Sanità, la grande illusione: si spendono soldi ma si pianificano gli sprechi

Sanità, la grande illusione: si spendono soldi ma si pianificano gli sprechi

Sanità, la grande illusione: si spendono soldi ma si pianificano gli sprechi
Il sistema sanitario è vittima di una politica miope che, invece di applicare il federalismo fiscale e i costi standard, continua a fondarsi sulla spesa storica e a distribuire fondi per investimenti (ex art. 20) in modo clientelare e dissennato. Il risultato sono sperequazioni geografiche immense, con il Sud che non eroga Lea nonostante l'aumento di fondi, e investimenti in grandi opere inutili che ignorano le reali necessità del territorio

Tanti, troppi a dire la loro sulla sanità attuale, senza tuttavia possedere le conoscenze corrette. Ciò avviene soprattutto da parte della politica in generale e dei decisori preposti alle Istituzioni sia statali che territoriali. Sono molti Presidenti di Regioni e candidati a farlo. A dire spropositi vendendo sogni, molti dei quali si trasformeranno in incubi.

Con la caduta del finanziamento attraverso la quota capitaria, prima secca e poi ponderata, suddivisa in conto capitale e parte corrente, è venuto a determinarsi il criterio della spesa storica. Un criterio che cristallizza l’economia necessaria per fare salute in un anno, ma programmata per il triennio di riferimento, lievitata ogni anno prevalentemente sulla base dell’inflazione e sulla sensibilità che i Governi succedutisi mostravano sul tema. Quanto alla quota capitale, con la legge 67/1988 si tirò fuori, all’art. 20, l’ottica di migliorare la quantità/qualità delle strutture, soprattutto ospedaliere, quanto principalmente ad adeguamento sismico. Si sancì un percorso interistituzionale apprezzabile teoricamente: impegno della spesa da parte dello Stato con fondi pluriennali ripartiti sulla base di appositi “Accordi di programma ex art. 20 L. 67/1988”; soggetti attuatori individuati nelle Regioni e Province autonome con esecuzione degli interventi rimessi in capo alle aziende sanitarie (Asl, Ao, Aou).

La teoria vince sempre sulla pratica
Come si diceva, sul piano teorico nulla quaestio, specie se combinata con l’introduzione (teorica) del federalismo fiscale. Quello strumento ideale, introdotto nella Costituzione del 2001 all’art. 119 (invero originariamente con l’art. 1 del d.lgs. 56/2000) mai applicato, che prevedeva la messa a terra da parte dei trasferimenti statali in materie di salute. Il tutto, con l’introduzione di un finanziamento basato su costi standard per Lea (uguali per tutti), fabbisogni standard (differenziati per Regioni sulla base dei bisogni reali) e assistenza della perequazione, posta a tutela delle Regioni deboli in termini di capacità fiscale a pervenire alla differenza economica mancata per assicurare i Lea alla loro popolazione.

Diversamente, sul piano realizzativo con un sistema simile, in continuità della spesa storica e con una distribuzione ”politica” dei suddetti fondi ex art. 20, si è avviato il disastro che tutti oggi viviamo, quello che è costato tanto nell’epoca del Covid, con un piano pandemico che non c’era da anni e con un Piano Sanitario Nazionale non più redatto e approvato dal 2006.

I risultati
Diseconomia cronica, specie con la sanità spendacciona del Mezzogiorno e penalizzata da Fondi sanitari regionali inadeguati. Ma soprattutto con fondi ex art. 20 distribuiti male, frequentemente buttati al vento in edificazioni inutili e con investimenti non affatto conformi alle reali necessità.

Basta guardare i filotti di ospedali che si danno la mano in pochi chilometri specie di riviera e l’assenza di presidi efficienti nei siti montani. Per non parlare delle realizzazioni finanziate dall’art. 20 date in locazioni favorevoli a privati, così come avvenuto da decenni in favore di iniziative prossime alla burocrazia a suo tempo dominante.

Oggi accade di peggio, con tendenza al peggioramento. Si fa politica con edificazioni lunari che, a pensarci bene, non servono. Meglio, che si farebbe bene a tramutare in investimenti sul territorio che è il migliore dei filtri possibili agli abusi di ricoveri. Ciò lo si fa perché si è premiati da un elettorato affascinato più dalla ballerine e dai lustrini che dalla esigibilità del diritto alla salute.

Un rendiconto del vero
Al riguardo, sono interessanti le conclusioni cui perviene il “Rapporto 2025 del Think Tank ‘Welfare, Italia”. Una gran parte dei rilievi sulla sanità dipendono da quanto riferito: enormi diseguaglianze in termini di esercizio delle politiche sociali e sanitarie in tutto il Sud, che riceve tanto da investire ma che spende male, tanto da essere nettamente al di sotto della media di tutti i “sud” europei.

La sanità ivi è in crisi irreversibile nonostante un incremento di investimento del 24,8%. Qui i Lea sono venduti teoricamente ma non erogati dalla sanità pubblica, bensì da quella privata che registra un ricavo a cittadino di 475 euro all’anno, con medie familiari insostenibili per chi vive stati prossimi alla povertà, costretti a sopportare le malattie e a rinunciare alle diagnosi anche vitali.

In tutto questo quadro la Calabria è ultima. E se ne arguiscono i motivi, che ne ipotecano anche il futuro. Con una popolazione reale, al netto dei residenti che non sono più tali, che è prossima al milione e mezzo, si investe in 4/5 strutture ospedaliere che rasentano (nell’idea) edificazioni fantascientifiche. Non solo. si mettono in funzione quattro corsi di laurea in medicina (dei quali qualcuno sarebbe utile da destinare ai cugini d’Africa e mediorientali). E ancora. Si suppongono due AO da tradurre in AOU, delle quali una sedicente da tempo a Catanzaro. Tutto ciò, invece di pensare a quei tanti calabresi che vivono nelle periferie prive di tutto e ad investire i soldi nelle case di comunità che, forse rimaste sulla carta, sarebbe stato meglio mettere a terra con “prefabbricati” appositi, soggetti peraltro per tipologia a meno speculazioni. Una battuta? Forse.

Ettore Jorio

Ettore Jorio

10 Novembre 2025

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