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Inutile riformare il territorio senza mettere mano all’ospedale

di Francesco Medici

20 APR -

Gentile Direttore,
una riforma monca: il decreto 71 (Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale) sta, con notevole ritardo, integrando con la cosiddetta parte “territoriale” il capitolo “ospedaliero” figlio del decreto 70 addirittura del 2015. (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera. (GU Serie Generale n.127 del 04-06-2015)

Ci sorprende quindi che si stia discutendo oggi di un decreto “solo territoriale” invece che affrontare il sistema nel suo complesso, come se la medicina fosse a compartimenti stagni, lì dove invece è l’integrazione tra i due sistemi la soluzione all’efficientamento del SSN.

Oggi, soprattutto dopo la pandemia, si ravvisa l’urgenza di rivedere il decreto 70 integrandolo con il cosiddetto decreto 71. I parametri del 2015 (7 anni fa) fotografano una sanità che oggi non c’è più, parametri che anche allora erano, alla conta dei fatti, sbagliati: i 3.7 posti letto per mille abitanti (unici nel mondo CEE) si sono dimostrati da subito inadeguati, se è vero come è vero, che le liste attesa, anche per interventi chirurgici, sono sempre più lunghe e non soltanto dall’epoca Covid. Non è un caso che dal 2015 sono “scoppiati” i pronto soccorsi di tutta Italia, non solo (come è stato raccontato) per accessi impropri non filtrati dal ma SOLO e SOLTANTO perché i pazienti una volta studiati non trovavano letti nei reparti.

Oggi, capito che la “bufala” del decreto Balduzzi degli studi aperti H24 non ha funzionato, con il decreto 71 si è corretto il tiro dando posti letto al territorio. Può bastare?

A mio avviso il “territorio” soffrirà anche con il decreto 71: si sta cercando di inserire surrettiziamente nella medicina convenzionata il “modus operandi” della dipendenza, lo si sta cercando di fare senza prevedere un diverso tipo di contratto di lavoro.

Urge la riforma del decreto 70 perché le liste di attesa chirurgiche (anche prima della pandemia) sono sempre più imbarazzanti costringendo all’uso dell’“out of pocket” che è arrivata ai 34 miliardi di euro.

Urge la riforma del decreto 70 anche perché gli ospedali con la legge 34 hanno costruito (correndo peraltro) posti di terapia intensiva di Sub intensiva che oggi risultano inutili e quindi inutilizzabili, sempre li dove non si siano allestiti padiglioni, fiere o chiese riempendoli di attrezzature costosissime che oggi prendono polvere.

Urge la riforma del decreto 70 perché sono convinto che i DEA di I ma soprattutto di II livello vadano appunto “riformati”. Quello che deve essere rafforzato ed integrato non è solo il territorio ma è l’ospedale, soprattutto l’ospedale.

L’ospedale di comunità previsto dal decreto 71, potrebbe fungere da cerniera tra territorio ospedale permettendo di ricoverare in quelle strutture solo dai Dea di I e II livello permettendo in tal modo, di decongestionare veramente i pronto soccorso integrando in tal modo ospedale e territorio.

Urge la riforma del decreto 70 perché bisogna arrivare a quello che è stato definito l “’ospedale flessibile” ovvero un ospedale che può tranquillamente avere dei reparti chiusi che vengono riaperti secondo emergenze: possa essere un PEIMAF (maxi emergenza) possa essere emergenza infettiva Covid, SARS e quant’altro, possa essere semplicemente un’emergenza stagionale quale la sindrome influenzale. Possa essere solo un piano per recuperare le liste di attesa chirurgiche. Oggi per esempio è quanto ci viene richiesto, ma, personale a parte, dove ricoveriamo i malati da operare in più, negli ex padiglioni per i Covid?

Una proposta, come già argomentato, potrebbe essere ipotizzare che il cosiddetto “ospedale di comunità” sia gestito direttamente dai DEA di primo di secondo livello: il paziente una volta stabilizzato ed arrivato a diagnosi viene trasferito direttamente nell’ospedale di comunità. Lì avviene l’integrazione tra il medico dipendente territoriale e il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta o lo specialista ambulatoriale per le rispettive successive prese in carico (domicilio, casa della salute, telemedicina).

Chi dovrebbe a mio avviso, “abitare”, gestire, vivere questo ospedale: sicuramente una forte componente infermieristica non c’è dubbio, ma sicuramente anche una componente medica che può essere anche un medico già dipendente ma a mio avviso anche un medico che abbia acquisito il titolo di medicina generale, ma inquadrato con un contratto di dipendenza, perché il rapporto in quell’ospedale è strettamente e naturalmente gerarchico e quindi di dipendenza.

Urge una riforma perché, a mio avviso, dobbiamo prevedere sia per il medico ospedaliero e che per il MMG e PLS di assumere non solo medici ed infermieri ma personale amministrativo specializzato per il SSN. Dovremmo prevedere nel nostro SSN una nuova figura professionale una “figura amministrativa di reparto” che coadiuvi medici ed infermieri nei reparti o negli ambulatori ad utilizzare nuovi mezzi tecnologici. È assurdo che il SSN paghi un professionista medico per fare adempimenti burocratici (cartella informatizzata, ricetta elettronica, certificazione Inail, certificazione medica digitalizzata e quant’altro).

Un modo per avere più medici è anche quello di avere medici che fanno solo i medici: che visitano e fanno diagnosi e che curano ma coadiuvati da braccia gambe cervelli che permettono la digitalizzazione dei processi di cura come prevedono normative subentranti. La soluzione alla deburocratizzazione dell’atto medico.

Le Organizzazioni sindacali dei medici dipendenti e convenzionati dovrebbero pretendere che al tavolo di riforma del decreto 70/71 sieda anche la componente sindacale, pretendere che si ascolti chi rappresenta i lavoratori anche al fine di adeguare i contratti in essere ai nuovi scenari lavorativi.

Francesco Medici

Consigliere Nazionale Anaao Assomed



20 aprile 2022
© Riproduzione riservata

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