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Sul fine vita va chiarito il concetto di trattamenti di sostegno vitali

di Davide Mazzon 

24 FEB -

Gentile direttore,
il Prof. Panti, nel suo intervento su QS del 23/2/2023, esorta la FNOMCEO ad aprire un dibattito sulla “buona morte” sulla base delle opportunità che oggi il progresso tecnico-scientifico può dare di allungare la durata della vita in condizioni che la persona malata, ad un certo punto della evoluzione della malattia, potrebbe affermare di non volere più accettare.

La sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale da Lui citata e relativa al caso “DJ Fabo”, richiama numerose volte la terminologia “trattamenti di sostegno vitale” quali trattamenti indispensabili per il mantenimento in vita, con il concreto riferimento ad esempi quali la ventilazione, l’idratazione o l’alimentazione artificiali, la rinuncia ai quali da parte della persona malata innesca un processo di indebolimento delle funzioni organiche il cui esito non necessariamente rapido è la morte. La condizione di essere sottoposto a “trattamenti di sostegno vitale” viene posta in questo pronunciamento giudiziario come uno dei requisiti per potere accedere alla morte medicalmente assistita, mediante suicidio medicalmente assistito, da inserire in una nuova norma legislativa.


Il Prof Panti, sottolinea poi che “fin dalla comparsa della sentenza, è apparso chiaro che il riferimento ai sostegni vitali ingenerava iniquità per disuguaglianza in quanto la massima parte dei pazienti, nelle condizioni che potevano spingere alla richiesta suicidaria, non erano tenuti in vita da sostegni vitali, trattandosi per lo più di malati oncologici, pur trovandosi nelle stesse condizioni di sofferenza descritte dalla Corte.” Toccando questo punto, il Prof. Panti evoca un aspetto su cui evidentemente spetta alla Professione Medica suggerire un preciso ambito definitorio su cosa debba intendersi per “trattamenti di sostegno vitale”, fornendo anche un chiaro riferimento laddove legislatori o magistrati dovessero pronunciarsi in materia.

A mio giudizio, la complessità della moderna prassi clinico-assistenziale rende palese che il “trattamento di sostegno vitale” non possa riferirsi ad uno specifico apparecchio tecnologico, né ad un singolo presidio clinico-assistenziale, né ad una somministrazione farmacologica, né ad una o più pratiche assistenziali che, in modo esclusivo, consentano alla persona malata il prolungamento della sopravvivenza. E’ invece l’uso simultaneo ed integrato di apparecchi, presidi, farmaci, di atti sanitari di competenza medica e infermieristica, che si concretizza in un piano il quale, applicato secondo le specifiche necessità di ciascun caso, consente la ottimizzazione di cure estremamente complesse in persone con malattie gravi, progressive ed a prognosi infausta in tempi più o meno lunghi.

I trattamenti sanitari di supporto al mantenimento in vita della persona gravemente malata possono spaziare da apparecchi esterni per la sostituzione integrale o parziale di funzioni vitali (es. ventilatore, emodialisi, apparecchi di vario tipo per supportare la funzione di pompa cardiaca, ecc), a dispositivi impiantati per "protezione" dalla insorgenza di Eventi Avversi (es. pacemaker cardiaci, defibrillatori automatici, ecc), a dispositivi esterni o impiantati per la erogazione di farmaci o di stimolazioni elettriche per il trattamento di patologie che richiedono particolari infusioni o neurostimolazioni (es. diabete, m. di Parkinson, Dolore Neuropatico, ecc). Ma "trattamenti di sostegno vitale" possono considerarsi anche la semplice Ossigenoterapia, indispensabile per moltissime persone affette da Insufficienza respiratoria da malattie cardiorespiratorie, neurologiche, ecc., nonchè i farmaci in grado di mantenere la persona gravemente malata in compenso cardiovascolare, respiratorio, neurologico, metabolico, immunitario, ecc., rallentando la evoluzione di malattie croniche progressive ad evoluzione fatale e prevenendone le riacutizzazioni che possono implicare pericolo di vita. E ancora nella categoria di "trattamenti di sostegno vitale" vanno fatti rientrare gli strumenti assistenziali di gestione infermieristica necessari per garantire la tracheoaspirazione, lo svuotamento di vescica ed intestino anche attraverso stomie esterne, nonché il trattamento di lesioni cutanee di frequente insorgenza in persone allettate o con problemi cardiocircolatori.

Risulta quindi assolutamente ragionevole qualificare come “trattamenti di sostegno vitale”, la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente, l’insieme integrato di trattamenti sanitari medico-infermieristici che mantengono in vita pazienti “cronicamente critici” e non un singolo apparecchio/presidio/farmaco.

Si tratta peraltro della lettura del concetto di “trattamenti di sostegno vitale” adottata nella sentenza della Corte di Assise di Massa del 27/7/2020 relativa al caso "Trentini" in cui si evidenzia che il requisito dei “trattamenti di sostegno vitale”, indicato dai Giudici della Corte Costituzionale con la sentenza 242/2019, "non significa necessariamente ed esclusivamente dipendenza da una macchina”. La sentenza di Massa afferma che si debba intendere come "strumento di sostegno vitale" "qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si verificherebbe la morte del malato anche in maniera non rapida”

Successivamente, La Corte d’Assise d’Appello di Genova relativamente allo stesso caso con la sentenza del 28/4/2021, confermando le conclusioni di primo grado, afferma: “La malattia gravissima da cui era effetto D.T. non richiedeva il ricorso a macchinari; il trattamento farmacologico era tuttavia per lui essenziale per la sopravvivenza, poiché se non lo avesse assunto si sarebbe fatalmente alterato il delicato equilibrio che gli permetteva di sopravvivere. Anche D.T dunque viveva una vita artificiale, fonte di insopportabile dolore fine a se stesso, perché la guarigione non sarebbe stata possibile, mentre la malattia sarebbe progredita fino a provocargli la morte in un giorno non definibile, ma certo”.

A mio parere, queste specificazioni da parte giuridica in merito al caso “Trentini”, seguite alla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale relativa al caso “DJ Fabo” identificano, con adesione alla complessità della moderna pratica clinico-assistenziale, che cosa oggi debba intendersi per “trattamento di sostegno vitale”, con riferimento alle numerose opzioni terapeutiche che sono nella attuale disponibilità dei sanitari.

E’ auspicabile che, in sede di revisione del Codice di Deontologia Medica, trovi spazio una definizione clinica di “ trattamento di sostegno vitale” che tenga conto di quanto sinteticamente esposto, per garantire, come afferma il Prof. Panti “l’uguaglianza dei diritti e la correttezza scientifica della medicina esercitata, secondo Costituzione, come diritto dell’individuo e interesse della collettività”.

Davide Mazzon
Direttore UOC Anestesia e Rianimazione Belluno
Comitato Etico per la pratica clinica ULSS 1 Regione Veneto
Vicepresidente OMCeO Belluno



24 febbraio 2023
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