E alla fine il messaggio è arrivato: forte, chiaro e inequivocabile. Basta parole e promesse evanescenti. Ce ne andiamo. Non ne possiamo più di stipendi che non riconoscono il nostro impegno etico e professionale, la nostra preparazione, la nostra dedizione, il nostro essere professionisti seri, responsabili, attenti alle necessità dei nostri assistiti e delle loro famiglie.
E allora cerchiamo altri approdi, altri riconoscimenti economici, altri modelli di conciliazione tra vita e lavoro. Altri luoghi in cui essere professionisti sanitari abbia valore, visibilità e gratificazione — economica e sociale.
Leggendo le prime indiscrezioni sulla prossima legge finanziaria, pare che Governo e Regioni abbiano deciso di provare a frenare, o quantomeno minimizzare, le uscite dai luoghi della sanità pubblica.
Bisogna evitare nuove fughe e fare in modo che il messaggio lanciato da chi è operativo nel SSN — soprattutto infermieri — non scoraggi i giovani nel momento della scelta del proprio percorso formativo universitario. Il sistema sanitario ha bisogno di giovani che scelgano consapevolmente, e siano sostenuti e incentivati a farlo, il corso di laurea in infermieristica, per dare credibilità e forza alla progettualità sanitaria e assistenziale del prossimo futuro, soprattutto a livello territoriale e domiciliare.
Ma sarà sufficiente ciò che viene ipotizzato, e auspicabilmente realizzato?
No. Decisamente no, se si tratterà dell’ennesima misura “una tantum”.
Sì. Decisamente sì, se sarà pensato come un primo step, cui dovranno seguire ulteriori interventi sui diversi fronti che compongono il sistema sanitario-assistenziale: la formazione dei futuri e attuali professionisti, la riorganizzazione delle strutture e delle unità operative, la gestione integrata dei processi clinico-assistenziali, la coerenza tra offerta e una domanda sempre più strutturata in base ai bisogni assistenziali mutati della collettività, e quindi sulla base dei risultati e della loro efficacia.
Il Governo potrà dimostrare — non solo con la finanziaria, ma anche con la nuova riforma delle professioni sanitarie — di voler perseguire una reale integrazione operativa, ridisegnando i perimetri professionali e gli orientamenti organizzativi e gestionali. Dovrà riconoscere e valorizzare l’apporto di tutti, superando logiche meramente gerarchiche che non garantiscono più né efficienza né efficacia.
Le Regioni, dal canto loro, potranno dimostrare una specifica attenzione verso il proprio capitale umano: da una parte, attraverso l’applicazione di logiche contrattuali strutturate, attuabili e prive di ambiguità; dall’altra, predisponendo e attuando vere riorganizzazioni clinico-assistenziali, soprattutto sul territorio e nella domiciliarità.
In questo modo sarà evidente che l’obiettivo gestionale non è garantire una mera sommatoria di prestazioni — spesso attraverso scorciatoie professionali —, ma costruire e sostenere percorsi di integrazione capaci di rispondere tanto ai bisogni degli assistiti quanto alle giuste aspettative dei professionisti e degli operatori.
Anche i Sindacati dovranno dimostrare di voler accompagnare i lavoratori nei cambiamenti, assicurando un’interrelazione costante tra diritti, doveri e aspettative economiche, professionali e sociali, contemperando le esigenze di tutte le parti in causa.
È quindi auspicabile che tutti gli attori del sistema salute si muovano coralmente per innovare, valorizzare i professionisti e garantire ai cittadini risposte certe, efficaci e tempestive.
Annalisa Silvestro
Responsabile nazionale del Coordinamento delle Professioni sanitarie e sociosanitarie FIALS