L’adempimento più oneroso e difficile per la politica che governa è, di certo, la programmazione. Ne assunsi i primi rudimenti allorquando frequentai la Scuola di Frattocchie negli anni Ottanta e sentii una bella lezione di politica applicata di Franco Ottaviano. Allora capii da un bell’esempio che ascoltammo, quasi tutti giovani consiglieri comunali, con simpatia di quanto fosse facile l’accesso alla programmazione ma difficile da saperla fare bene.
Ci fu proposto, per meglio comprendere il come dovere affrontare il tema della programmazione, una similitudine che era nelle corde dei giovani di allora: il biliardo. Facile tirare di stecca colpendo le palle con energia, con il rischio però di strappare il panno. Il difficile – e la programmazione è il regno della difficoltà – era di tirare i colpi denominati ‘masse’ e ‘piqué’: il primo effettuato con la stecca inclinata colpendo la palla con tanto effetto laterale per farle assumere una traiettoria curva; il secondo, con la stecca verticale senza poggiare la mano in modo tale da colpire la palla dall’alto verso il basso, facendola rientrare all’indietro dopo aver toccato l’altra palla, con un forte effetto retrò. A ben vedere due tiri da effettuarsi con tanta maestria per non strappare il panno, con un grave risarcimento del danno causato dall’imperizia.
Programmare bene è la regola aurea
Insomma una lezione dalla quale appresi tanto e che mi condizionò tutta la vita nell’affrontare l’argomento della programmazione e le sue fasi esecutive, nonché nello studiare come intervenire tempestivamente per correggerla in corsa per evitare i danni di esecuzione. Un decisore politico che si rispetti deve pertanto imparare ad “alzare la stecca” solo che voglia tirare di fino per programmare la messa a terra delle politiche, soprattutto regionali, prima tra tutte quella che riguarda l’assistenza socio-sanitaria.
Un esempio che di certo è destinato a strappare il panno
L’accordo bilaterale triennale (2025-2027) tra Regione Emilia-Romagna e Regione Calabria per il governo della mobilità sanitaria e delle correlate risorse finanziarie del periodo (si veda qui articolo del 10 novembre scorso) convenuto ai sensi dell’art. 1, comma 320, della legge n. 207/2024, rappresenta la prova del nove di come vanno male le cose nel Paese. Soprattutto di come anche i bravi sbaglino e di come i non bravi non abbiano voglia alcuna di imparare, navigando a vista.
L’accordo, non ancora perfezionato, sarebbe già dovuto essere vigente dall’1 novembre scorso, con in canna due obiettivi:
– quello della Calabria di potersi allontanare dalla canna del gas in cui la politica l’ha ridotta da decenni, con una sanità che ha portato i calabresi alla disperazione, con oltre 300 milioni “regalati” alle altre Regioni attraverso la mobilità passiva;
– quello dell’Emilia-Romagna di sopportare una mobilitazione attiva di grande portata che, così come dimensionata, impedisce tuttavia (dicunt) di erogare l’ordinario agli emiliano-romagnoli, al netto delle inderogabili esigenze di salute altrui.
Entrambe le Regioni difettano di disattenzione dall’assumere misure strutturali, di risolvere l’ordinario e di mettere in campo la solidarietà occorrente per assicurare a chiunque la tutela del diritto alla salute.
Quanto all’obiettivo dichiarato in atti di garantire trasparenza, appropriatezza delle cure e parità di accesso alle stesse siamo ben lontani dall’avere rintracciato la modalità migliore, per non parlare del sogno di volere così ridurre lo squilibrio storico a danno della Calabria.
I metodi individuati, peraltro, sono quantomeno discutibili sul piano della libera scelta dell’assistito, tanto da essere difficile rintracciare la mente che li abbia partoriti. Si introduce infatti una sorta di dogana salutare, dal sapore dei dazi trumpiani, che fissa una sorta di migrazione ai bisognosi di salute contingentata.
Al riguardo, al fine di rientrare nei massimali convenuti nei contratti, ex art. 8 quinquies del d.lgs. 502/1992, si resuscita un interessantissimo istituto ma “ucciso” volontariamente da tempo per salvaguardare i giri d’affari degli erogatori privati. Ciò nel senso di prevedere una riduzione progressiva del rimborso per prestazioni sanitarie, oltre una certa soglia fissata per i budget, per consentire agli erogatori privati accreditati/contrattualizzati di erogare, comunque, le prestazioni afferenti ai LEA per tutti i giorni non festivi dell’intero anno. Una garanzia erogativa per l’utenza e per i SSR di corrispondere solo il budgettato.
Un sistema, questo, raramente applicato seppure disciplinato. In Calabria mai, ove hanno regnato le chiusure indiscriminate delle attività private accreditate appena superato il budget annuo ovvero i pagamenti anche, essi indiscriminati, degli extrabudget centomilionari (così come accaduto anche nel Lazio).
Da qui, la necessità di imparare ad “alzare la stecca”, piuttosto che inventarsi regole che non hanno nulla a che fare con la Costituzione e il buon governo, se non quello della celluloide.
Ettore Jorio