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Boom di trapianti d’organo in Spagna. I segreti del successo

di Maria Rita Montebelli

Lo chiamano modello spagnolo ed è considerato ormai da anni l’eccellenza nei trapianti d’organo da donatore cadavere. Alla base di questo successo, la Organización Nacional de Trasplantes, istituita nel 1989 dal Ministero della Salute spagnolo. L’ampliamento delle possibilità di donazione anche ai casi di morte cardio-circolatoria, il reperimento dei donatori non solo presso le unità di terapia intensiva, ma anche nei reparti comuni e nei dipartimenti d’emergenza, l’esplorazione routinaria delle volontà dei pazienti in merito alla donazione dopo la morte, hanno portato in dieci anni a più che raddoppiare la disponibilità di organi.

10 GEN - La Spagna è la prima della classe a livello mondiale per numero di donazioni da donatore cadavere. Lo ribadisce un articolo appena pubblicato su American Journal of Transplantation, che tenta anche un’analisi interpretativa dei segreti di questo successo. Sperando che possa essere d’aiuto alle nazioni meno performanti da questo punto di vista.
 
Negli USA sono 120 mila le persone che attendono un trapianto e ogni 10 minuti circa viene aggiunto un nuovo paziente alla lista d’attesa nazionale. In questo Paese, come in molti altri, non è purtroppo infrequente che i donatori muoiano senza essere mai usciti dalla waiting list.
 
La Organización Nacional de Trasplantes (ONT), un’agenzia tecnica che si occupa del coordinamento e della supervisione delle attività di donazione e trapianto, nasce in Spagna nel 1989 su iniziativa del Ministero della Salute di questo Paese. La nuova struttura ha messo a punto un modello di coordinamento della donazione da cadavere che, nell’arco di appena dieci anni, ha portato al Spagna da 15 a 40 donatori per milione di popolazione, con oltre 100 procedure di trapianto per milione di popolazione nel 2015. La ‘via spagnola’ si basa sulla designazione di professionisti ad hoc (in genere intensivisti) in grado di rendere disponibili gli organi quando si verifichi un decesso in condizioni compatibili con la donazione. In questo lavoro, i medici sono supportati dall’ONT e da uffici di coordinamento regionale.
 
Un’altra caratteristica di questo modello è quella di individuare delle opportunità di donazione non solo all’interno delle unità di terapia intensiva, ma anche presso i dipartimenti d’emergenza degli ospedali e nei reparti ospedalieri comuni. Viene inoltre presa in considerazione anche la donazione d’organo da parte degli over 65. Negli Usa la percentuale di donatori over 65 è del 7%, mentre in Spagna il 10% dei donatori supera gli 80 anni d’età. Altra peculiarità del modello spagnolo è quella di prevedere la donazione non solo in caso di morte cerebrale a cuore battente, ma anche in caso di morte circolatoria (da arresto cardio-respiratorio), persino nel caso in cui l’arresto cardiaco si verifichi in strada.
 
“Ma il nostro successo più importante – commenta Beatriz Domínguez-Gil dell’ONT e autrice dell’articolo – è di aver fatto sì che ormai la donazione d’organo venga considerata di routine al decesso di un paziente, a prescindere dalle circostanze che ne hanno determinato la morte. I medici hanno accettato il fatto che nel prendersi cura di un paziente in fin di vita, è un loro preciso dovere quello di esplorare in modo sistematico la loro volontà in relazione alla donazione d’organo dopo la morte”.
 
Una buona organizzazione alla base del processo della donazione da cadavere e un continuo adattamento del sistema ai cambiamenti rappresentano gli ingredienti principali del successo nelle donazioni d’organo in questo Paese. Ed è un modello secondo gli esperti dell’ONT potrebbe tranquillamente essere esportato anche in altri Paesi.
 
Maria Rita Montebelli

10 gennaio 2017
© Riproduzione riservata

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