Lettere al Direttore
No ai medici di famiglia come dipendenti del Ssn
di Giuseppe MilaneseGentile Direttore,
Confcooperative Sanità, con le sue cooperative di medici di medicina generale, sociosanitarie, farmaceutiche e mutualistiche, rappresenta da molti anni un importante modello non sostitutivo ma complementare e sussidiario del SSN.
Dal 1994, le cooperative mediche infatti, senza fine di lucro e senza sostituirsi al ruolo del medico, hanno permesso alla medicina generale di strutturarsi, informatizzarsi, adottare linee guida comuni e ad evolvere verso forme associative di rete e medicine di gruppo con personale di studio segretariale ed infermieristico. Gli enti cooperativi sono ora pronti a fornire tutto l’ulteriore supporto organizzativo e gestionale per l’associazionismo delle AFT spoke e per realizzare anche reti soggetto miste. L’obiettivo è gestire al meglio le urgenze territoriali e dare una risposta globale alla cronicità non solo con PDTA, ma anche con telemedicina e wearables indossati dai pazienti.
Le 150 cooperative attive su tutto il territorio nazionale, che contano quasi 9000 Medici di Medicina Generale, il 20% del totale nazionale, danno lavoro a 5000 occupati l, hanno un fatturato di 180mln ed impattano direttamente su 7 milioni di cittadini, risultano esperienze collaudate in grado di fornire grande aiuto alla sanità pubblica e, in prospettiva diventare il modello più utile per finalizzare il progetto di riforma della medicina general e delle cure sul territorio.
In questi giorni, a tutti i livelli sia centrali che regionali, si susseguono notizie che riguardano la riforma del servizio sanitario a livello territoriale e la possibilità di rendere dipendenti i Medici di famiglia per popolare le Case di Comunità, come se questa fosse la soluzione ai problemi della medicina generale. E’ invece a tutti palese che alla medicina territoriale post pandemica servano soprattutto incentivi per strutturarsi al meglio per rispondere alle esigenze di salute di tanti cittadini anche tramite il supporto di collaboratori, infermieri, connessioni informatiche dirette con ospedali e PS, telemedicina e centrali operative territoriali che recepiscano ed organizzino la risposta ambulatoriale e/o domiciliare urgente dei medici delle AFT e.
La dipendenza dei MMG, del tutto non necessaria, oltre a cancellare il rapporto di fiducia e sguarnire la prossimità assistenziale, soprattutto a livello montano e collinare, nelle pianure con popolazione sparsa su territori non limitrofi e nelle periferie delle città, genererebbe anche un aumento della spesa pubblica.
Come Confcooperative Sanità pensiamo perciò, per i motivi sopra citati, che questa possa essere una scelta sbagliata e che per noi questo significherà la chiusura di importanti esperienze di imprenditorialità sociale guidate dal principio della sussidiarietà che in questi anni, grazie a Medici di famiglia liberi professionisti convenzionati, ma anche a Farmacisti, Infermieri ed Operatori sociosanitari, ci hanno permesso di creare e rendere operative su tutto il territorio nazionale buone pratiche a favore della popolazione tutta ma, in special modo a quella più anziana o fragile.
La dipendenza dei Medici di famiglia avrà come ulteriore grave conseguenza sociale dannosa altresì il licenziamento ineluttabile di tutti gli attuali oltre 5000 occupati nelle società cooperative, come detto, ma anche di un numero triplo, se si considerano anche quelli assunti direttamente dai Medici o da altri tipi di loro società di servizio.
Crediamo che valorizzare questo modello, che abbiamo ricordato anche al Ministro Schillaci e sul quale abbiamo dato tutta la disponibilità al confronto, possa concretamente rappresentare “l’ultimo miglio” in grado di proiettare i servizi della casa di comunità sui territori di rifermento, soprattutto nelle aree più periferiche.
Giuseppe Milanese
Presidente Confcooperative Sanità