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Luci ed ombre della legge sul dolore 

di Marco Ceresa

28 APR -

Gentile Direttore,
la
legge 38/2010 ha il pregio di aver acceso un potente faro sulla sofferenza, sia quella dei morenti che quella cronica.

Purtroppo però, ormai a 15 anni di distanza, va detto che resta ancora diffusamente incompiuta, non solo per inerzia, ma forse anche per alcune problematiche intrinseche, correlabili alla divisione dei due campi del soffrire, che evidentemente, per carenza di medici, non sono risultate ben applicabili nel mondo reale.

D'altronde un comune “peccato” manifestatosi nel campo delle specialità mediche degli ultimi anni, è stato quello della eccessiva frammentazione (che certo ha generato nuovi incarichi universitari …); infatti molte nuove specializzazioni sono largamente disertate (fra le tante la Medicina di Urgenza, ma anche le Cure Palliative … ). Peraltro l’ingravescente carenza di personale non avrebbe dovuto portare a settorializzazioni, ma ad unificazioni fra branche affini, generando competenze più ampie.

Analogamente pare essere accaduto alla legge 38/2010, infatti si è assistito solo ad un parziale sviluppo delle Cure Palliative (CP) in alcune regioni virtuose (in Italia si copre solo ¼ del fabbisogno di CP e manca almeno il 50% del personale), mentre la Terapia del Dolore (TDol) fa ancora più fatica, non riuscendo certo a sopperire alle vaste esigenze della cronicità algica, problema drammatico che devasta le vite di chi la sopporta continuamente. Ciononostante in questi lunghi anni si è provato ad insistere sulla stessa strada, di fatto con le stesse commissioni ministeriali, ma senza i frutti sperati.

Quindi, se si vuol migliorare la diffusione delle Cure del Soffrire, la carenza di personale impone cambiamenti, con unificazioni e non divisioni con teoriche sinergie (auspicate ma mai attuate, non volendo nessun ceder il proprio scettro …), oltre ad imporre ampliamenti di competenze e maggior versatilità per operare anche in ambiti diversi.

Certo le divisioni generano appetiti, con prospettive di carriera per nuovi posti direttivi, ma purtroppo senza migliorare l’assistenza ai malati, nè la vita dei medici che operano sul campo subendo le diverse evoluzioni ( … e che spesso poi disillusi lasciano ….) .

Negli anni, insieme a molti colleghi, si è già ripetutamente scritto su questi temi purtroppo assai disattesi, collaborando anche a mozioni di parlamentari di diverse parti politiche sensibili al problema del soffrire (… che non conosce differenze ….), ora si spera che il tempo sia più proficuo. Sul tema si era recentemente speso anche il compianto Papa Francesco (“Si tratta di accompagnare la vita al suo termine naturale attraverso uno sviluppo più ampio delle cure palliative”30.11.2024), oltre che il Presidente delle Repubblica.

Ora, proprio in questo periodo, sono in discussione in Commissione Affari Sociali della Camera, ben tre risoluzioni su CP e TDol, susseguitesi, a partire dalla prima dell’ottobre scorso.

Sarebbe davvero auspicabile che ci si cali nel pragmatismo del possibile, liberandosi da ideologie preconcette e da difesa di rendite di posizione, oltre che dai desideri di chi vede, anche nei servizi piccoli, come positiva la persistenza di separazione fra CP e TDol, laddove basterebbe un servizio unico più forte, con eventuali distinzioni interne e sinergie. Forse è ora di ascoltare la voce non solo di chi dirige (che certo promuove il suo modus), ma di chi opera sul campo unitamente al bisogno dei malati.

Val la pena accennare che, se davvero si vuole che esistano CP ospedaliere, vista l’elevatissima mortalità nosocomiale persistente (secondo l’Istat nel 2021 circa il 60% dei decessi, ovvero 706.969, sono avvenuti in ospedale), occorre avere il coraggio di porle quale standard ospedaliero, emendando il DM 70 che dal 2015 le ha escluse (inutile fingere di poter utilizzare a tal fine servizi territoriali già scarsi, come pretendeva il DM 77/2022, di fatto diffusamente inapplicabile almeno in tal senso).

Se poi davvero si vuole pensare alla cura della sofferenza a tutto tondo, almeno i servizi di primo livello ambulatoriali dovrebbero accogliere indistintamente i sofferenti, sia che si tratti di CP che di TDol, con servizi uniti. Essi poi potrebbero demandare quei malati complessi che necessitano di procedure invasive maggiori a centri Hub in grado di gestirle, sia che si tratti di cronicità algica, che di dolore difficile in fasi finali di malattia, migliorandone la qualità di vita.

Se si vuole anche davvero trattare la cronicità dei sofferenti sul territorio, occorre pensare anche ad erogare adeguata TDol domiciliare, per quei pz che si sposterebbero con grave difficoltà e dolore (ecco che servizi uniti CP e TDol certo lo farebbero meglio ….).

Poiché solo la concretezza del pensare al bene comune può portare frutti, si auspica che sia ascoltato soprattutto il grido dei sofferenti.

Marco Ceresa

Medico



28 aprile 2025
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