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Mesotelioma. L'Italia guida la task force europea per il controllo dei siti a rischio amianto


Gli esperti: “Va garantita in tutte le Regioni ai pazienti affetti dalla malattia la migliore assistenza in diagnosi e terapia. Abbiamo istituito un network con gli altri Paesi per condividere le nostre esperienze. La percezione del rischio è ancora bassa”. In 15 anni registrati più di 15mila nuovi casi.

29 GEN - L’Italia è al vertice della task force europea per la sorveglianza attiva dell’amianto, il killer silenzioso che miete circa 3.000 vittime ogni anno nel nostro Paese, 1.500 per mesotelioma. Ma serve più impegno per la bonifica dei siti contaminati. Ogni 12 mesi vengono smaltite 380mila tonnellate di rifiuti di questo minerale. Troppo poche, visto che, a questi ritmi, serviranno ancora 85 anni per completare la dismissione degli oltre 32 milioni di tonnellate di asbesto presenti nella Penisola. Un impegno a cui le Istituzioni possono far fronte solo grazie a un patto da siglare con i clinici e con i media, come emerge dalla III Consensus Conference italiana per il controllo del mesotelioma maligno della pleura, che si apre oggi a Bari.

“È il cancro ‘marker’ dell’esposizione all’amianto – spiegano i presidenti del convegno, Giorgio Scagliotti, Direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, e Carmine Pinto, Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e Direttore dell’Unità Operativa di Oncologia dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma -. In quindici anni, fra il 1993 e il 2008, in Italia si sono registrati più di 15mila casi di questa neoplasia particolarmente aggressiva (IV Rapporto del Registro Nazionale dei Mesoteliomi, ReNaM). Purtroppo la percezione del rischio è ancora bassa. È fondamentale velocizzare i tempi della bonifica dei siti contaminati, che può essere eseguita solo da personale specializzato. Questo minerale è presente ancora in grandi quantità e in varie forme in stabilimenti ed edifici, pubblici e privati, in tutte le nostre Regioni. Deve inoltre essere migliorata la sorveglianza sulle persone più esposte, cioè gli ex lavoratori degli stabilimenti che producevano o trattavano amianto. Anche se il mesotelioma è stato inserito nell’elenco delle malattie professionali, vi sono ancora inconcepibili ritardi nel riconoscimento previdenziale. Vanno inoltre garantiti uguali diritti ai pazienti con mesoteliomi insorti dopo esposizioni ambientali ad amianto, ai familiari dei lavoratori e alla popolazione generale”.

In Italia dal 1992 è vietata ogni attività di estrazione, commercio, importazione, esportazione e produzione di amianto. “Preoccupano – continuano Scagliotti e Pinto - le notizie recenti relative all’importazione di 1.040 tonnellate di asbesto nel biennio 2011-2012. Il materiale potrebbe essere stato impiegato nella produzione di vari manufatti. È necessario mantenere sempre alta l’attenzione. La tragica vicenda dell’esposizione professionale ed ambientale ad amianto in Italia, con la lunga scia di morti per tumore, ci ha permesso di sviluppare più esperienza e sensibilità su questo tema rispetto agli altri Paesi. Per questo guidiamo un network europeo per il controllo dei siti, per condividere dati epidemiologici, tecniche diagnostiche, studi clinici e politiche di sorveglianza sulle persone più a rischio”.
 
In Italia devono ancora essere bonificati 35.521 siti (1.957 i siti bonificati e 571 quelli parzialmente bonificati, dati Ministero dell’Ambiente aggiornati al 26 novembre 2014). Una delle aree più a rischio è rappresentata proprio da Bari, sede fino al 1985 dello stabilimento “Fibronit”, fabbrica di manufatti a base di materiali altamente cancerogeni, collocata fra tre popolosi quartieri del capoluogo pugliese. Si calcola che circa 360 persone, tra residenti e lavoratori, siano morte a causa delle fibre di amianto diffuse nell’ambiente in quella zona. La Corte di Cassazione nell’aprile 2012 ha confermato la condanna dell’ex amministratore delegato del cementificio “Fibronit” di Bari per non aver adottato le necessarie cautele per ridurre ed eliminare il rischio di dispersione delle polveri killer. Inoltre la Suprema Corte ha dichiarato il manager responsabile penalmente non solo per il decesso dei dipendenti ma anche per quello dei cittadini residenti vicino allo stabilimento. La Puglia è fortemente colpita dall’inquinamento ambientale.

Otre a Bari, va infatti ricordato il caso “Ilva” a Taranto. Nella Regione, in quindici anni (1993-2008), si sono registrate 814 diagnosi di mesotelioma. “I tempi di latenza della malattia sono molto lunghi – sottolinea Pinto -. Possono andare da 20 a oltre 45 anni dall’inizio dell’esposizione. L’età media alla diagnosi infatti è di circa 70 anni. E le ricadute sociali e giudiziarie non possono essere trascurate. Il materiale purtroppo è ancora presente nel nostro territorio: nelle scuole, nei tetti di edifici anche pubblici, negli ospedali, in case di riposo e aree residenziali e industriali attive o dismesse. L’amianto è un agente cancerogeno certo, oltre che per il mesotelioma pleurico, anche per polmoni, laringe, ovaio, peritoneo, pericardio, tunica vaginale del testicolo, colon-retto, esofago, stomaco e faringe”.

L’area più a rischio in Italia è quella di Casale Monferrato, dove la fabbrica Eternit ha provocato più di 1.700 vittime. Ma, in questo caso, la Corte di Cassazione nel novembre 2014 ha annullato la sentenza di condanna dei vertici dell’azienda per prescrizione del reato. “Si tratta di una decisione molto grave – afferma Pinto -. I diritti dei malati e dei familiari devono essere riconosciuti”.
 
Oltre a Bari e Casale Monferrato, gli altri siti di interesse nazionale sono Broni-Fibronit (PV), Priolo-Eternit Siciliana (SR), Balangero-Cava Monte S.Vittore (TO), Napoli Bagnoli-Eternit, Tito-exLiquichimica (PO), Biancavilla-Cave Monte Calvario (CT) e Emarese-Cave di Pietra (AO). “Negli ultimi anni - conclude Scagliotti - si è assistito a un miglioramento dell’efficacia dei trattamenti e del controllo dei sintomi di questa malattia. Buona parte di questi risultati va ricondotta all’introduzione dei farmaci chemioterapici. La terapia medica rappresenta infatti oggi il riferimento nel trattamento del mesotelioma. Inoltre i ricercatori del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, in collaborazione con i colleghi dell’Ospedale San Antonio e Biagio di Alessandria, per la prima volta hanno sperimentato una nuova tecnica mirata per identificare i geni mutati responsabili della ridotta sopravvivenza nel mesotelioma. In questo modo è stato individuato un alto numero di mutazioni geniche legate alla precoce progressione del tumore e alla riduzione della sopravvivenza. L’identificazione di queste alterazioni consentirà di valutare il ruolo delle terapie a bersaglio molecolare in questa neoplasia”. 

29 gennaio 2015
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