Negli ultimi mesi si è fortunatamente sviluppata una discussione critica sugli effetti dei Piani di Rientro sulla salute della popolazione. A ciò ha sicuramente contribuito la pubblicazione dei dati ministeriali sui Livelli Essenziali di Assistenza e sul loro evidente abbassamento nelle Regioni Meridionali sottoposte a commissariamento, anche dove i Piani hanno determinato un indiscutibile miglioramento della situazione contabile ed economica. Anzi, paradossalmente i LEA sono peggiorati laddove si sono ottenuti i migliori risultati di bilancio. Non poteva d’altra parte essere diversamente se i risparmi sono ottenuti quasi esclusivamente tramite blocco assoluto del labour turnover, tassazione regionale massimale e compartecipazione alla spesa superiore alle quote nazionali.
Tutto questo viene a verificarsi essenzialmente nel Mezzogiorno dove si concentra ben il 46,7% degli 8.9 milioni di persone che in Italia costituiscono il mondo dei “senza rete” la cosiddetta “Terza Società”. Gli esclusi, i lavoratori in nero, i disoccupati gli scoraggiati. In gran parte donne e giovani. Per tutti loro il valore sociale dell’universalità del servizio sanitario resta l’unica sicurezza tra le difficoltà del presente e le incertezze del futuro. La tutela e la sostenibilità del SSN sembra oggi affidata a procedure di definizione e condivisione dei costi di esercizio e di acquisizione di beni e servizi (Consip e centrali regionali di acquisto e di committenza) e a processi di aggregazione territoriale (Aziende Sanitarie sempre più grandi). Interventi ovviamente utili ma probabilmente non sufficienti.
La discussione avviata in Federsanità punta proprio alla ricerca di strategie che vadano oltre il raggiungimento di economie di scala. Strategie in grado di intervenire sui processi produttivi del Ssn, sulla loro capacita di intercettare la domanda di salute della popolazione e sui loro esiti. Strategie capaci di garantire contestualmente il diritto costituzionale alla salute e lo sviluppo di un comparto produttivo fatto di farmaci innovativi, sofisticate tecnologie diagnostiche e terapeutiche, moderni sistemi biomedicali, infinite applicazioni dell’ICT e da imprenditori capaci e non voraci. Tutto questo si definisce “innovazione” sia essa tecnologica o gestionale. In parole povere “la capacità di realizzare cose nuove”. Cosa non facile nel nostro Ssn ma tragicamente necessaria se si vuole trasferire l’enorme mole di strumenti che la ricerca oggi offre alla moderna medicina personalizzata.
Forse oggi le tecniche di diagnostica molecolare consentiranno veramente di non dare più “tutto a tutti” ma “tutto solo a chi ne ha bisogno”. Andiamo verso una appropriatezza non solo formale-burocratica ma biologica. Insomma c’è molto lavoro da fare; l’innovazione tecnologica se governata e condotta insieme a una profonda modifica dei modelli gestionali può contribuire a rendere efficiente e finanziariamente sostenibile un sistema come il SSN che se lasciato a se stesso esprime un’inarrestabile tendenza all’incremento dei costi e una formidabile resistenza al cambiamento. Replica all’infinito sempre gli stessi comportamenti indipendentemente dai contesti e dalle disponibilità economiche nella convinzione di “star operando bene perché si è fatto sempre così”. Forse è il caso di ricordare quanto detto da Schumpeter "Si aggiungano pure in successione tante diligenze quante si vogliano non si otterrà mai una ferrovia".
Tonino Pedicini
Delegato alle Politiche dell'innovazione, della ricerca e degli investimenti per Federsanità ANCI