E se la chiave per curare il fegato si nascondesse nell’intestino? La scienza ha identificato quattro alleati microscopici che potrebbero cambiare il destino di migliaia di pazienti: batteri ‘buoni’ capaci di riparare il fegato, ridurre l’infiammazione e i danni causati dall’alcol e contrastare le malattie che causano oltre 20mila morti l’anno in Italia.
La ricerca evidenzia il potenziale del microbioma nella riparazione e rigenerazione dei tessuti intestinali ed epatici, aprendo prospettive concrete per lo sviluppo di terapie mirate e personalizzate nel trattamento delle patologie del fegato. L’asse intestino-fegato avrebbe un ruolo chiave nella rigenerazione tissutale e questa evidenza apre la strada a terapie personalizzate per le malattie epatiche che causano più di 20mila decessi l’anno tra cirrosi e carcinoma epatocellulare.
A puntare i riflettori sul microbioma intestinale come chiave per la salute di fegato e intestino, la Società Italiana di Nutrizione Clinica.
“Il microbioma intestinale umano un ecosistema complesso composto da trilioni di microrganismi, si conferma molto più di un semplice inquilino del nostro corpo – spiega il Professor Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC – questi microbi svolgono ruoli fondamentali nel mantenimento della salute intestinale ed epatica attraverso un sofisticato sistema di comunicazione bidirezionale noto come asse intestino-fegato. Si tratta di una rete di comunicazione straordinaria in cui metaboliti derivati dai microbi intestinali – come acidi biliari, acidi grassi a catena corta (SCFA) e indoli – influenzano direttamente la funzione epatica, mentre il fegato, a sua volta, regola la composizione del microbiota intestinale attraverso la produzione di acidi biliari.
Gli studi, prosegue Muscaritoli “evidenziano come specifiche specie batteriche mostrino effetti protettivi e riparativi”.
Ecco quali sono:
Il Lactobacillus plantarum e i suoi vari ceppi sono in grado di rafforzare la barriera intestinale, accelerare la guarigione del fegato dopo interventi chirurgici, ridurre l’accumulo di grassi nel fegato e migliorare la funzionalità complessiva dell’organo.
L’Akkermansia muciniphila, un batterio emergente nella ricerca, si è rivelato particolarmente promettente per facilitare la rigenerazione del tessuto epatico, ridurre l’infiammazione e il danno epatico, migliorare l’ integrità della barriera intestinale e contrastare lo sviluppo della steatosi epatica.
Mentre Faecalibacterium prausnitzii e Lactobacillus rhamnosus GG mostrano efficacia nel proteggere il fegato dai danni indotti dall’alcol, ridurre l’infiammazione sistemica e migliorare il metabolismo lipidico.
“Stiamo raccogliendo nuove chiavi di lettura per comprendere e trattare patologie complesse come le MASH (acronimo di Steatoepatite Metabolico-Associata, precedentemente nota come NASH), cirrosi epatica, carcinoma epatocellulare e malattie Infiammatorie Intestinali. In queste condizioni, squilibri del microbioma intestinale (disbiosi) contribuiscono al danno epatico attraverso l’aumento della permeabilità intestinale, nota come “leaky gut”, che permette a sostanze tossiche e prodotti batterici di raggiungere il fegato attraverso la circolazione portale” aggiunge l’esperto.
Le evidenze scientifiche dovranno poi essere calate in strategie terapeutiche come l’utilizzo mirato di ceppi batterici specifici, la somministrazione di prebiotici, capaci di favorire la crescita di batteri benefici o il trapianto di microbiota fecale (FMT) sino a trattamenti su misura basati sul profilo individuale del microbiota (medicina di precisione).
“Questi dati rappresentano un cambio di paradigma nella comprensione e nel trattamento delle malattie del fegato. La possibilità di modulare il microbioma intestinale per influenzare positivamente la salute epatica apre scenari terapeutici completamente nuovi nell’ambito della medicina di precisione” conclude Muscaritoli.