Gentile Direttore,
l’episodio di Foggia, riportato in questi giorni da alcune testate nazionali, ha acceso nuovamente il dibattito sulla composizione degli equipaggi delle ambulanze del 118 e sul ruolo del medico a bordo. La morte di una paziente in arresto cardiaco e la successiva aggressione ai soccorritori e agli infermieri impegnati nell’intervento hanno infatti riacceso le tensioni su un tema che periodicamente ritorna al centro del confronto: l’ambulanza deve sempre avere un medico a bordo?
La posizione espressa dal presidente della SIS118, Mario Balzanelli, espressa sui canali di ANSA, è chiara e già ben conosciuta: la presenza del medico di emergenza territoriale nelle situazioni critiche sarebbe imprescindibile e non vicariabile. Tuttavia, un’analisi più ampia suggerisce che la questione non possa ridursi al solo tema della “medicalizzazione” universale dei mezzi, quanto piuttosto a un ripensamento complessivo del modello organizzativo, alla valorizzazione delle diverse professionalità coinvolte e alla necessità di garantire standard uniformi e condivisi a livello nazionale.
Il sistema di emergenza-urgenza non è sostenibile se basato esclusivamente sulla presenza del medico a bordo di ogni ambulanza. I dati demografici, la carenza di professionisti e la crescente complessità della domanda sanitaria impongono modelli più flessibili e integrati. In questo contesto, l’infermiere dell’emergenza territoriale rappresenta, e non può essere altrimenti, una figura cardine: formato specificamente, capace di eseguire protocolli avanzati di valutazione e trattamento, può certamente garantire la continuità delle cure nelle fasi critiche anche in assenza del medico sul territorio.
Le esperienze internazionali, così come quelle già consolidate in diverse realtà italiane, dimostrano che i team multiprofessionali, che operano attraverso procedure validate, assicurano sicurezza clinica, appropriatezza e tempestività. La sfida, dunque, non è solo quantitativa (avere più medici), ma qualitativa: sviluppare reti nelle quali infermieri, medici e soccorritori lavorino con ruoli chiari e riconosciuti, in un sistema integrato.
Troppo spesso gli infermieri del 118 operano con protocolli obsoleti, frammentati o non uniformi tra i diversi territori regionali. Questa variabilità non solo genera incertezza clinica, ma contribuisce a svalutare la loro professionalità. L’adozione di linee guida nazionali aggiornate, validate da società scientifiche multiprofessionali e armonizzate con la normativa vigente, consente, ove implementata, di garantire una risposta equa e omogenea sul territorio, riducendo le disparità che oggi penalizzano cittadini e operatori. Tutto ciò è previsto, se pure con i limiti ormai dati dal tempo, già nel D.P.R. del Marzo 1992. In molti siamo d’accordo sul fatto che questa norma andrebbe superata ma, ad oggi, dobbiamo prendere atto che in molte realtà non è e non è mai stata applicata, così come si fatica a vedere una reale volontà politica volta a detto superamento.
Non si può ignorare la persistente resistenza di una parte, comunque minoritaria, del mondo medico a riconoscere pienamente il ruolo e le competenze degli infermieri in emergenza territoriale. Si tratta di una contrapposizione che, più che fondarsi su evidenze scientifiche, appare ancorata a logiche sindacali e a rivendicazioni di esclusività professionale. Tale atteggiamento ostacola il consolidamento di modelli collaborativi, alimentando la percezione di inferiorità dell’infermiere, contribuendo indirettamente a generare sfiducia da parte dei cittadini che, come in questo caso, può sfociare in immotivati eventi aggressivi.
Il caso di Foggia non deve essere l’ennesima occasione per una sterile contrapposizione tra chi vuole perorare la causa “ambulanza con medico” e coloro i quali vedono meglio il modello “ambulanza senza medico”. Dovrebbe, piuttosto, rappresentare un punto di svolta per rilanciare un progetto di sistema che valorizzi tutti i professionisti, riconosca le competenze avanzate degli infermieri, garantisca protocolli nazionali uniformi e costruisca reti realmente multiprofessionali.
Solo così sarà possibile rispondere alle emergenze con efficacia, riducendo i rischi clinici, tutelando i professionisti e restituendo fiducia ai cittadini. Continuare a spostare il dibattito sul piano esclusivamente medico significa rinunciare a una visione moderna e sostenibile del soccorso pre-ospedaliero, sacrificando ancora una volta, e perpetuando un errore che si ripercuote proprio sui cittadini di quelle regioni da cui questo origina, l’opportunità di un reale cambiamento.
Roberto Romano
Presidente AIES – Accademia Italiana Emergenza Sanitaria