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Coronavirus. Nessuna prova che assunzione antinfiammatori peggiori COVID-19

di Camilla de Fazio

È rischioso assumere farmaci antinfiammatori in caso di infezione da Covid-19? Il dibattito è stato aperto da un tweet di qualche giorno fa del ministro della Salute francese che lanciava un allarme su un possibile rischio derivante dall'uso dell'ibuprofene per contrastare i sintomi della malattia. Un'ipotesi che però non ha una base scientifica a suo sostegno e che è stata smentita dall'Ema. Il consiglio del farmacologo Sava: “Sono i clinici a dover decidere, in base all’esperienza e alle condizioni del paziente, quale farmaco sia appropriato”

18 MAR - Iniziamo a raccontare questa storia partendo dalla morale, che tanto è sempre la stessa. Oggi più che mai, nel mondo di social, catene whatsapp, e diffusione rapidissima dell’informazione, bisogna essere prudenti con le dichiarazioni e, in ambito sanitario, verificare che queste si basino sempre su studi e siano avvalorate dalle istituzioni competenti.

Il 14 marzo, il ministro della Salute francese, Olivier Véran, in un contesto di emergenza che ormai anche in Francia somiglia sempre di più alla situazione italiana, ha scritto in un Tweet che “l’assunzione di antinfiammatori (ibuprofene, cortisone..), potrebbe essere un fattore che aggrava l’infezione”, riferendosi a Covid-19, aggiungendo, “In caso di febbre prendete il paracetamolo. Se assumete antinfiammatori o in caso di dubbi chiedete al medico”.
 
Ma su cosa si basa questa affermazione, che pure proviene da una fonte così autorevole? Lo stesso giorno il quotidiano Le Mondein un articolo scritto in collaborazione con l’AFP (Agence France-Presse), commentava il tweet del ministro d'oltralpe, rimarcando anche che, in effetti, diversi medici avrebbero messo in guardia sul fatto che dei pazienti giovani positivi si erano ritrovati in uno stato grave dopo aver assunto dell’ibuprofene per la febbre. Il quotidiano non precisa quanti pazienti, in quali paesi e non fornisce altri dettagli. Il mistero quindi si infittisce.
 








Succesivamente altri media hanno avanzato l'ipotesi che la dichiarazione del ministro francese potesse derivare da un articolo di The Lancet che in ogni caso, abbiamo verificato, riporta le ipotesi e le osservazioni (non uno studio clinico, quindi) di tre medici di Basilea. I tre medici in questione, tra l'altro, oltre ad avanzare dubbi sulla possibile relazione tra assunzione di antinfiammatori e COVID-19, riferivano anche altre ipotesi di correlazione con il COVID-19 e gli antipertensivi.
 
Una correlazione, quest'ultima oggetto anche di altri due interventi, in forma di lettera all'editore, scritti da due ricercatori (un italiano e uno svizzero) e pubblicati sul British Medical Journal dove si sottolineava per l'appunto che l'uso di ACE inibitori potesse essere correlato a casi gravi di COVID-19. Queste ultime ipotesi, come ricordiamo, sono state poi smentite dalla comunità scientifica (italiana e internazionale) e in ultimo, ieri, dall'Aifa, con l'aggiunta di una pressante raccomandazione ai pazienti in trattamento di non interrompere assolutamente la loro terapia antipertensiva non essendoci alcuna evidenza scientifica di correlazione con un maggior rischio di contagio da nuovo coronavirus.
 
Ma cosa c’entra comunque tutto questo con gli antinfiammatori e con l’ibuprofene in particolare? La correlazione la fanno i tre autori dell'articolo su The Lancet, secondo i quali l’espressione dell’ACE2 potrebbe anche aumentare, oltre che con gli antipertensivi, in seguito all’assunzione di tiazolidinedioni e ibuprofene. E visto che l’ACE2 è il recettore usato dal nuovo coronavirus per entrare nelle cellule, questi farmaci potrebbero aggravare la situazione nei pazienti. Un ritornello già sentito, nel dibattito sugli antipertensivi, ma non ci sono studi sull’uomo che lo dimostrano.
 
Torniamo però al tweet del ministro Veran. In un’altra riflessione (non studio scientifico, riflessione), pubblicata sul British Medical Journal il 17 marzo, viene invece supposto che le sue dichiarazioni possano derivare in parte dalle osservazioni attribuite a un medico di malattie infettive nel sud ovest della Francia che avrebbe citato “quattro casi di giovani pazienti con covid-19 e nessun problema di salute sottostante che hanno continuato a sviluppare sintomi gravi dopo aver usato farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) nella fase iniziale della malattia”.
 
L'ospedale in questione ha però diramato una nota sottolineando come la discussione sui singoli casi fosse inappropriata. In ogni caso, l’articolo del BMJ (quello del 17 marzo) riporta anche le dichiarazioni di diversi clinici che sottolineano come l’ibuprofene possa effettivamente inibire il sistema immunitario e quindi sia da evitare in caso di polmonite in corso causata da Covid-19. Una motivazione ben diversa, quindi, rispetto a quella evocata dall’articolo di The Lancet.

A questo punto bisogna chiedersi, che effetto ha l’ibuprofene sul sistema immunitario? E questo ha delle conseguenze dirette sull’andamento della polmonite? Ne abbiamo parlato con il farmacologo Gianni Sava, della Società Italiana di Farmacologia (SIF).  “Non sappiamo se gli antinfiammatori non steroidei come l’ibuprofene possano fare male ai pazienti affetti da Covid-19”, ha commentato Sava. “Possiamo però dire qual è l’effetto che essi hanno sul sistema immunitario, sulla base degli studi condotti finora”.
 
Le ricerche condotte in laboratorio sulle cellule immunitarie umane, dimostrano che l’ibuprofene è in grado di inibire la produzione di anticorpi da parte di queste cellule. Sono però esperimenti condotti in laboratorio e non sull’uomo. “Uno studio del febbraio 2016, pubblicato sulla rivista Medical Hypothesis, suggerisce che l’esposizione all’ibuprofene e all’acetominofene, quindi il paracetamolo, modifica in qualche modo le risposte del sistema immunitario nei giovani adolescenti”, ha aggiunto Sava.
 
“Questo sarebbe in linea con il fatto che si dovrebbe stare attenti e in un’infezione come Covid-19 ci si deve preoccupare in caso di mancanza di una risposta anticorpale da parte dell’organismo”. D’altra parte, una ricerca del 2012 pubblicata sulla rivista Pharmacological Research mostra paradossalmente che l’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei favorisce l'immunoterapia in pazienti con cancro. Quindi è difficile sapere nel contesto di una particolare patologia come un farmaco agisca sul sistema immunitario. Sava ha comunque precisato che bisogna evitare il fai da te: “sono i clinici a dover decidere, in base all’esperienza e alle condizioni del paziente, quale farmaco sia appropriato”.

Il 17 marzo il portavoce dell’Oms Christian Lindmeier ha dichiarato, nel corso di una conferenza stampa a Ginevra che non ci sono studi recenti che collegano il farmaco antinfiammatorio con un aumento dei tassi di mortalità, ma ha aggiunto che gli esperti stanno indagando per far luce sulla questione. Comunque è stato raccomandato il paracetamolo, piuttosto che l’ibuprofene, in caso di infezione.

L’European Medicines Agency (Ema), ha chiarito la questione, almeno per il momento, in un comunicato stampa pubblicato il 18 marzo. Si ribadisce ciò che è già stato detto dall’Oms, “non ci sono prove scientifiche che stabiliscano un legame tra ibuprofene e peggioramento di Covid-19”. E anche che l’Ema sta monitorando la situazione ed esaminerà tutte le nuove informazioni disponibili.
 
Si precisa poi, coerentemente con la mancanza di prove sui rischi derivati dall’ibuprofene, che “all’inizio del trattamento per la febbre o il dolore in COVID-19, i pazienti e gli operatori sanitari devono considerare tutte le opzioni di trattamento disponibili, inclusi paracetamolo e FANS”. Tanto rumore per nulla? Sembra proprio di sì. Come già acacduto, lo abbiamo ricordato per gli antipertensivi. 

Di tutto ciò che ha detto il ministro della salute francese possiamo quindi dire che una cosa sola è certa: invece di automedicarsi in caso di infezione da Covid-19 bisogna rivolgersi ad un medico.

Camilla de Fazio

18 marzo 2020
© Riproduzione riservata

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