Gentile Direttore,
negli ultimi anni assistiamo ad un continuo aumento delle aggressioni al personale sanitario, una deriva che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha toccato vette mai raggiunte prima. L’Oms stima infatti che circa il 30-35% degli operatori sanitari a livello globale abbia subito almeno un episodio di violenza verbale o fisica durante la propria carriera con un incremento esponenziale post-pandemia, specie nelle strutture di pronto soccorso e nei servizi psichiatrici.
In Italia, l’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie (Ministero della Salute, Relazione 2024) ha registrato oltre 18.000 aggressioni segnalate, coinvolgendo circa 22.000 operatori. Le categorie più colpite sono gli infermieri, seguiti da medici e OSS. Le donne sono più del 60% delle vittime. In più dell’80% dei casi la violenza è verbale, nel 15% fisica, nel 5% dei casi psicologica. Al fenomeno non sfugge neanche l’assistenza domiciliare: uno studio condotto nel 2025 (Wiley Journal of Clinical Nursing) mostra come l’isolamento dell’operatore, l’assenza di supporto immediato e la tensione emotiva nelle famiglie aumentino il rischio di aggressione. Attualmente, in base alle ricerche riportate nelle fonti, le cifre in media mostrerebbero che oltre il 65% delle aggressioni avviene negli ospedali, circa il 20 – 22% negli ambulatori, circa il 16% in sede domiciliare.
In Campania le cifre diventano ancora più allarmanti: dati regionali infatti indicano, nel 2025, un aumento del 22% delle aggressioni rispetto all’anno precedente, ben al di sopra della media italiana, di poco superiore al 5%. A questo si aggiungono difficoltà organizzative e carenze strutturali, sovraffollamento e scarsità di risorse che rendono la fragilità ancora più esplosiva.
Come arginare questa deriva apparentemente ineluttabile? Ripensando necessariamente la relazione di cura. Il rapporto medico-paziente è un luogo sacro di incontro tra fragilità e competenza: nel cuore della relazione terapeutica si incontrano la vulnerabilità del paziente e la responsabilità del curante che è sempre più investito di un ruolo quasi parentale e salvifico.
Ma quando questa relazione si spezza, entrambi gli attori ne escono danneggiati. Oggi, infatti, questo patto originario sembra essersi incrinato: l’aumento di aggressioni agli operatori sanitari, l’emergere di un clima di diffidenza sistemica e il crescente burnout tra i professionisti della salute sono sintomi non solo di una crisi strutturale del sistema sanitario italiano, ma anche di una crisi simbolica e relazionale.
Serve una rivoluzione culturale che rimetta al centro l’umanità del curante e il valore trasformativo dell’ascolto, oltre a delle vere e proprie misure strutturali per prevenire e gestire il rischio di aggressione ai danni degli operatori sanitari. Bisogna quindi riformulare il patto di cura, fondandolo su soggettività del curante, supervisione clinica e promozione di una medicina narrativa. La soggettività del curante è un fattore terapeutico fondamentale per la riuscita del rapporto clinico-paziente: solo chi è riconosciuto come persona può riconoscere l’altro come tale. La fiducia non si genera nei protocolli, ma nella presenza, nell’umanizzazione. Molti operatori sanitari, invece, lavorano in contesti che negano la loro soggettività, riducendoli a funzioni: da qui attacchi d’ansia, somatizzazioni, vissuti depressivi sempre più frequenti nel personale sanitario.
Ma oltre a questo, occorrono anche soluzioni e “misure strutturali” per prevenire e gestire il rischio di aggressione soprattutto nella realtà campana: 1) inserire nei curricula di formazione moduli obbligatori su comunicazione, gestione emotiva e psicodinamica della relazione; 2) Istituire supervisioni psicologiche continuative nei contesti ospedalieri e territoriali; 3) promuovere la medicina narrativa come strumento di simbolizzazione; 4) introdurre protocolli post-aggressione con debriefing emotivo per i curanti; 5) Sensibilizzare l’utenza tramite campagne pubbliche sul rispetto e la relazione umana nella cura.
Dott.ssa Annamaria Ascione,
Psicologa, Psicoterapeuta, membro del Comitato Tecnico Scientifico di ASSIMEFAC (Associazione e Società Scientifica Nazionale di Medicina di Famiglia e Comunità)