Iardino (Nps): “Perdere i diritti politici non può voler dire perdere il diritto alla salute”

Iardino (Nps): “Perdere i diritti politici non può voler dire perdere il diritto alla salute”

Iardino (Nps): “Perdere i diritti politici non può voler dire perdere il diritto alla salute”
Il goal raggiunto è molto importante, ma non solo dal punto di vista della prevenzione e della cura. Il passo in più che si è fatto è l’aver messo insieme gli sforzi di società scientifiche, associazioni dei pazienti ed istituzioni nella direzione di lavorare al diritto alla cura negli Istituti Penitenziari Italiani. Abbiamo parlato con Rosaria Iardino, presidente onorario del Network Persone Sieropositive (NPS) Italia Onlus e presidente di Donne in rete, di cosa vuol dire oggi diritto alla salute nelle carceri italiane.
 
“Abbiamo dimostrato con questa iniziativa che l’obiettivo della diffusione degli screening può essere raggiunto”, ci ha detto l’esperta. “Oggi dobbiamo dimostrare che oltre alla prevenzione e all’informazione anche l’accesso alla cura deve essere disponibile nelle carceri: i detenuti in Italia non godono dello stesso diritto alla salute degli altri pazienti e questo non può essere accettabile. Se si perdono i diritti politici non si può perdere anche il diritto alla salute”.
Un impegno che va preso anche a livello istituzionale. “Con la Commissione Nazionale Aids di cui faccio parte, abbiamo già stilato un documento che parla proprio di detenzione e lotta all’Hiv, in questo modo abbiamo preso un impegno nella giusta direzione”, ha spiegato Iardino. “Un impegno che oggi possiamo prendere a fronte dell’evidenza scientifica che emerge dall’indagine presentata: ora che abbiamo i dati la spinta deve essere quella che il Sistema sanitario nazionale, e dunque le regioni, assumano il diritto alla salute dei detenuti come priorità”.
E poi c’è un’ulteriore questione da risolvere, quella che riguarda le detenute. “Fino ad oggi il peer tutor che è stato formato per questo ruolo è stato un uomo”, ci ha spiegato ancora Iardino. “Chiaramente ha incontrato anche donne, ma il tutor alla pari funziona anche perché ci si può completamente immedesimare. Per questo oggi stiamo formando anche delle figure equivalenti femminili: le donne in carcere sono molto meno degli uomini, ma questo non vuol dire che non debbano essere considerate”.

17 Maggio 2012

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