Lettere al Direttore
Studi su Cancro e alcol, tutto e il contrario di tutto
di Pietro CavalliGentile Direttore,
la relazione tra cancro e assunzione di alcol è stata indirettamente affrontata nella recente relazione OECD, che rileva un’incidenza ed una mortalità per tumore tra i più bassi in Europa per l’Austria e la Spagna, proprio nei due Paesi in cui il consumo di alcol è il più elevato rispetto a tutte le altre nazioni europee (Country Cancer Profiles 2025 | ECIR - European Cancer Inequalities Registry).
Dati che sembrano non concordare con gli illustri esperti di quasi tutto e i non-laureati in Medicina esperti di Medicina che insistono nell’associare il consumo di alcune bevande ed alimenti a catastrofici effetti sulla salute ed in particolare al cancro. In questo contesto stupisce l’indifferenza nei confronti del pesto alla genovese che, se preparato con le foglioline più tenere del basilico, è da considerarsi come probabilmente cancerogeno (contiene metileugenolo, sostanza di classificazione 2A secondo IARC). Per non parlare dei salumi, che determinano un incremento del rischio di cancro al colon pari al 18% (si spera che prima o poi qualcuno arrivi a segnalare l’impiego distorto del valore di “rischio relativo” in assenza del valore di “rischio assoluto”).
Se poi l’argomento diventa il vino, allora c’è proprio da preoccuparsi: nessun dosaggio, anche il più modesto, è scevro da rischio di infinite malattie, compreso una estrema varietà di tumori. Vale però la pena di sottolineare che alcune informazioni fornite da organismi internazionali (es. World Cancer Research Fund International) rilevano sì una relazione tra assunzione di alcol e tumore intestinale (OR=1,97) ma anche un incredibile effetto protettivo determinato dal livello di istruzione scolastica (OR=0,09), di fatto suggerendo l’ipotesi che i laureati possano bere alcolici tranquillamente, mentre chi ha solo la licenza elementare dovrebbe astenersi dal loro consumo (10.1016/j.annonc.2024.02.008).
In realtà quasi tutto quello che mangiamo e beviamo può venire associato ad un incremento del rischio di tumore o magari anche no (The American Journal of Clinical Nutrition, Volume 97, Issue 1, 127 – 134) e quindi, tornando all’alcol, si segnala anche l’esistenza di studi che ne descrivono gli effetti con una curva ad J, dove a modeste quantità corrisponde un effetto protettivo, mentre il rischio di patologia può diventare realmente elevato con l’incremento della quantità.
Si resta quindi stupiti dalle affermazioni categoriche sul generico consumo di alcolici e la sua associazione con il cancro, laddove nessuno va oltre questa affermazione, magari specificando che il rischio appare elevato per i grandi bevitori, mentre l’uso moderato di alcol potrebbe essere addirittura protettivo nei confronti del tumore .
Una recente ricerca USA effettuata su circa un milione di persone conclude che “Il consumo di alcol poco frequente, leggero e moderato è stato inversamente associato alla mortalità per tutte le cause, malattie cardiovascolari, malattie croniche delle basse vie respiratorie, morbo di Alzheimer, influenza e polmonite. Il consumo di alcol leggero o moderato potrebbe inoltre avere un effetto benefico sulla mortalità per diabete mellito e nefrite, sindrome nefrosica o nefrosi. Tuttavia, un consumo eccessivo ha comportato un rischio più elevato di mortalità per tutte le cause, cancro e incidenti”( BMC Medicine (2023)
Si potrebbe continuare ancora, magari citando uno studio italiano (https://ceistorvergata.it/RePEc/rpaper/RP560.pdf) che conclude: “dati i limiti metodologici nel rilevare gli effetti di modeste quantità di alcol, da un punto di vista scientifico è sbagliato affermare che ‘non esiste un livello sicuro’”. Altri Autori USA certificano persino un effetto protettivo del consumo giornaliero di vino nei confronti della malattia di Alzheimer (Journal of Alzheimer's Disease)
Per dirla tutta, in realtà è praticamente impossibile isolare un singolo alimento dal contesto generale, dalle abitudini di vita, dall’uso non distinto dall’abuso, confermando il fatto che tra i numerosi studi pubblicati e relativi allo studio di singoli componenti della normale alimentazione si può trovare tutto ed il contrario di tutto.
Opportuna quindi una citazione relativa a Joannidis, che ha ripetutamente messo in guardia sulla (non) validità dei risultati pubblicati a proposito di associazione tra alimenti (vino compreso) e patologie. Magari riflettendo su quanto pubblicato, dove qualcuno sostiene che mangiare 12 nocciole al giorno comporti un guadagno di vita di 12 anni (1 anno per nocciola?) mentre consumare un’arancia al giorno fa guadagnare 5 anni di vita (doi:10.1001/jama.2018.11025). Andrebbe anche segnalato che gli appassionati di noci e nocciole consumano assai più alcol rispetto a chi non ne mangia (e muore prima di loro) (DOI: 10.1056/NEJMoa1307352). Interessante anche il fatto che gli attuali esperti di (quasi) tutto non mettano alcun impegno nello stigmatizzare il consumo dilagante di cibi ultra processati e delle nuove abitudini alimentari che con la “dieta mediterranea”, il consumo moderato di vino e il “paradosso francese” hanno ben poco a spartire.
Sembra proprio di assistere ad un delirio cosmico, che va ben oltre le riflessioni sull’impiego moderato di alcol: pare ormai che anche in Medicina un normale e corretto atteggiamento critico (e autocritico) non sia più di moda e che siano solamente le affermazioni categoriche a riscuotere ampio consenso, specie se gridate da personaggi che con la pratica della Medicina hanno poco a che fare.
Spiace anche sottolineare la mancata reazione da parte di molti medici, alcuni di certo distratti dalla loro sofferta dipendenza dal SSN, altri dalle miserevoli condizioni economiche, altri dalle umoristiche situazioni pensionistiche (divertenti per gli erogatori, non per i medici). Senza dimenticare la progressiva cessione di competenze mediche a personaggi dall’incerta collocazione professionale. Stiamo diventando ormai una categoria incapace di una benché minima reazione a difesa del nostro ruolo professionale, del tutto indifferente a quanto sta passando sopra la nostra testa e sotto i nostri piedi.
Certamente un bicchiere di vino in più o in meno non significa nulla per la nostra professione, però è anche dalle piccole cose che si capisce dove rischiamo di andare a sbattere.
Pietro Cavalli