Fatica persistente. Colpisce 1 italiano su 10: scoperto il modo in cui il cervello ‘amplifica’ gli sforzi

Fatica persistente. Colpisce 1 italiano su 10: scoperto il modo in cui il cervello ‘amplifica’ gli sforzi

Fatica persistente. Colpisce 1 italiano su 10: scoperto il modo in cui il cervello ‘amplifica’ gli sforzi
Uno studio dell’Università di Verona, nell’ambito del programma MNESYS, indaga le cause della stanchezza che colpisce un italiano su dieci. La fatica persistente sarebbe legata a un difetto del cervello nel valutare correttamente lo sforzo necessario per compiere un’azione.

Già stanchi fin dal mattino, prima ancora di aver mosso un dito. Accade a 1 italiano su 10, persone che si trascinano sentendosi prive di energia da oltre sei mesi, senza stare meglio neppure dopo il riposo.
È una stanchezza perdurante, fenomeno che si accentua ai cambi di stagione e in particolare nel passaggio verso l’autunno, quando i cambiamenti nella temperatura, nelle ore di luce e nella routine quotidiana aumentano in molti la sensazione di fatica.

Secondo gli studi di ricercatori dell’università di Verona condotti nell’ambito del programma MNESYS sulle neuroscienze, il più ampio mai realizzato in Italia e in Europa con circa 800 scienziati a lavoro in oltre 90 centri in tutto il Paese, potrebbe dipendere da un ‘cortocircuito’ nel cervello, meno capace del dovuto di valutare realisticamente quanto sforzo serva per compiere un’azione. Mirta Fiorio e Angela Marotta, del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona, lo hanno dimostrato in persone con patologie neurologiche in cui la stanchezza è molto comune, come la malattia di Parkinson, e in persone sane che si sentono più affaticate del normale nella vita di tutti i giorni.

“La fatica è utile, serve a proteggerci da uno stress eccessivo che potrebbe essere dannoso per il benessere fisico e mentale – spiega Mirta Fiorio, professore ordinario di neuropsicologia dell’Università di Verona –. Può però diventare un problema, se è così pervasiva da non risolversi neanche con il riposo o se è un tratto di personalità, una tendenza a sentirci stanchi ancora prima di agire. I nostri dati mostrano che esiste una stretta relazione fra la stanchezza e un ‘difetto’ nel processo che integra le informazioni sensoriali e motorie che arrivano al cervello e che è fondamentale per il controllo volontario delle azioni. Quando vogliamo compiere un gesto, infatti, il cervello ‘prevede’ sulla base dell’esperienza le sensazioni che proverà affrontandolo e ne regola l’intensità percepita”.

“Studiando 77 persone con Parkinson o disturbi neurologici funzionali in cui la fatica è un sintomo frequente e invalidante, utilizzando un test di forza target (cioè la pressione esercitata su un dito da un braccio robotizzato) abbiamo osservato che nei pazienti con stanchezza patologica, e non in quelli senza, le sensazioni motorie vengono percepite più intense del dovuto: ciò porta il cervello a commettere errori di previsione, ad attribuire un livello di sforzo maggiore alle proprie azioni e ritenerle perciò più faticose di quanto siano in realtà. La fatica patologica sembra derivare dal ripetersi di queste previsioni errate associate al movimento”– interviene Angela Marotta, ricercatrice del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona.

I ricercatori Mnesys hanno quindi studiato lo stesso fenomeno nella popolazione generale, analizzando 50 persone in cui la fatica non è un sintomo di malattia ma una compagna assidua di tutte le giornate. “Le prime osservazioni rivelano che anche in chi ha la tendenza più marcata a sentirsi affaticato nella vita di tutti i giorni il cervello ha una minore capacità di ridurre l’intensità delle sensazioni che provengono dai propri movimenti – riprende Fiorio –. Questo fa ritenere le azioni più faticose del dovuto, amplificando la stanchezza, e porta anche ad avere una percezione di minor controllo sulle proprie azioni. Ciò spiega perché sentirsi affaticati spesso si accompagna alla sensazione di non essere pienamente in grado di portare a termine i compiti che ci prefiggiamo, come se qualcosa ci impedisse appunto di avere il pieno controllo delle nostre azioni. Sulla base di questi primi risultati potremmo perciò ipotizzare nuove strategie di intervento, preventive e di trattamento per migliorare la qualità di vita di chi convive con la fatica patologica e anche di chi ha una predisposizione a sentirsi privo di energie. In tal senso, una strada da esplorare in studi futuri potrebbe essere, per esempio, quella di sfruttare tipi di attività fisica, come lo yoga e il pilates, che aiutano a rafforzare la consapevolezza del proprio corpo e potrebbero rappresentare un utile allenamento per il nostro cervello a prevedere in modo corretto le sensazioni legate al movimento, prevenendo così il senso di stanchezza ”, conclude Fiorio.

16 Ottobre 2025

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