Dai buoni principi alle buone pratiche. Alcune possibili linee di azione per una riforma del Ssn

Dai buoni principi alle buone pratiche. Alcune possibili linee di azione per una riforma del Ssn

Dai buoni principi alle buone pratiche. Alcune possibili linee di azione per una riforma del Ssn
Molte delle idee e proposte di riforma del Ssn si basano su buoni principi. Tra questi, la sostenibilità economica,  possibile solamente se, in modo condiviso, si adotteranno nuove politiche economiche indispensabili per disporre delle nuove risorse necessarie a ridare giusta collocazione a equità, diritti, efficacia, efficienza, innovazione, valorizzazione del personale, centralità della persona epresa in carico. La complessità di questi temi e la realizzazione di nuove e più capaci reti di cura territoriali richiede la presenza di più solidi strumenti di governance, realizzabili anche con i “Distretti forti”

Alle attuali ipotesi di riforme del SSN, che Quotidiano Sanità continua lodevolmente ad ospitare, vorremmo aggiungere alcuni nostri spunti di riflessione partendo dai buoni principi ispiratori. Questi, generalmente, discendono da valori e generano regole in base alle quali riteniamo giusto scegliere, vivere, agire. Ci sembra che un obiettivo della riforma dovrebbe essere porre in equilibrio coerente valori, principi e pratiche. Ci soffermeremo in particolare su alcune di queste ultime, per avanzare alcune proposte su come agire nella complicata “transizione” dalle “giuste” teorie alle “buone” prassi.

1 – La ricerca dell’equità, in particolare dell’accesso alle cure rappresenta un primo aspetto peculiare di una riforma del SSN basato su nobili principi. A riguardo, ricordiamo che WHO sostiene da sempre che per assicurarla un primo fattore consiste nell’avere servizi con soglia bassa di accesso, gratuita, diffusa, capillare; un primo punto di contatto sanitario qualificato, sostenuto da un’Istituzione pubblica, che si sostanzia nella disponibilità ubiquitaria di una fitta e solida rete di cure primarie, in accordo con la Primary Health Care (PHC), da noi oggi espressa nei “servizi di prossimità”. Merita sottolineare che questa prerogativa delle cure primarie precede l’accesso alle cure specialistiche, oggetto in questo periodo, comprensibilmente, di grandi attenzioni per le note criticità (oggettive) su tempi e liste di attesa, barriere esistenti proprio a causa delle imperfette ed incomplete condizioni della nostra PHC-assistenza primaria.

Grazie a valide cure primarie si potrebbe anche realizzare il governo della domanda, ulteriore motivo perché in un SSN “riformato” questo pilastro esista in ogni zona del Paese, prima porta di accesso ai livelli di cura più complessi, la cui carenza attuale è fonte di squilibrio del nostro sistema. Mantenere deboli o assenti distretti “forti nel nostro Paese è un prezzo che continuiamo a pagare, essendo i distretti i primi candidati a realizzare la PHC, il coordinamento e la governance del sistema esteso territoriale. La riforma dovrebbe togliere ogni incertezza, per portarli a divenire le preferite strutture istituzionali ben riconosciute dal sistema e ben riconoscibili dalla cittadinanza. In questo contesto si inserisce la questione della medicina generale, perno delle cure primarie. Qualunque sia la soluzione contrattuale (convenzione? dipendenza?) la riforma dovrà essere convinta e convincente nel porre il governo della medicina generale chiaramente in capo a “qualcuno-qualcosa”: a nostro avviso, ai distretti. Chi altro, in alternativa? È un nodo irrisolto, che continua a causare confusione e pratiche imperfette.

2- Strettamente connesse all’equità vivono la solidarietà e sostenibilità, due caratteristiche ineludibili di un Servizio sanitario pubblico, riprese anche in un recente documento di nuove “policy proposals” . Il rispetto del principio di solidarietà, senza la pretesa di dire una cosa nuova, impone di dotarsi senza esitazioni di una vera riforma fiscale, per ampliare, di molto, il basso numero degli attuali contribuenti; i dati mostrano progressi, ma esistono ampi spazi di miglioramento, se si pensa che “dalle dichiarazioni dei redditi 2022 risulta che il 56% della popolazione paga a malapena l’8% dell’IRPEF (NDAA: progressiva, a differenza dell’IVA, regressiva) e, si suppone, ancor meno per le altre imposte, comprese quelle indirette. Insomma, un Paese del G8 in cui il 56% degli abitanti vive in media con meno di mille euro lordi al mese” (cfr fonte).

Meno compresa e spiegata, e meno intuitiva, è la questione della sostenibilità. Se ammettiamo che il sistema è sostenibile quanto noi lo vogliamo, dobbiamo capire perché non possiamo finanziarlo con maggiori risorse e come invece sarebbe possibile. “Aumentiamo i finanziamenti del SSN” è ormai uno slogan, perché non spiega come procurarseli (ingannevole dire con l’aumento della percentuale rispetto al PIL, che non cresce a sufficienza) e quali sono le cause della debolezza. Se è vero che ci servirebbero 40-50 miliardi in più (varrebbero circa tre punti di PIL); è doveroso chiedersi “perché non li abbiamo? Come possiamo reperire queste risorse? Ci sembra poco diffusa la volontà di conoscere e capire bene questa realtà di penuria, che ha delle cause, né inevitabili né immodificabili. Per dare più risorse al SSN non bastano proclami, nè buone intenzioni, e nemmeno ottimizzazioni dell’impiego delle risorse disponibili, pur doverose (come mai molte ASL/DG non ci riescono?).

La prima domanda da porsi è dunque fondamentale e molto semplice: “come siamo arrivati a questo punto?”. Senza questa domanda-diagnosi e risposta-terapia non salveremo il SSN. Una, autorevole, l’ha fornita Mario Draghi a La Hulpe “Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale prociclica, l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale.” Viene dunque definitivamente ammessa, da parte di un decisore leader, una serie di errori che “hanno minato il nostro (sic: nostro) modello sociale”, quindi anche il nostro welfare e SSN.

Aver imposto per anni misure di stringente austerità (manovre procicliche, regressive) anziché espansive (anticicliche) è stato un errore che ha prodotto (e produce) povertà, del SSN e di milioni di cittadini, famiglie ed imprese, e ciò proprio a causa di quelle scelte di politiche economiche propagandate per anni dal mainstream come “inevitabili e necessarie soluzioni ai problemi” (alto deficit e debito pubblico, scarsa produttività, ecc.), che si sono rivelate invece sbagliate, con aggravamento di quei problemi, ed aumento della disoccupazione, crollo degli investimenti, mancata crescita, e molto altro 1. Orbene, a nostro avviso il primo passo per una vera, credibile riforma della sanità pubblica impone di acquisire da parte di tutti gli interessati alle sorti del SSN giusta consapevolezza per richiedere con forza e convinzione un radicale, indispensabile, indifferibile ripensamento e mutamento delle attuali politiche macroeconomiche, in particolare riferite ai vincoli di bilancio esterni (dei Trattati della UE) ed interni (manovre di austerità ex art. 81 Cost.), ormai di provata dannosità, non solamente per la sanità pubblica, ma per tutto il welfare e l’intero sistema Paese.

Oggi patiamo quelle scelte sbagliate, presentate come ineludibili misure di natura tecnica, ma in realtà politiche, fondate sulla intoccabile “ideologia-teologia” del neoliberismo 2,3,4,5, nei fatti sempre perdente5, antitetica al nostro welfare e al SSN, ed incompatibili con la possibilità di avviare un programma riformatore vero. Senza una leale e lucida comprensione di questi errori, taciuti o addirittura negati nella narrazione comune, che invece continua a sostenerla, non ci sarà mai riforma. I cinquanta miliardi di euro (all’anno !) potranno arrivare dal cambiamento nel tempo medio e lungo (più lustri che anni), ma da subito si potranno avere benefici (lo si è visto durante il periodo pandemico e post pandemico) interrompendo le attuali politiche economiche, di provata dannosità5. Le alternative sono ben documentate dalla letteratura scientifica 5. Perfino Blanchard, uno dei più influenti economisti mondiali, ortodosso verso l’austerità ma non dogmatico, è ritornato oggi sui suoi passi affermando che “Il debito pubblico non è di per sé diabolico12.
Il dissenso dunque non proviene solamente da economisti “fuori dal coro” e deve essere ben compreso ed espresso da chiunque sia impegnato nel cercare idee nuove per una riforma del SSN, per esercitare motivate pressioni per una sospensione di quelle politiche, ahime sostenute dalle parti c.d. progressiste, o quantomeno il loro non-potenziamento (prima risposta all’allarme dei giorni scorsi delle Regioni. Come è possibile continuare oggi a sostenere che “ci vuole di più” di ciò che ha prodotto ben documentati e ben visibili danni ?

3- A questo punto si inserisce, confidiamo in modo più convincente, il tema dei diritti (al plurale) della salute. Il principio di rispettare questo diritto costituzionale, progenitore del SSN, si concretizza nei LEA. Le prestazioni incluse nei LEA sono diritti esigibili perché hanno già superato il vaglio dell’evidenza scientifica e della compatibilità economica (leggi: MEF), e quindi sono coerenti con i principi dell’appropriatezza globale. Per questo sono essenziali, necessarie per la salute e di conseguenza incomprimibili: lo afferma la Suprema Corte, che richiama Stato e Regioni ad “agire in leale collaborazione” per la corretta corresponsione. Per una riforma vera, autentica, di progresso, che si allontana dal “meno” e va verso “il più”, serve opporsi ad ogni dubbio ed erronea asserzione della irrealizzabilità dei LEA. È riduttivo pensare ad un universalismo che sostanzialmente si concreta nel “dare poco a molti” e non invece nel garantire ogni prestazione LEA necessaria a ciascuno che ne manifesti reale esigenza (“reale” in quanto derivante da mediazione tecnica, dunque assunta come oggettiva). La vera riforma dovrà (ri)portare a questo, comprendendo un’altra declinazione della “E” dei LEA, quella di essere ESIGENTI – e di cui portiamo Responsabilità, verso un “reale upgrade”, in cui si coniuga equità, universalismo, globalità delle risposte.

È un ritorno all’originale volontà primigenia del nostro SSN di assicurare diritti, che assume oggi i connotati di riforma che “guarda al futuro” apparentemente “tornando al passato” (in Italia, altre recenti “riforme” propagandate come “di progresso” stanno creando regresso). Secondo una corrente di pensiero attuale un principio dell’auspicata riforma consisterebbe nel “sano realismo di promettere solo ciò che si può mantenere”. Dissentiamo da questa visione. Il “sano realismo” è quello di abbandonare l’insano liberismo e di perseguire politiche economiche in grado di produrre risorse “giuste”5 per mantenere ciò che si è già promesso con i LEA correnti, e quelli a venire, inevitabili per adeguarsi ai nuovi e crescenti bisogni. Il “sano realismo” riapre, non chiude le occasioni perché queste promesse divengano premesse al rispetto dei diritti (al plurale perché non compresi solamente nell’art. 32).

La salute dipende dall’economia? Certo, che scoperta; ma vale anche il contrario: la Salute è Economica, è Economia delle interdipendenze, generativa. Da questo e per questo intrinseco rapporto di strumento e di fine, si può e si deve sostenere il SSN Universale. Lo si può fare innanzitutto non eludendo nuove scelte economiche appropriate, di provata buona efficacia per questo scopo. La “moderazione” del programma riformatore porterebbe inevitabilmente alla sua negazione. E diciamolo: è un male che già le attuali regole (pur derivanti da buoni principi e valori) non riescano ad evitare queste sottrazioni di diritti.

Il giusto futuro del servizio pubblico sta nel poter assicurare ciò che “realmente” serve a ciascuno, nello scenario correttamente interpretato e declinato dei LEA; che non è quello di “dare tutto a tutti”- come affermano coloro che vogliono in realtà così “buttare la palla in tribuna”- ma di offrire ed assicurare esattamente le risposte personalizzate, efficaci per ogni cittadino portatore di bisogni oggettivi, rilevati dalla mediazione tecnica, realizzando Livelli Equi di Assistenza, dando diversità a diversi. E dato che ciò non avviene principalmente per il punto 2, ecco quindi che la riforma essere preceduta/affiancata da politiche economiche “riformate”, anticicliche, anti-regressive, al fine di aggiungere, non togliere. Altrimenti che riforma sarebbe?

Una riflessione a corollario. Una vera riforma potrà svilupparsi quando ci sarà diffusa consapevolezza del fatto che i soldi del SSN “sono soldi nostri” ed anche per questo noi, da contribuenti-cittadini, possiamo e dobbiamo chiedere conto di come questi sono spesi e quali risultati sono raggiunti, e, soprattutto, quali sono i bisogni ancora non corrisposti e quante/quali risorse sarebbero necessarie per soddisfarli e la loro provenienza-fonte. Proponiamo: la riforma preveda meccanismi per cui scegliamo “insieme” gli obiettivi e le priorità per ridurre le disuguaglianze di salute, obiettivo del SSN forse ancora più importante del generico “dare-fare più salute”. La riforma da noi attesa per un SSN “migliore” conduce all’apertura ad una visione dialogica, circolare, sistemica, (possiamo dire democratica ?) superando quella attuale lineare, frammentante, tecnocratica elitaria, che esclude cittadini ed operatori.

Merita soffermarsi sulla valorizzazione del personale, altro “principio” di grande valore su cui rifondare-riformare il SSN: senza nuovi, dovuti più elevati livelli di soddisfazione, qualità, responsabilità, autonomia e, a ciò conseguente, maggiore produttività degli operatori, di ogni professione, non si spiccherà mai il volo. Le attuali criticità sono avvertite dagli operatori nei bassi livelli salariali (vedi punto 2 sul perché), nel loro status, nel cattivo clima aziendale, motivazionale, di ascolto e dialogo con i decisori, nell’isolamento, nella perdita di senso di appartenenza, di partecipazione. In proposito è interessante come è affrontato il tema nel recente rapporto Darzi dell’NHS inglese. La nostra generazione ha vissuto in un clima di orgoglio, di soddisfatta appartenenza al servizio pubblico, di appassionata crescita professionale al suo interno, di percezione di progresso continuo; non si vede perché dobbiamo rassegnarci a privarne le nuove generazioni di professionisti.

Ancora in tema di valorizzazione del personale, avvertiamo l’esigenza di richiamare l’attenzione sul tema della formazione degli operatori. Rientra, a nostro avviso, tra i temi dell’innovazione. Ed una proposta innovativa potrebbe essere quella di far confluire nel sistema pubblico quote dei tanti soldi che le aziende produttrici di beni e servizi pagati dal SSN (farmaci, devices, protesi, servizi, ecc.) spendono in marketing, promozioni, pubblicità ecc. ed anche per eventi “formativi”, in cui sono spesso ben percebili le pressioni prescrittive… Questi nuovi fondi in disponibilità diretta delle istituzioni pubbliche potrebbero costituire occasioni virtuose di formazione veramente indipendente e di governo della domanda.

4. Da tempo sono considerati “Princìpi” dell’aziendalizzazione l’efficacia e l’efficienza. Una prima osservazione è che non sempre nella loro declinazione operativa sono ricordati in questo ordine di priorità e gerarchia di valore, particolare secondo noi non trascurabile e coerente con il fatto che l’Azienda Sanitaria pubblica deve essere mezzo e non fine (non è un’impresa). A nostro avviso, infatti, la ricerca e raggiungimento di una maggiore efficacia dovrà sempre privilegiare quello della efficienza, nell’idea che tutto ciò che è di provata efficacia per la persona-paziente sarà anche efficiente per il sistema pubblico. Se riuscissimo a raggiungere alti standard di giusta efficacia crescerebbero anche l’equità e l’efficienza. Ciò attiene all’equilibrio del rapporto costi/benefici degli interventi, considerando i costi come investimenti capaci di un ritorno di valore nel medio-lungo termine (interpretazione condivisibile del value ?). La ricerca dell’equilibrio è nell’unione inscindibile tra efficacia-efficienza-equità (grande oggi il problema dei non-user e under-user) e la riforma deve predisporre gli strumenti per favorire l’obiettivo dell’efficienza quale corollario-conseguenza dell’efficacia.

Ancora, condividiamo senz’altro la posizione di chi sottolinea la necessità di “sobrietà” e di “lentezza” nel perseguire il Bene, evitando con saggezza che il meglio lo ostacoli o lo dissipi. Da qui la necessità di una Governance della giustezza, uscendo dalla retorica dell’emergenza continua per approdare alla continuità delle cure nel Tempo. Bene potenziare la capacità di giusta presa in carico e di maggiore proattività per crescere nell’efficacia, ma per questo è indispensabile la presenza di una solida rete di PHC (v. sopra), in cui sia di uso corrente la cartella personale informatizzata, fattore di innovazione.
Senza l’uso routinario di un electronic personal record (EPR – diverso dal FSE) non si potrà mai fare una vera medicina di iniziativa, una ottima presa in carico (soprattutto long-term) nei diversi, inevitabili, diversi setting di cura che si susseguono tra cure ambulatoriali, domiciliari, ospedaliere, cure intermedie. È strumento irrinunciabile di integrazione tra tutti gli attori di cura e di continuità, non un optional.

Tra le innovazioni, conta il raggiungimento dell’abitudine alla co-programmazione/progettazione e co-gestione dei servizi territoriali. Questo e l’estendersi quanti/qualitativo dei servizi/strutture territoriali e, speriamo, del numero di attori di cura formali od informali, meglio se in equipe, richiede forme innovative e potenti di governance. Ci piacerebbe che la riforma portasse in sé la novità di una struttura aziendale obbligatoria che ne assume in ogni singolo territorio specifico ruolo e funzione, accanto al compito della committenza e del suo controllo a garanzia degli esiti, prevedendo revisioni a breve, medio, lungo termine. Questo si può ottenere attraverso la presenza di “distretti forti “, non ancora del tutto e dappertutto riconosciuti come strumento necessario.

5- Nel documento dei 15 Principi è interessante come è posto il tema delle “interdipendenze orizzontali e verticali”. Vi aggiungeremmo quelle “trasversali”, per andare oltre le matrici e le reti ed entrare nelle nebulose (cloud – reti wireless) della complessità. Interdipendenza è termine non usuale in sanità quanto in economia, ma ci piace perché lo possiamo riferire all’idea che ciascun elemento del “sistema” è consapevole che le azioni di un elemento hanno effetti sugli altri. Da qui dovrebbe scaturire l’esigenza di un’azione collettiva, per fare in modo che ciascuno agisca il più possibile in modo da favorire gli altri membri del sistema.

Quanto sia pertinente ad un SSN complesso, portatore di interessi comuni per la salute individuale e collettiva e è ben evidente, e ci sembra sia complementare alla “integrazione”. Ci uniamo a chi auspica una riforma che favorisce il superamento dei silos ed i coordinamenti unitari, per noi sanitari identificabile nell’integrazione trasversale, che fa tesoro di quella verticale ed orizzontale. Riguardo a quest’ultima, un sistema di assistenza sociale innovato, più ricco e quindi più solido (non solo rivolto agli indigenti, ma universale, in primis quando le azioni hanno rilevanza sanitaria) deve rientrare in una riforma della sanità. Si potrebbe così evitare il ricorso inappropriato all’ambito sanitario per le tante azioni nelle cosiddette “aree grigie” del confine sanità-sociale, e quindi per i bisogni complessi nel campo della salute mentale, dipendenze, demenza e non autosufficienza senile (deprecabile l’assenza di finanziamenti sulla nuova legge 33, anche qui collegata al punto 2), disabilità, problematicità familiari-minorili. Uno strumento di integrazione innovativa potrebbe essere quello di spostare eventuali risorse programmate per il SSN al “sociale”, di pertinenza dei Comuni/Ambiti, con costituzione di “nuovi portafogli integrati sanità-sociale”, condivisi e co-gestiti tra Distretti/ASL e Comuni/Ambiti, flessibili nell’uso, per realizzare di più e meglio le prese in carico delle persone con bisogni complessi, le risposte personalizzate “sociali integrate”, che impattano grandemente sulla salute-malattia. Per quanto riguarda l’interdipendenza (integrazione) verticale, merita occuparsi ancora più a fondo di quella tra medicina generalista e specialistica, a vantaggio reciproco e quindi del paziente, il che richiede un processo riformatore che faciliti la multiprofessionalità, la comunanza e condivisione di finalità, strumenti, interessi, linguaggi, motivazioni, obiettivi. Per tutto questo la prima leva del cambiamento e responsabile del processo dovrebbe secondo noi essere il Distretto “forte”.

Rimandiamo ad altre occasioni eventuali approfondimenti su altri temi importanti, ruotanti attorno a quelli qui illustrati. Per non concludere, pensiamo che ogni idea di progetto riformatore debba riuscire a (ri)valorizzare la ricchezza esistente dei buoni principi e valori, evitare di lasciarli impallidire e anemizzarsi, immettere un “(ri)costituente energetico” verso nuovi scenari macroeconomici, unici in grado di generare nuove risorse per buone pratiche innovative, volte a debellare conformismo, rassegnazione; a generare nei cittadini fiducia nel SSN e negli operatori crescita della motivazione, impegno, passione e gioia di lavorare; in ciascuno di noi voglia di aumentare conoscenze, confronto, partecipazione.

Paolo Da Col e Antonino Trimarchi

Riferimenti nel testo

  1. https://goofynomics.blogspot.com/
  2. David Harvey. Breve storia del neoliberismo. Il Saggiatore, 2005
  3. Giulio Moini. Neoliberismo. Mondadori Università, Milano, 2020
  4. https://eugeniopavarani.it/category/un-percorso/
  5. Joseph E. Stiglitz. L’Euro. Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa. Einaudi, 2017. (NdAA: si raccomanda la lettura almeno dei primi quattro capitoli)

P. Da Col, A. Trimarchi

19 Febbraio 2025

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