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Gli ordini dei medici che vorrei

03 NOV -

Gentile Direttore,
le difficoltà, le fratture ideologiche o meno che si stanno sempre più evidenziando all’interno della professione medica (basta seguire i media...) mi hanno indotto ad alcune riflessioni. Permettetemi di cominciare dal significato della parola collega. Collega dal latino cum - legare, è colui, colei con la quale si divide una responsabilità e un percorso; la stessa radice la troviamo tra gli inglesi, colleague, e i russi, kollega. I medici francesi usano tra loro un termine ancor più evocativo: confre, confratello. Una parola che oltre alla condivisione di responsabilità e di un percorso sembra far intravedere un legame affettivo, o per lo meno emotivo tra persone che tendono ad uno scopo comune di alto valore morale.

Nella cultura occidentale la professione assume sin dalle sue origini una valenza oltre che tecnica, morale. Ricordo solo quante volte ne parla Platone nel “simposio, nel Fedro ed in altre sue opere, per non parlare di Aristotele ed altri pensatori classici. Una professione che al tempo ebbe un semi-Dio in Asclepio a cui erano dedicati quelli che potremmo ora definire dei templi “ospedali” ove prestavano la loro opera, in veste sacerdotale, i medici del tempo. In tutte le culture e civiltà, in ogni tempo, o quasi, colui o colei che esercitava l’arte del curare, è sempre stato assimilato all’ idea di “uomo o donna saggia ”.


Se non a tutti, a molti è noto il giuramento di Ippocrate, padre della medicina scientifica, che per secoli nella nostra civiltà ha rappresentato, nella sua potente semplicità etica l’impegno che ogni nuovo medico prende verso l’umanità che si accinge ad assistere. Al giuramento si sono poi aggiunti, senza snaturarne la sostanza, ma adeguandola all’evoluzione dei tempi, i codici deontologici.

Personalmente ricordo ancora con commozione il momento in cui, dopo averlo pronunciato a voce alta e un po’ incerta per l’emozione, mi sentii investito e onorato dalle responsabilità che esso implicava.

Molti diranno: Altri tempi? Romanticismo spicciolo? Retorica inutile? ma posso testimoniare che in decenni di professione quel giuramento ha rappresentato per me un punto di riferimento forte, a volte in contrasto con mie opinioni, ma sempre in grado di farmi riflettere. Sulla professione medica, su ciò che è o dovrebbe essere, sono state scritte migliaia di pagine, ma al di là dei modelli organizzativi e delle competenze necessarie per esercitarla, poco o nulla, a mio avviso, è cambiato dal punto di vista etico.

La necessità di regolamentare l’accesso alla professione, istituendo esami che valutassero le competenze e il valore morale, insomma degli ordini ante litteram, risale, per quanto ricordi, ai babilonesi, che tra molti aspiranti ne selezionarono poco più di trecento. Anche allora le competenze pratiche erano una condizione necessaria ma non sufficiente per essere ammessi a praticare. Serviva anche la dimostrazione di essere ispirati da valori etici. Un tempo, non molti decenni fa, la parola professione medica era spesso associata alle parole missione e vocazione. Termini che in qualche modo avvicinavano la figura del medico a quella del sacerdote.

A lui le Anime, a me i corpi. A qualcuno dei nostri giovani medici queste associazioni faranno forse sorridere e penseranno a chi vi sta scrivendo come al solito vecchio medico nostalgico è un po’ romantico, fuori dal tempo insomma. Per secoli, fino ai miei tempi, migliaia di giovani guardavano alla professione avendo in mente, anche, queste parole. Per me è stato anche così.

Non tutti i grandi nomi che hanno segnato e che segneranno la storia della medicina sono stati o saranno dei campioni di etica oltre che di scienza, ma io guardo con sincero rispetto a tutti i confre che nel mondo, nel loro duro, a volte frustrante, impegno quotidiano meglio interpretano i principi fondanti della professione.

Con i progressi scientifici la medicina moderna ha dovuto fare i conti con un aumento esponenziale dei costi avendo a disposizione risorse limitate il che si sta traducendo in una insostenibilità di un sistema sanitario pubblico a vantaggio di uno misto pubblico privato con la prospettiva di scivolare in un sistema governato dalle holding assicurative creando una sperequazione sociale inaccettabile. La formazione di nuovi professionisti si è fatta più onerosa e complessa. La sbandierata carenza di medici è in realtà una carenza di specialisti che non si risolve abolendo il numero chiuso o creando sbarramenti al 3 anno, ma solo attraverso una adeguata programmazione; Programmazione che deve avere come obbiettivo anche quello di stanziare risorse e strumenti in grado di garantire in primis la migliore formazione possibile dei futuri medici.

Il prevalere della cultura anglosassone su quella umanistica, senza trovare un reale punto di equilibrio tra i valori dell’una e dell’altra, ha portato, a mio avviso, un profondo cambiamento nell’etica medica a discapito di quest’ultima. Ad una maggiore conoscenza, ad una maggiore disponibilità di strumenti diagnostici, di farmaci innovativi, non sempre utili, ma sempre molto costosi, al prevalere di mere logiche di mercato, al mito del successo testimoniato dal soldo, l’etica semplice e potente di Ippocrate sembra vacillare, a volte addirittura essere rimossa dalle coscienze dei nuovi professionisti.

L’analisi dei mali che affliggono la professione mi porterebbe lontano e forse non offrirebbe soluzioni concrete, ma solo banali suggerimenti.
Premesso ciò, se è indiscutibile che un medico debba essere al passo con le conoscenze è altrettanto indiscutibile che queste debbano essere declinate rispondendo a valori etici condivisi.

Gli ordini dei medici nascono con l’intento di garantire alla comunità il rispetto di questo difficile equilibrio con tutti i mezzi legalmente disponibili. Molti, sbagliando, pensano che gli ordini siano delle “Associazioni di categoria “e che debbano garantire gli interessi dei professionisti. Gli ordini o meglio i consigli direttivi sono da tempo espressione di compromessi tra le varie sigle sindacali che popolano il variegato mondo della sanità italiana. Lo so, perché ne ho fatto parte. Salvo rari e fortunati casi, dietro le pagine del codice deontologico, si svolgono spesso furibonde ed a volte indecorose battaglie sindacali o personali per il “potere” . Il potere di una istituzione, come di qualunque altra associazione umana, sindacati compresi, è direttamente proporzionale alla sua autorevolezza e questa a quella delle persone che la governano.

L’ordine che vorrei è un altro. Un ordine i cui membri del consiglio siano eletti per la loro riconosciuta autorevolezza professionale e statura etica animati dall’ambizione di rendere migliore la sanità. Dei modelli, o se preferite degli esempi per gli iscritti e delle autorevoli figure a cui la comunità, in tutte le sue diverse espressioni, possa guardare con fiducia e rispetto. Posso garantire che persone con queste caratteristiche ci sono e ci sono state.
Compito dei sindacati è, a mio parere, anche quello di saper sostenere candidature di persone con queste caratteristiche, ed una volta elette saper fare un passo indietro.
Ordini coraggiosi capaci di riaffermare i principi etici fondanti la professione anche contro le ideologie politiche del momento. Senza ambiguità e timidezze.

Da qui bisogna ripartire per ridare credibilità a una istituzione che sta diventando un contenitore sempre più povero e poco utile alla comunità ed alla professione .

Dott. Mario Da Porto
Segretario generale dell’Ordine dei medici e degli odontoiatri della provincia di Udine



03 novembre 2022
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