull’epatite C”.
 
Gennaro Barbieri

09 marzo 2015
© Riproduzione riservata


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