Gentile Direttore,
il Veneto non ha un Accordo Integrativo Regionale (AIR) che definisca il ruolo unico per la medicina generale. Il medico che dovrebbe scegliere questo lavoro, dopo 3 anni di preparazione e un diploma, in realtà non sa cosa farà, né dove lo farà, per le quote orarie (da 38 a 6 ore settimanali), né tantomeno quanto queste ore saranno retribuite. Si accetterebbe un lavoro con queste premesse? Da gennaio 2024 il Sindacato Medici Italiani chiede che venga definito l’AIR che serve per concordare questi elementi e togliere dall’incertezza chi sceglie di fare il medico di medicina generale, così Liliana Lora, Segretaria Regionale Veneto dello SMI sulle mancate accettazioni delle zone carenti per la medicina generale in regione.
Dalla firma dell’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) del 2023 la Medicina Generale attende che la Regione Veneto realizzi quanto appunto l’ACN, il PNNR, il DM 77/2022, che definisce modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale e, ancora prima, la Legge Balduzzi, prevedono.
Solo da quindici giorni, dopo continue richieste abbiamo iniziato ad essere convocati per le trattative come rappresentanze sindacali di categoria. Non sembra che sia un po’ tardi per una riforma così importante che deve essere realizzata entro fine anno/inizio 2026? La direzione regionale era “presa” da altre questioni o non riteneva prioritario dire a dei professionisti cosa si aspettava e cosa era disponibile a investire per l’assistenza territoriale ai suoi cittadini? Sorge il dubbio che forse non voleva dichiarare come voleva finanziare tutto ciò.
I pensionamenti non sono coperti da giovani medici perché il sistema formativo, quello delle borse di studio non assicura il ricambio generazionale nella professione medica in tempi certi. Per queste ragioni lo SMI, a livello nazionale reclama con forza l’istituzione di una scuola di specializzazione per i medici di medicina generale che faccia superare la drammatica carenza di nuovi medici di famiglia.
Ad oggi circa il 70% dei medici di famiglia deve sborsare dai 300 ai 400 euro mensili di tasca sua per garantire personale di accoglienza ai pazienti. Tutte le spese di affitto e utenze (gas, luce, acqua, telefonia e linee internet, pulizie carta toner stampanti) sono a carico del singolo medico che ad ora non sa quale sarà il suo reale stipendio.
A fronte di un impegno certo nel quantum, ma non definito nei modi, non è presente una auto organizzazione come caratteristica del contratto in convenzione, quello dei medici di famiglia, e per contro non sono previste tutele (malattia, ferie, maternità, distacchi per cure parentali). I medici di medicina generale non sono dipendenti ma devono rispettare degli obblighi senza poter usufruire di tutele: oggi chi sceglierebbe un lavoro con queste caratteristiche?
Liliana Lora
Segretaria Regionale Veneto Sindacato Medici Italiani (SMI)