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Covid. Scoperta la “tempesta perfetta” che aumenta il rischio di trombosi

Due studi italiani, condotti da un gruppo di ricercatori della Sapienza Università di Roma, identificano un mix di fattori per riconoscere i soggetti con Covid a maggior rischio di trombosi e le indicazioni per ottimizzare la terapia anti-coagulante. Circa il 20% dei pazienti Covid-19 rischia di andare incontro a una trombosi durante il ricovero. IL PRIMO STUDIO è stato pubblicato su Thrombosis and Haemostasis, il secondo è in corso di pubblicazione su Haematologica.

25 MAR - Nei pazienti COVID-19 una delle principali cause di mortalità è l’elevato rischio di trombosi, che può presentarsi sia nel distretto venoso in forma di trombosi venosa profonda o embolia polmonare, sia in quello arterioso in forma di infarto del miocardio o ictus. Circa il 20% dei pazienti Covid-19 può andare incontro a queste gravi complicanze durante il ricovero. Finora a ora le evidenze disponibili non hanno consentito di identificare con chiarezza i pazienti Covid-19 a rischio di trombosi né le indicazioni alla terapia anticoagulante per la prevenzione del rischio tromboembolico, ma due studi italiani arrivano ora a fare chiarezza.

Il gruppo di ricerca italiano,coordinato da Francesco Violi del Dipartimento di Medicina interna e specialità mediche della Sapienza Università di Roma, in collaborazione con Lorenzo Loffredo, Pasquale Pignatelli e Annarita Vestri dello stesso Ateneo, ha realizzato due studi nei quali vengono identificati quali sono i pazienti con maggiore rischio di trombosi e quali le dosi ideali di terapia anticoagulante per la prevenzione di eventi trombotici. Uno dei due lavori è pubblicato sulla rivista Thrombosis and Haemostasis e l’altro è in pubblicazione su Haematologica.

In particolare, spiega una nota dell’Ateneto, il primo lavoro è consistito in uno studio multicentrico che ha incluso 674 pazienti COVID-19, nel quale la combinazione di 3 semplici variabili quali età, albumina serica e livelli di D-dimero, uno dei frammenti proteici della fibrina, responsabile della formazione di coaguli (trombi) nei vasi sanguigni, ha permesso di identificare i pazienti con maggior rischio di trombosi.

E’ stato visto che coloro che avevano una combinazione di età elevata (più di 70anni) bassa albumina (<35 g/L) e D-dimero elevato (>2000ng/ml) avevano una maggiore probabilità di trombosi, rispetto a pazienti di età inferiore e con valori normali di albumina e D-dimero.

“Avendo a disposizione questo semplice punteggio, chiamato ADA score - spiega Francesco Violi - è adesso possibile stabilire chi è a maggiore rischio di trombosi e che ha necessità di un trattamento anticoagulante”.

Il secondo lavoro, in pubblicazione su Haematologica, rivista ufficiale della Società Europea di Ematologia, risponde a una problematica ancora dibattuta dopo due anni dall’inizio della pandemia, ovvero se la prevenzione di questi eventi trombotici vada fatta con una terapia anticoagulante standard o con dosi profilattiche, cioè basse dosi di anticoagulanti. Questo aspetto è rilevante in quanto le basse dosi di anticoagulante, che tutt’oggi sono la terapia più usata, potrebbero essere insufficienti a ridurre il rischio di trombosi.

Il team di ricercatori ha effettuato una meta-analisi degli studi che hanno confrontato i due tipi di trattamento, dimostrando che le dosi standard di anticoagulanti sono superiori alle dosi profilattiche nel ridurre gli eventi trombotici senza aumentare il rischio di emorragie serie.

“La meta-analisi, che ha incluso circa 4500 pazienti COVID-19 - conclude Violi - dimostra come questa terapia rappresenterebbe un utile supporto non solo per ridurre gli eventi trombotici, ma anche della mortalità, che, purtroppo, rimane ancora elevata fra questi soggetti”.

25 marzo 2022
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