Un appello a non disperdere le lezioni della pandemia e a preservare l’unità del Servizio sanitario nazionale. Si è chiuso all’Università Cattolica di Milano il XXIII Convegno nazionale di diritto sanitario, che ha riunito i maggiori esperti del settore per analizzare le criticità costituzionali e organizzative emerse nell’era post-Covid. Dal documento finale, approvato al termine dei lavori introdotti dall’ex ministro della Salute e Professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano, Renato Balduzzi, emerge un quadro complesso, sospeso tra tentativi di riforma e rischi di regressione.
Il nuovo Piano Pandemico 2025-2029, la cui approvazione sembra ormai imminente, viene riconosciuto come un passo avanti rispetto al passato. Gli esperti ne lodano l’impostazione più chiara e l’innovativo meccanismo che condiziona i finanziamenti alle Regioni al rispetto di precisi obiettivi. Tuttavia, il documento avverte: il divieto di ricorrere ai Dpcm per adottare misure restrittive in caso di emergenza rappresenta un vincolo giuridicamente fragile. Un accordo in Conferenza Stato-Regioni, infatti, non potrebbe mai legare le mani a un futuro decreto-legge in piena emergenza epidemiologica.
Una preoccupazione altrettanto profonda riguarda la composizione degli organi tecnico-scientifici. Gli esperti mettono in guardia dalla tentazione di piegare la scienza alla politica, sottolineando come il pluralismo delle posizioni scientifiche non debba mai confondersi con la mera rappresentanza delle opinioni politiche. Per contrastare la disinformazione, il Convegno suggerisce di adottare un codice di condotta specifico per le emergenze sanitarie, ispirandosi al modello europeo.
Sul piano internazionale, la posizione assunta dall’Italia desta perplessità. L’astensione sul nuovo Accordo Pandemico Globale dell’Oms e il rifiuto degli emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale rischiano di isolare il nostro paese, in un momento in cui la cooperazione globale si rivela più che mai necessaria.
Ma è sul fronte interno che si annidano le sfide più ardue. Il documento analizza con rigore il tema del regionalismo differenziato, alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale che ne ha delineato i paletti invalicabili. I Livelli essenziali di assistenza non sono meri adempimenti burocratici, bensì l’essenza del patto solidaristico che lega lo Stato alle Regioni. Qualsiasi forma di autonomia differenziata che minacci questo equilibrio – avvertono gli esperti – finirebbe per snaturare il Ssn, come dimostra l’esperienza britannica, dove l’Inghilterra, deviando dal modello Beveridge, oggi affronta crisi più profonde rispetto alle altre nazioni del Regno Unito.
Completa il quadro una riflessione critica sull’attuazione delle Case della Comunità, il fiore all’occhiello della riforma del territorio. A fronte di ambiziosi propositi, la loro concretizzazione stenta a decollare, schiacciata da una eccessiva medicalizzazione e dall’incertezza dei rapporti con i medici di famiglia. Il rischio concreto è che un’opportunità storica per costruire una sanità di prossimità vada perduta, se non si interverrà con urgenza per sciogliere i nodi legati all’integrazione dei professionisti e allo sviluppo dell’infermieristica di comunità.
Il Convegno si chiude con un monito ai decisori politici: per non tradire la Costituzione e garantire il diritto alla salute, è essenziale governare gli interessi particolari, anziché esserne governati. Solo così si potrà preservare un Servizio sanitario nazionale universalistico, equo e capace di affrontare le sfide future.
G.R.