Gentile direttore,
quando parliamo di ‘rivoluzione’, pensiamo, probabilmente, a quella francese e a quella russa, fino ai moti nell’Italia del 1800. Un termine simbolo, per secoli, di profondi cambiamenti e di conflitti, non necessariamente violenti o cruenti, che hanno lasciato il segno.
Con il passare del tempo, e dei tempi, sembra, però che molta di quella spinta rivoluzionaria si sia gradualmente assopita, lasciando il posto a una mesta rassegnazione, un apparente stato di quiete, anche culturale, anche di fronte a un totale disgregamento di quei diritti, sociali e civili, ottenuti proprio attraverso le rivoluzioni.
A ben riflettere, col tempo è mutato, anche il concetto di conflitto, un tempo fonte di disagi, caos, contrasti, opposizioni, oggi solo di fastidio, un’alzata di spalle senza nemmeno una riflessione, sia nei cittadini che nelle istituzioni. Basti guardare la partecipazione alle sparute manifestazioni in difesa di diritti e di principi, anche di rango costituzionale.
Anche nell’ambito ambito sanitario, da sempre considerato quasi sacro nel nostro Paese, si è creata una graduale, pericolosa e disarmante assuefazione.
Se solo 30 anni fa avessimo ipotizzato l’avvento delle polizze assicurative o un difficile accesso alle cure gratuite, politici, cittadini e professionisti sarebbero, probabilmente, insorti alla ‘vecchia maniera’. Oggi no. Almeno in Italia.
La rassegnazione tra i cittadini regna sovrana in uno Stato in cui il diritto alla salute viene messo in discussione e negato ormai da 15 anni, quasi senza far rumore. L’unico rumore di fondo è quello delle opposizioni che prendono a cuore (fino a quando non vanno a governare) lo slogan “Salviamo il Ssn”, insieme a qualche sindacato e/o associazione di professionisti che provano a fermare la deriva non avendo la forza di invertire la rotta.
E alla fine c'è anche l’autoassoluzione perché in fondo i cittadini riescono a ricevere comunque le cure e i professionisti non sono poi così in difficoltà. E si rinuncia a osservare più a fondo il nostro stato sociale, in cui istruzione e sanità non sono più da tempo in cima all’agenda della politica.
E i cittadini si adeguano, disertando le urne in numero crescente, di elezione in elezione. Sono 17 milioni i cittadini italiani che hanno scelto la rivoluzione silenziosa del non voto nel 2022, per manifestare il profondo dissenso verso la politica e le pseudosoluzioni che propone.
I professionisti sanitari, soprattutto i medici, si comportano allo stesso modo utilizzando l’arma delle dimissioni dal SSN. Da qualche anno è partita la rivoluzione silenziosa della grande fuga che non richiede l'intervento di corpi intermedi, non si rivolge alle rappresentanze e nemmeno le riconosce.
Secondo i dati Onaosi, infatti, sono circa 4000 i medici che ogni anno decidono di lasciare il sistema di cure pubbliche in età non pensionabile. I motivi sono diversi, sostanzialmente riconducibili alle condizioni di lavoro che di fatto rendono sempre più difficile erogare le cure. Il dato diviene ancora più allarmante se pensiamo che i giovani medici iniziano a non iscriversi più neanche alle scuole di specializzazione, visto il calo di affluenza che supera il 50%in alcune discipline (le più dure, le meno aperte alla gratificazione, le più rischiose).
Solo un cieco può non vedere che lo stato sociale sta scricchiolando con buona pace di quel senso civico che ha nutrito fino ad oggi il nostro Paese. Oggi più che mai appare evidente la crisi, perfino ai non addetti ai lavori, affetti dalla sindrome del dottor Google, in netto aumento soprattutto sui nuovi canali di comunicazione e negli ambulatori.
Investire su professionisti economicamente. Investire sulla loro sicurezza. Investire sul miglioramento delle loro condizioni di lavoro. Non si tratta di richieste puramente sindacali e categoriali, ma di condizioni che potrebbero migliorare lo stato di salute della popolazione e quello dell’economia del nostro Paese.
Un medico che riesce a curare senza la spada di Damocle della denuncia e senza temere ogni giorno di essere aggredito, un medico che riesce a conciliare il tempo vita con il tempo di lavoro, un medico che ha il tempo di fare una diagnosi senza la conta dei minuti e senza un’invadente burocrazia produce più salute, riducendo i costi e la inappropriatezza, e un cittadino che si ammala meno e si cura meglio, lavora di più, contribuendo all'aumento del PIL del Paese.
Occorre urgentemente un vero e proprio Patto per la Salute, lontano da ideologie che appartengono a una politica ormai passata, capace da un lato di creare un percorso di presa in cura del paziente e dall’altro di governare la prorompente tecnologia, a cominciare dalla, IA, utilizzandola per facilitare il lavoro del medico anziché sostituirlo. Un patto della salute che riesca finalmente a integrare le competenze tra le diverse professionalità che animano il nostro servizio sanitario, superando i silos corporativi, un patto della salute che guardi con occhi diversi alla formazione fornendo le basi per un professionista migliore, cresciuto in maniera integrata.
Un patto della salute tra professionisti, istituzioni, parti sociali, corpi intermedi e stakeholder che affronti l’annoso contenzioso tra sanità pubblica e sanità privata, e che risolva finalmente il problema della responsabilità professionale e delle competenze mediche.
Sarebbe una vera svolta che, forse, riuscirebbe a placare la rumorosa e silenziosa rivoluzione professionale della fuga che produce effetti negativi sulla tenuta del SSN.
Non sappiamo più se vale ancora la pena di sperare ma, di certo, continueremo a lottare affinché si torni a parlare di professionisti e di sanità lontano da logiche partitiche.
È il tempo del coraggio di agire per evitare il deserto medico, la desertificazione di ospedali e luoghi di cura, la fine del servizio sanitario pubblico e nazionale.
È il tempo di agire con il coraggio delle soluzioni strutturali.
“Non esistono problemi; ci sono soltanto soluzioni.” (Andrè Gide)
Pierino Di Silverio