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Il Lazio: una regione ancora nel guado che non riesce a uscire dall’emergenza sanitaria

I 2/3 della ricchezza della regione viene impegnata e utilizzata  per mantenere un sistema che stenta a trovare un suo equilibrio finanziario e assistenziale. Un sistema dunque che costa troppo e che rende ancora troppo poco in termini di salute prodotta. Qualche miglioramento è stato compiuto sui livelli delle prestazioni erogate e sulla loro  qualità ma molto resta ancora da fare.

17 DIC - Il quadro debitorio della regione Lazio, nonostante i miglioramenti realizzati a seguito del regime di commissariamento e le rassicurazioni più volte date dal presidente Zingaretti sulla “rinascita” della sanità Laziale, continua a destare preoccupazioni per l’assenza di un reale e stabile processo di risanamento finanziario. E di tale povertà di risultati apprezzabili dal punto di vista del conto economico e non solo  si è fatta autorevole interprete la sezione laziale  della Corte dei Conti nella sua relazione sull’anno 2014 (vedi QS del 3 dicembre). 
 
Per la magistratura contabile  infatti  il minore disavanzo registrato nel 2014 (-313,644 migliaia di euro rispetto ai 669,626 del 2013 ) non risulta conseguente ad un intervento strutturale migliorativo, derivante a sua volta  dalla capacità di gestione dell’attività demandata ai vertici regionali/GSA, bensì  a una serie di  fattori esogeni e straordinari senza i quali il conto sarebbe ben più salato e pari a – 660,849 migliaia di euro e quindi sovrapponibile a quello dell’anno precedente
 
Il quasi pareggio delle 12 ASL
Singolare è poi il modo in cui le 12 ASL hanno chiuso l’anno con un quasi pareggio. Chi si fosse aspettato un comportamento particolarmente  virtuoso commetterebbe un errore; il buon risultato infatti  non è frutto di una riduzione dei costi, (restati a fermi a 185.391 migliaia di euro) ma di un vero artificio contabile   consistente nel livellare le perdite accumulate nel corso dell’anno dalle singole aziende prima del consuntivo ( passato  per incanto da -709.850 migliaia di euro a 18 migliaia di euro)  ; modus operandi che,  avendo utilizzando una somma pari a 900.000 migliaia di euro per ripianare l’anno in corso, è   in aperta violazione del disposto dell’articolo 30 del D.Lgs. n 118/311 per il quale l’eventuale utile di esercizio deve essere  utilizzato prioritariamente per il ripiano delle perdite degli esercizi precedenti.
 
Con tale procedure dunque  si è operata “una deresponsabilizzazione della capacità gestionale del management aziendale (DG, DA e DS) e denota uno scarso livello di rilevazione e di intervento della amministrazione regionale in corso di gestione sui fenomeni che contribuiscono alla determinazione delle pedite
 
Il disavanzo  di AA.OO, AA.OO.UU, IRCCS e ARES 118 e l’uso improprio della leva fiscale
Al quasi  pareggio di bilancio delle ASL fa invece riscontro la reale e grave  situazione debitoria degli altri enti del SSR: aziende ospedaliere, aziende miste,  IRCCS e ARES 118  per i quali  lo scostamento tra preconsuntivo  e consuntivo  non può essere utilizzato essendo tali enti finanziati  attraverso il sistema tariffario e  non  secondo il modello della domanda (LEA) e del criterio della quota capitaria (AUSL)
 
In dettaglio il quadro che ne emerge è il seguente:  
- le aziende ospedaliere (San Camillo, San Giovanni e San Filippo Neri) , tutte in profondo rosso,  chiudono con un disavanzo complessivo di  354.777 migliaia di euro; 
- le Aziende ospedaliere Universitarie ( Policlinico Tor Vergata, Sant’Andrea e Policlinico ) sono esposte per 216.538 Migliaia di euro;
- gli IRCCS (IFO  e  Spallanzani )  chiudono con  un disavanzo 69.997 migliaia di euro.
- L’ARES 118 chiude con un passivo di 19,562 migliaia di euro
 
Un indebitamento complessivo che a partire dal 2007 non ha mostrato alcuna linea di tendenza positiva: ed infatti lungi dal contrarsi ha  subito un progressivo incremento,  con la sola eccezione delle  AO in cui si registra una lieve flessione ( da 376.354 a 354.777).
 
A nulla dunque è valso il blocco del tournover e la progressiva riduzione degli organici a dimostrazione ulteriore che il contenimento dei costi del personale e la compressione della risorsa umana è del tutto inefficace a migliorare i conti in mancanza di un efficace ristrutturazione della rete assistenziale.
 
Il dissesto finanziario delle strutture ospedaliere non è ovviamente una caratteristica esclusiva della regione Lazio che sta in buona compagnia con molte altre ( Piemonte , Liguria , Toscana, Calabria , Sardegna e in parte Veneto e Campania).
Esso tuttavia è la dimostrazione della cronica debolezza della politica sanitaria regionale che non risulta in grado di rimuovere le numerose criticità che impediscono  di  migliorare la performance del sistema sanitario regionale.
 
Una debolezza della politica che ha un riscontro ancora più grave nella destinazione  da parte della regione di risorse fiscali aggiuntive la cui maggiorazione è stata legittimata (rectius automaticamente attivata) dalla necessità di riequilibrio del settore sanitario a finalità extrasanitarie estranee al perimetro sanitario ; fatto questo che per la Corte dei Conti è  una vera forzatura del sistema ordinamentale.
 
Rimangono dunque inalterate alcune criticità che impediscono una corretta gestione contabile e tra queste: la presenza in bilancio di oneri straordinari”, per sopravvenienze e insussistenze passive, di importi rilevantissimi;  l’esposizione della regione al pagamento di premi non congrui per l’attivazione dell’autoassicurazione da parte delle singole ASL contro il rischio il rischio clinico e soprattutto il notevole ritardo  nel recepire ed attuare la normativa nazionale in materia di accreditamento degli erogatori privati dilatando a dismisura il cd. “accreditamento provvisorio”
 
Le storiche carenze della Regione Lazio e le previsioni della Legge di Stabilità
L’attuale gestione del servizio sanitario regionale non presenta sostanziali novità rispetto al passato.
 
Le grandi criticità che sempre hanno caratterizzato il SSR continuano a pesare e impediscono di raggiungere dei risultati stabili in termini di efficienza e  qualità del servizio che pure qualche passo avanti ha compiuto con un miglioramento  degli indicatori correlati ai livelli di assistenza (nel 2014 si è passati da 160 a 168 punti). Rimane un carico fiscale eccessivo che grava  su cittadini e imprese e che nato  per fare fronte al disavanzo sanitario viene invece deviato per finanziare altre poste di bilancio che nulla hanno a che vedere con la sanità
 
L’assistenza ospedaliera
La questione principale è senza dubbio l’inefficienza della rete ospedaliera con il sovraffollamento dei pronto soccorsi e la difficoltà di reperire posti letto disponibili sia in entrata che in uscita  verso altre strutture
 
Su questi temi l’associazione dei medici di emergenza SIMEU si è variamente espressa sostenendo a ragione che “la causa principale ( intesa a livello nazionale)  è l’impossibilità di ricoverare i pazienti nei reparti degli ospedali per indisponibilità di posti letto, dopo il completamento della fase di cura in PS” Il problema dovrebbe essere affrontato in modo sistematico e per SIMEU è indispensabile attivare “in ogni azienda/presidio (o anche area vasta) di una funzione centralizzata di gestione della risorsa posti letto (“bed management”) e di eventuali unità di pre-ricovero (holding units) e di pre-dimissione (discharge room).
 
Anche gli accessi inappropriati contribuiscono all’affollamento, ma solo in piccola parte (< 10%) e l’enfasi posta sui codici bianchi è un errore di valutazione in cui spesso cade la regione.
 
E’ ovvio che la scarsa disponibilità di posti letto rimanda alla difficoltà di contenere la degenza media al tempo strettamente necessario per risolvere l’acuzie del paziente e che la mancanza di strutture intermedie a minore intensità di cura in cui trasferire appena possibile il paziente è un altro dei problemi irrisolti.
 
Il vero problema è tuttavia l’ospedalizzazione evitabile e questo chiama in causa il modello di cure primarie implementato dalla regione di cui poi parleremo
 
La pletora di  policlinici universitari
Alla carenza relativa di posti letto disponibili fa da controcanto l’eccesso di Policlinici universitari (Policlinico Tor Vergata, Sant’Andrea e Policlinico) tutti rigorosamente in rosso, a cui sia aggiungono due altri Policlinici accreditati (Policlinico Gemelli e Campus Biomedico). In un mio precedente articolo ho ampiamente discusso l’anormalità di una situazione in cui una regione, il Lazio,  fornisce  il 45% dell’offerta formativa nazionale per le professioni sanitarie  infermieristiche. L’amico Angelo Mastrillo mi ha fatto gentilmente notare che i laureati sono invece “solo”  il 25% del totale a ulteriore dimostrazione di come il sovradimensionamento di strutture universitarie non trovi giustificazione neanche dal punto di vista della “quantità del prodotto” . Ho parlato di una legge di Ricardo al contrario in cui la specializzazione di mercato non produce vantaggi comparativi ma contribuisce a generare disavanzo. I dati corretti da Mastrillo rafforzano ulteriormente questa tesi e devono indurre la regione a riflettere sui costi che il SSR sopporta per mantenere un sistema così pletorico.
 
La componente privata
Un ulteriore dato problematico è l’eccesso di offerta privata in mancanza di chiare procedure di accreditamento e di verifica dei requisiti per potere operare per conto del SSN.  Continuo a ritenere che le regioni in disavanzo strutturale siano quelle in cui la componente privata è maggiormente presente ( Lazio, Campania, Sicilia etc) e che in sanità il privato debba mantenere un ruolo fortemente subordinato al pubblico.  Diversa è ovviamente la posizione dell’AIOP ( a cui si aggiungono gran parte delle associazioni datoriali)  la cui analisi su tutto il territorio nazionale dimostrerebbe che le strutture private sono più efficienti di quelle pubbliche sia dal punto di vista dei costi e sia della complessità dei casi trattati ( case mix). Secondo l’associazione infatti sulle strutture pubbliche graverebbero 8 miliardi  di sprechi e inefficienze di spesa. Uno studio che merita tutta l’attenzione dovuta e che dovrebbero spingere la regione a un supplemento di indagine proprio in virtù del peso che l’ospedalità privata ha nella regione e il dissesto finanziario delle strutture pubbliche. E la domanda a cui dare risposta sarebbe allora la seguente:  nel contesto laziale è la ospedalità privato un fardello ereditato da precedenti amministrazioni o all’opposto una risorsa?  Una questione assolutamente vitale per la regione  perché se il dato AIOP fosse confermato la posizione dei diversi direttori succedutisi alla guida degli ospedali pubblici diventerebbe sicuramente più difficile da sostenere
 
Le cure primarie
La regione Lazio ha avviato già da molti anni la riconversione di diverse decine di ex strutture ospedaliere in case della salute. Nei fatti però le case della salute oggi presenti non sono diverse dalle vecchie SAUB dell’ epoca mutualistica o immediatamente successiva. Sono dei contenitori in cui totalmente assente è il lavoro in team e l’integrazione tra attività sanitarie e sociali. Il modello di cure primarie è tipicamente ed esclusivamente on demand . Viene ampliata l’offerta oraria, ora estesa anche al sabato  e domenica con i tanto propagandati ambulatori del weekend   ma non viene modificato per nulla il tipo di servizio offerto.
 
E’ come vedere un film su  una  pay tv in cui si può scegliere a piacimento l’orario di inizio del film senza però poter cambiare  pellicola. Nei ambulatori del week end si continua a fare esattamente le stesse cose che si fanno negli altri gironi: essere a disposizione dei paziente senza nessun intervento proattivo di medicina di iniziativa.  Si dice che in base ai dati del sistema GIPSE il numero di accessi al pronto soccorso ( sicuramente codici bianchi) si sarebbe ridotta del 14,2%, ma questo non è sufficiente per dire che l’esperimento abbia dato buoni frutti. Abbiamo infatti visto che la SIMEU ha calcolato solo nel 10% il peso che i codici bianchi hanno nell’allungare le ore di attesa in PS ma il vero problema è la mancanza di posti letto  e di ricoveri evitabili sui quali i codici bianchi non hanno effetto alcuno.
 
Il problema degli ospedali è che malati  affetti da patologie croniche non vengono seguiti in modo ottimale sul territorio con misure atte a prevenire le riacutizzazioni di cui soffrono o non vengono sostenuti adeguatamente a domicilio. E questo ha come conseguenza inevitabile il ricorso all’ospedale e la lunga e inutile permanenza in corsia per mancanza di misure alternative. Le cure primarie non sono l’ospedaletto difettivo che gli MMG tengono aperti nei giorni festivi ma devono essere i centri su  cui impiantare il chronic care model e la medicina d’iniziativa. In altre parole la medicina generale deve occuparsi delle cronicità e fare in modo che i pazienti fragili non accedano ai pronto soccorsi perché sottoposti a misure di prevenzione delle complicanze e adeguatamente trattati a domicilio.
 
Tutto il contrario di quello che è stato fatto con tanta enfasi nella regione e dalla FIMMG  impiegando risorse che avrebbero potuto avere un uso sicuramente migliore.
 
Le risorse umane e le infrastrutture tecnologiche
Nessuna attenzione è stata prestata alle esigenze degli operatori che anzi operano in contesti sempre più difficili. Non parlo soltanto della mancata sostituzione delle unità andate in quiescenza ( per i limiti imposti  dal piano di rientro)con conseguente sovraccarico  di lavoro degli sfortunati  ancora rimasti  in servizio. Parlo anche degli strumenti telematici che potrebbero alleggerire il lavoro quotidiano. La refertazione ondine è semplicemente disastrosa. I collegamenti in rete sono carenti  e spesso la connessione è impossibile o estremamente rallentata e quel che peggio il programma per la prescrizione delle analisi e degli altri accertamenti diagnostici è assolutamente inadeguato alle esigenze dei prescrittori.  Non si capisce chi abbia potuto elaborare un programma in cui anche i nomi utilizzati per identificare i singoli accertamenti sono desueti o difficili da trovare e , spesso, anche quando vengono richiamati correttamente non vengono caricati sulla ricetta.
 
Lo stesso dicasi per la mancanza di un portale in cui potere consultare la letteratura scientifica; come se l’aggiornamento professionale non fosse interesse primario della regione 
 
Le previsioni delle legge di stabilità
La legge di stabilità in corso di approvazione prevede una serie di misure che,  oltre a  rafforzare gli attuali obblighi di trasparenza dei dati di bilancio in capo alle aziende del SSN, istituiscono un sistema di monitoraggio delle attività assistenziali e della loro qualità  congiuntamente all'obbligo di adozione e di attuazione di un piano di rientro aziendale, della durata massima di  tre anni, per gli enti che presentino un determinato disavanzo “pari o superiore al 10 per cento dei medesimi ricavi o pari, in valore assoluto, ad almeno 10 milioni di euro ” o che non rispettino i suddetti parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure. Di fatto tutti gli enti regionali, di cui sopra andrebbero inevitabilmente incontro a commissariamento , visto il livello di disavanzo che da molti anni li caratterizza. Tali norme hanno suscitato diversi autorevoli interventi tra cui quelli della Dott Tiziana Frittelli e del Prof  Giuseppe Novelli rettore dell’università di Tor Vergata. In particolare il vice presidente Federsanità Anci dott Frittelli, pur apprezzando l’impianto generale del provvedimento  ritiene  “ineludibile, qualora rimanesse inalterata la complessiva trama del disegno di legge…. l’immediata estensione del limite temporale di vigenza del piano di rientro nella misura di almeno cinque anni, così come, peraltro, già autorevolmente evidenziato in tal senso in sede di lavori al Senato”. Si correrebbe in caso contrario il rischio che i direttori generali si trovino costretti a tagliare i servizi scaricando i costi sui cittadini.
 
E’ difficile non convenire con tali osservazioni anche se ritengo che la soluzione sia di tipo sistemico e non  possa essere risolta dal singolo nosocomio senza interventi radicali sugli assets assistenziali regionali. Questo ovviamente non significa de-responsabilizzare i direttori generali o assolverli dal non essere stati in grado di risanare, anche se parzialmente,  i bilanci degli ospedali loro affidati. Significa invece che la politica ( sanitaria) debba ritrovare un ruolo nella programmazione e nella re-ingegnerizzazione della rete assistenziale in mancanza della quale ogni tentativo è destinato  al fallimento  o al brutale ribaltamento dei costi sui pazienti 
 
Considerazioni conclusive
Nel 2014 la spesa sanitaria della Regione Lazio è stata pari a 11.231.590 migliaia di euro in termini di impegno (il 66,87% degli impegni totali) ed a 14.877.712 migliaia di euro in termini di pagamento (il 73,76% dei pagamenti totali).
 
Questo significa che i 2/3 della ricchezza della regione viene impegnata e utilizzata  per mantenere un sistema che stenta a trovare un suo equilibrio finanziario e assistenziale. Un sistema dunque che costa troppo e che rende ancora troppo poco in termini di salute prodotta. Qualche miglioramento è stato compiuto sui livelli delle prestazioni erogate e sulla loro  qualità ma molto resta ancora da fare.
 
Una soluzione comunque va cercata e deve essere attuata in tempi brevi perché altrimenti l’uscita dalla fase del commissariamento rischia di restare un miraggio a dispetto delle rassicurazioni più volte date dal Presidente della Regione e anche ieri riconfermato nel convegno del PD Laziale sulla sanità.
 
E questo sarebbe un danno superiore alla beffa; perché se la regione non riuscirà ad uscire dal regime di affiancamento non potrà nemmeno colmare le lacune nel suo sistema assistenziale che appaiono in tutta la loro evidenza  In primis l’adeguamento delle piante  organiche con la sostituzione del personale andato in quiescenza, e poi  il miglioramento della rete assistenziale (ospedaliera e territoriale) colmando le lacune carenti (vedi la rete dei servizi di allergologia e ridefinendo  meglio quella dei servizi di ematologia oggi confusi con quelli di oncologia).
 
Una situazione che ha effetti estremamente negativi sulla qualità delle cure e sulla vita degli operatori rimasti in servizio
 
Temi dunque importanti su cui occorrerebbe aprire una discussione scevra di autocelebrazioni e attenta alle questioni di merito e su cui dovrà impegnarsi il nuovo Direttore generale Salute e politiche sociali della regione Lazio, Vincenzo Panella,  a cui vanno i miei migliori auguri di buon lavoro.
 
 
Roberto Polillo

17 dicembre 2015
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