Promuovere una visione organica di percorso per il paziente oncologico, dalla diagnosi all’assistenza di lungo termine; estendere e replicare modelli organizzativi virtuosi e già operativi; stimolare l’elaborazione di politiche regionali che riducano la variabilità territoriale e le diseguaglianze assistenziali; favorire la digitalizzazione, la telemedicina e la presa in carico domiciliare come strumenti centrali della nuova assistenza.
Queste le quattro proposte del Cipomo, il Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri per ovviare alla necessaria integrazione tra assistenza ospedaliera e territorio che continua a essere gravemente carente, come emerge dai dati Agenas. Le Case della Comunità pienamente operative risultano essere poco più di 300 su oltre 1.200 previste nella fase originaria del piano; gli Ospedali di Comunità funzionanti sono meno di uno su tre rispetto al totale programmato; solo circa il 60% delle Centrali Operative Territoriali è attivo. Insomma, ben oltre la metà degli ospedali non ha uno sviluppo territoriale reale.
Inoltre, il quadro dipinto dall’Agenas non solo evidenzia questa distanza ancora ampia tra programmazione e reale operatività dei servizi territoriali previsti dal PNRR, ma anche un altro dato strutturale: nel Sud e nelle aree interne, dove il sistema distrettuale è più fragile, l’attuazione del DM 77 è mediamente in ritardo di 12-18 mesi rispetto al Nord.
“Queste criticità – spiega Silvana Leo, direttore Uoc Oncologia Medica, Ospedale Vito Fazzi di Lecce, consigliere Cipomo – emergono in un contesto in cui l’aspettativa di vita è in aumento, la popolazione anziana e con comorbidità cresce, e le neoplasie assumono sempre più spesso un profilo di patologia cronica. Da ciò deriva la necessità di riorganizzare i percorsi di cura: non più solo ‘ospedale come unico luogo di cura’, ma un sistema capace di offrire assistenza integrata, multiprofessionale e articolata tra ospedale e territorio. Oggi follow-up, terapia di supporto e gestione delle tossicità potrebbero essere svolti nei nuovi setting territoriali, come previsto dalle Linee di indirizzo Agenas, liberando risorse ospedaliere e migliorando la qualità di vita dei pazienti”.
“L’ospedale non deve essere più considerato l’unica sede di offerta di salute – prosegue Giuseppina Sarobba, direttore Uoc Oncologia Medica ASL 3, Ospedale San Francesco di Nuoro, tesoriere Cipomo – soprattutto per il paziente oncologico, diventato sempre più cronico, ma piuttosto per garantire al paziente un vero percorso sempre più integrato e multiprofessionale. Si auspica inoltre che le nuove reti, nel tempo, superando le difficoltà applicative del DM 77, possano giungere a criteri di eleggibilità per una uniformità della categorizzazione ospedale-territorio”.
Tra le condizioni che impongono questo cambiamento, viene segnalato che l’aspettativa di vita oltre gli 80 anni, l’incidenza crescente di tumori e di patologie dell’età avanzata comportano scenari con bisogni molto diversificati, in base allo stato di salute, al ruolo dei pazienti e al loro contesto sociale. “Si produce così l’esigenza di ‘team adeguati’ tra medici di medicina generale, presidi territoriali, ospedali, famiglie e strutture erogatrici per affrontare la complessità crescente – precisa Cinzia Ortega, Direttore S.C. Oncologia, ASLCN2 Alba e Bra, Ospedale Michele e Pietro Ferrero di Verduno (CN) –. In tale ambito, la somministrazione di farmaci orali e sottocutanei diventa una leva per spostare parte della cura als territorio, in collegamento costante con la struttura ospedaliera e tramite modalità quali la telemedicina”.
L’evoluzione reale della presa in carico oncologica è un punto chiave. “Il percorso del paziente è oggi sempre meno centrato sui setting ospedalieri tradizionali – aggiunge Monica Giordano, direttore Struttura Complessa di Oncologia all’Ospedale Sant’Anna di Como – e sempre più orientato alla gestione ambulatoriale, territoriale e domiciliare, anche grazie alle nuove terapie orali e sottocutanee e ai progressi della telemedicina. La crescente sopravvivenza ‘con tumore’ genera bisogni nuovi a cui il sistema deve saper rispondere in modo differenziato, valorizzando il ruolo dei medici di medicina generale e delle equipe multiprofessionali”.
Affrontare le sfide burocratiche, organizzative e tecnologiche necessarie per un passaggio davvero fluido è fondamentale. Digitalizzazione, interoperabilità dei sistemi e telemedicina vengono indicati come strumenti ancora poco utilizzati ma decisivi per rendere più rapida l’interazione tra specialisti e medicina generale, velocizzare l’interscambio di informazioni tra medici e infermieri e ridurre gli spostamenti inutili per i pazienti. “La telemedicina è oggi una risorsa sottoutilizzata, ma può ridurre disagi, costi sociali ed economici e migliorare il coordinamento tra tutti gli attori della cura– conclude il presidente Cipomo, Paolo Tralongo –. In un momento storico segnato dalla cronicizzazione delle malattie oncologiche e dall’urgenza di rendere sostenibile il sistema sanitario, la piena integrazione ospedale-territorio non è più un’opzione ma una condizione imprescindibile”.