Gentile Direttore,
la tenuta del Servizio Sanitario Nazionale è oggi una delle grandi questioni irrisolte del nostro tempo. Non si tratta più di affrontare una crisi settoriale, ma di rispondere a un’emergenza sistemica che interroga le fondamenta stesse del nostro patto sociale e costituzionale.
Mancano oltre 60.000 infermieri negli ospedali pubblici italiani. I corsi di laurea in Infermieristica, sebbene potenziati rispetto al passato, non riescono più ad attrarre né a trattenere: molti posti restano vacanti, e il tasso di abbandono è elevato già nel primo anno di studi. A questo si aggiunge l’insufficienza del ricambio generazionale e l’inarrestabile fuga dal servizio pubblico, verso la libera professione o l’estero. Tra il 2017 e il 2023 si contano oltre 7.700 fuoriuscite volontarie verso il privato, mentre almeno 3.000 professionisti hanno lasciato il Paese nel solo 2023. È il segno inequivocabile di un sistema che, così com’è, non è più in grado di garantire attrattività, stabilità, né tanto meno fiducia.
Ma non è solo una questione numerica o funzionale. Qui è in gioco il riconoscimento della dignità del lavoro di cura. È in gioco il rispetto concreto di quel principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione, e il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quando chi si prende cura degli altri lavora in condizioni di precarietà materiale, di disorganizzazione cronica, di invisibilità professionale, allora non siamo di fronte solo a un problema organizzativo, ma a una profonda ingiustizia sociale.
Per questo, ogni riforma che voglia essere credibile non può limitarsi a un aumento delle retribuzioni, pur necessario. Occorre andare oltre. Occorre restituire alle professioni sanitarie — in particolare a quella infermieristica — una prospettiva, un ruolo, un destino pubblico. Servono percorsi di carriera reali e strutturati, specializzazioni riconosciute giuridicamente e contrattualmente, condizioni di lavoro sicure, ambienti organizzativi dotati di personale di supporto, e una piena valorizzazione delle competenze, anche ai fini dell’autonomia decisionale e gestionale.
È tempo di immaginare un nuovo modello di sanità pubblica: fondato non sulla logica dell’emergenza e del contenimento, ma su quella della cura del capitale umano, della programmazione, della giustizia intergenerazionale. Un sistema capace di riconoscere che un infermiere formato, motivato e rispettato non è un costo, ma un presidio di civiltà. Che una retribuzione dignitosa non è un premio, ma un diritto. Che il lavoro nella sanità non può più essere visto come sacrificio, ma come scelta professionale pienamente compatibile con una vita degna di essere vissuta.
Chi opera nella sanità pubblica, ogni giorno, rappresenta lo Stato nel suo volto più umano. Rappresenta la mano tesa della Repubblica, la concreta attuazione dell’art. 32 Cost. E allora è tempo che lo Stato, a sua volta, torni a farsi garante della dignità di chi cura, di chi assiste, di chi veglia.
Non basta più ripetere che la sanità è una priorità. Occorre dimostrarlo. Con atti normativi chiari, con investimenti veri, con scelte coraggiose. Serve una visione che guardi lontano, che ricostruisca il prestigio sociale e istituzionale delle professioni sanitarie, che rimetta al centro la persona — del paziente e del professionista.
Solo così potremo non solo salvare il Servizio Sanitario Nazionale, ma rifondarlo sulle basi di una nuova alleanza tra istituzioni, cittadini e professionisti. Una sanità che non sia più terreno di rinunce, ma orizzonte di speranza.
Mattia La Rovere Petrongolo
TSRM Asl Lanciano Vasto Chieti – Radioterapia oncologica
Dirigente Sindacale Asl Chieti CO.IN.A. Sede Nazionale
Direttore Area Infrastrutture Medico-Sanitarie Meritocrazia Italia