Il progetto "Un ospedale senza HCV: si può", coordinato dal Prof. Francesco Paolo Russo a Padova, rivela che la maggioranza dei pazienti positivi all’epatite C sfugge ai criteri di screening nazionali. Dati e analisi suggeriscono l'urgenza di ampliare la popolazione target per aumentare la diagnosi precoce e ridurre la diffusione del virus
L’attuale modello nazionale di screening per l’epatite C rischia di lasciare fuori una fetta importante di popolazione infetta. È quanto emerge dal progetto Un ospedale senza HCV: si può, il cui Responsabile Scientifico è stato il Prof. Francesco Paolo Russo, medico dell’UOC di gastroenterologia presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova. I dati raccolti indicano chiaramente che limitare il test ai nati tra il 1969 e il 1989 non è sufficiente: la maggioranza dei pazienti positivi, infatti, non rientrava in questa fascia di età. Da qui la necessità di ampliare i criteri di screening per intercettare più precocemente il virus e ridurre la sua diffusione.
“Abbiamo eseguito lo screening per l’HCV nell’ Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova grazie a un progetto specifico dal titolo Un ospedale senza HCV: si può, sponsorizzato dalla Regione”, ha raccontato il Prof. Russo. Il progetto ha coinvolto quasi 11.000 soggetti ricoverati tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2022, sottoposti a screening per la ricerca degli anticorpi anti-HCV. “Di questi 11.000 soggetti, il 4,5% è risultato positivo, e di questi il 20% è risultato positivo alla carica virale, che è un numero molto importante”. Tradotto in cifre, circa l’1% di tutta la popolazione testata è risultata positiva al virus attivo dell’epatite C.
Ma il dato che più sorprende riguarda l’età dei pazienti colpiti. “La maggior parte di questi soggetti era al di fuori delle categorie per cui, a livello nazionale, è previsto lo screening per l’epatite C,” ha precisato Russo. Il programma nazionale, infatti, si concentra sui nati tra il 1969 e il 1989, ma l’esperienza padovana ha rivelato che la prevalenza della viremia è alta anche tra soggetti nati prima del 1969.
In totale, il 77% dei soggetti con infezione attiva non rientrava nella fascia di età prevista dallo screening nazionale. “Questo è un dato molto importante perché suggerisce anche a livello nazionale che dovrebbe essere data la possibilità di screening anche alle persone che non rientrano in quella fascia,” sottolinea Russo.
Per quanto riguarda i trattamenti, circa il 50% dei pazienti viremici identificati è stato avviato alla terapia antivirale. “I dati emersi sono stati anche sottomessi all’attenzione di esponenti politici della Regione Veneto, che si sono dimostrati sensibili al tema”, conclude Russo. “Bisogna prevedere, all’interno degli ospedali, dei protocolli specifici che ci aiutino a non perdere i pazienti positivi. E la speranza è che possano essere allargati i criteri dello screening per l’HCV a livello nazionale”.
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