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Rapporto Ocse 2012. E con la crisi crolla anche la spesa sanitaria

di Maurizio Imperiali

La media dei 34 paesi aderenti all’Organizzazione mostra che nel 2010 non sono aumentate le risorse impiegate per la tutela della salute. E in Europa, anzi, l’andamento dei Paesi finanziariamente più compromessi ha determinato una riduzione. Vedi il capitolo sull'Italia.

28 GIU - Per carità, sui dati medi si sprecano ironie e battute ma, come ammonivano i professori di matematica, sui grandi numeri l’ironia è fuori luogo. E così va preso seriamente il rapporto dell’Ocse (Oecd) Health Data 2012 (divulgato oggi) quando segnala che nel 2010 si è raggiunta la crescita zero. In termini reali, nella quasi totalità dei 34 Paesi aderenti, la spesa sanitaria era cresciuta nel periodo 2000-2009 del 5% e quindi la frenata del 2010 è senz’altro brusca e determinata in larga misura da una diminuzione media della spesa pubblica pari a mezzo punto percentuale.

La riduzione della spesa pubblica si è concentrata in Europa, e questo conferma come sia figlia della crisi economica che proprio nel Vecchio continente si è concentrata; d’altra parte, fatta eccezione tra gli altri per Stati Uniti, Nuova Zelanda, Canada (più 3% circa), i Paesi in cui ha continuato a crescere sono tra quelli in cui maggiore era il divario da colmare rispetto al livello di spesa, e di servizi, rispetto agli standard del mondo industrializzato: la Corea del Sud, per esempio, con un aumento dell’8%, più o meno pari a quello del Cile.

In Europa, a guidare la riduzione della spesa sono state Irlanda, meno 7,6%, Islanda, meno 7,5% (con un meno 9,3% della parte pubblica), Estonia e Grecia, con un meno 6% complessivo.   

In questo quadro, l’Italia non rientra certo tra le cicale: nel 2010 la spesa (pubblica e privata) si è collocata al 9,3% del PIL, quindi leggermente al di sotto della media Ocse e significativamente inferiore a quella di Olanda (12%), Francia e Germania (11,6%) ma anche della Gran Bretagna (9,6%). Improponibile il paragone con gli Stati Uniti che con la loro spesa pari al 17,6% del PIL continuano a dimostrare – in negativo – l’efficienza del mercato e del sistema privatistico (che la presidenza Obama ha tentato invano di riformare).

Anche la spesa capitaria italiana è al di sotto della media Ocse: 2964 dollari americani contro 3268 (i confronti sono fatti considerando il differente potere d’acquisto). Per restare in ambito di servizi sanitari universalistici, in Gran Bretagna la spesa pro capite è stata superiore alla media, con 3433 dollari statunitensi. In termini reali, la spesa sanitaria italiana è cresciuta dell’1,9% l’anno tra il 2000 e il 2009 e dell’1,5% nel 2010 che però è probabile non resterà a lungo l’annus horribilis, ma rischia di diventare parte dei “bei tempi andati”. Ancora una volta, non siamo stati cicale: la spesa britannica ha avuto una crescita annua del 5,2% tra il 2000 e il 2009 e solo nel 2010 è  cresciuta meno di quella italiana, anche se un aumento contenuto allo 0,2% non è un dato trascurabile.  

Oltretutto la Gran Bretagna continua a vedere una spesa sanitaria in larghissima misura pubblica: l’83,2% nel 2010, un po’ meno che nel 2009 (84,1%) ma comunque ben al di sopra della media Ocse, che è pari al 72,2%. Anche l’Italia è sopra la media, ma con il 79,6%, in Francia il dato corrispondente è il 77%, in Germania il 76,8% e quest’ultima non ha visto cambiamenti nel tasso di crescita neppure nel 2010 (oltre il 2% medio nel decennio).

Non sembra dunque che l’Italia corrisponda ancora a quel ritratto – forse mai realmente veritiero – dove tutti  hanno tutto gratis (tutti gli evasori fiscali, semmai). E viene da chiedersi: senza le siringhe pagate come fossero gadget di James Bond o gli stock di protesi del testicolo, l’Italia che posto occuperebbe in queste classifiche?
 
Maurizio Imperiali



  
  
 

28 giugno 2012
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