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Sì ai medici di famiglia in pensione per coprire assistenza sanitaria nelle zone disagiate


La Corte costituzionale ha confermato la legittimità della legge sarda che consentiva, l’impiego di medici di medicina generale in pensione per garantire l’assistenza primaria nelle aree carenti. Secondo la Consulta, si tratta di una misura straordinaria e temporanea giustificata dalla necessità di tutelare il diritto alla salute. LA SENTENZA

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Con la sentenza n. 84 del 2025, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità sollevata dal Presidente del Consiglio contro la norma della Regione Sardegna che consente l’impiego di medici di medicina generale in quiescenza per assicurare l’assistenza nei territori sprovvisti di copertura adeguata. La disposizione regionale era stata introdotta con la legge n. 12 del 2024 e modificava la precedente normativa regionale del 2023.

In particolare, la legge impugnata consentiva, fino al 31 dicembre 2024, il ricorso a medici di medicina generale pensionati – anche con contratti libero-professionali – da parte delle Aziende sanitarie locali, per attuare progetti straordinari di assistenza primaria e continuità assistenziale nei cosiddetti “ambulatori di comunità territoriale”. Ai medici coinvolti viene anche riconosciuta la possibilità di utilizzare i ricettari per prescrizioni mediche.

Secondo il ricorso presentato dal Governo, la norma regionale violerebbe le competenze statali in materia di ordinamento civile e si porrebbe in contrasto con l’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) del 2024, che vieta l’attività convenzionata ai medici già in quiescenza.

Tuttavia, la Consulta ha respinto tale interpretazione, riconoscendo che la disposizione regionale ha finalità organizzative e mira a garantire il diritto alla salute nelle aree più disagiate. La Corte ha sottolineato che, pur nella necessità di garantire uniformità nella regolazione del rapporto di lavoro dei medici di medicina generale, le Regioni possono adottare misure straordinarie e temporanee per rispondere a situazioni critiche locali. Negare tale possibilità – si legge nella motivazione – significherebbe “impedire alle Regioni di intervenire con propri strumenti per evitare che contingenti criticità nell’erogazione dell’assistenza primaria determinino il sacrificio dell’effettività del fondamentale diritto alla salute”.



20 giugno 2025
© Riproduzione riservata

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