La spesa sanitaria out of pocket, quella sostenuta di tasca propria dalle famiglie italiane è destinata a salire fino a raggiungere i 47,3 miliardi, ossia il 2% del Pil, nel 2028. A spiegarlo è stata la Corte dei Conti audita sulla proposta di legge relativa a “Disposizioni concernenti il finanziamento, l’organizzazione e il funzionamento del Servizio sanitario nazionale nonché delega al Governo per il riordino delle agevolazioni fiscali relative all’assistenza sanitaria complementare”, in corso di esame nella commissione Affari Sociali della Camera.
La necessità di valutare un incremento delle risorse da destinare alla assistenza sanitaria pubblica, spiega la Corte dei Conti, deriva anche dall’esame della spesa sanitaria privata. "Nel periodo 2021-2023 la spesa privata a valori correnti è passata da circa 41 a 43 miliardi di euro. L’incidenza della spesa privata sul Pil nel 2023, dopo aver registrato una lieve flessione nel 2020 all’inizio della pandemia da Covid, è tornata sui valori del 2019 (2,1 per cento). La distribuzione della spesa privata appare accentuare le differenze già percepibili nei livelli di consumo delle famiglie.
Se, infatti, dai dati Istat relativi al 2022 si evidenzia una distribuzione della spesa privata diseguale in base al reddito (in media il totale della spesa privata del 20 per cento della popolazione con spese totali per consumi più elevate, euro 55.511, e quindi più abbienti, è pari a 3,5 volte quello del venti per cento che ha i livelli più bassi di spesa, euro 15.966), tale differenza cresce considerevolmente guardando ai soli consumi sanitari: 2.430 contro 510 euro, 4,7 volte quindi gli importi riconducibili alle classi di reddito più contenute. Un risultato che ben rappresenta la differente possibilità di trovare risposte privatistiche sul fronte della assistenza alla salute ".
La proposta di legge, per superare la sperequazione esistente nel territorio nazionale nell’ambito della ripartizione del Fondo sanitario nazionale, prevede si tenga conto anche dei fattori ambientali, socioeconomici e culturali e di un peso non inferiore al 50% a valere sull’intera quota capitaria per l’indice di deprivazione economica individuato annualmente dall’Istituto nazionale di statistica, tenendo conto delle carenze strutturali, delle condizioni geomorfologiche e demografiche presenti nelle regioni o nelle aree territoriali che incidono sui costi delle prestazioni.
Più in generale si spiega poi come da un punto di vista metodologico, "sembra opportuno rilevare come paesi o regioni autonome che basano l’allocazione delle risorse su formule capitarie trasparenti e i cui criteri e risultati in termini di allocazione delle risorse sono resi pubblici anche sul web, come, ad esempio, il Regno Unito, non attribuiscano pesi a priori alle variabili su cui si basa il riparto come qui si propone. I pesi sono usualmente stimati sulla base di calcoli che tengono conto di tutti le potenziali determinanti della spesa e sulla base dei dati raccolti nel tempo, tenendo conto del contributo relativo che ogni variabile fornisce a spiegare l’andamento osservato della spesa. Questo anche perché le formule di allocazione non dovrebbero contenere dati troppo prevedibili e/o potenzialmente manipolabili dai destinatari delle risorse, né dovrebbero rappresentare un incentivo al permanere di situazioni di inefficienza".
Sulla revisione dei Lea: "Non si può non osservare, inoltre, che dopo anni di sperimentazione di un nuovo sistema19 condiviso con le regioni, che attualmente ha raggiunto una notevole complessità, includendo ora ben 88 indicatori, non è chiaro il motivo per cui questo debba essere messo in discussione nuovamente".