Neanche il più fantasioso dei maestri poteva immaginare una scusa del genere per motivare i propri studenti a proseguire gli studi. Non abbandonare la scuola riduce fino al 40 per cento il rischio di ammalarsi di scompenso cardiaco.
È il risultato di un ampio studio danese pubblicato sull’European Heart Journal.
I ricercatori, guidati da Eva Prescott, docente di Prevenzione e Riabilitazione Cardiovascolare al Bispebjerg University Hospital di Copenhagen hanno seguito oltre 18 mila persone per oltre 30 anni, tra il 1976 e il 2007 analizzandone la storia clinica e incrociandola con le caratteristiche socioeconomiche.
“È il più ampio e dettagliato studio che si sia fatto finora sulla relazione tra fattori socioeconomici e rischio di sviluppare lo scompenso cardiaco”, ha affermato Prescott. “Mentre si sa molto sull’associazione tra deprivazione socioeconomica e malattia coronarica, molto meno si sa sul suo rapporto con lo scompenso cardiaco”, ha aggiunto. “Le due malattie condividono alcuni fattori di rischio, ma si stima che meno della metà dei casi di scompenso sia causato da malattia coronarica”.
Per questo i ricercatori hanno analizzato gli esami effettuati dai partecipanti allo studio e monitorato periodicamente la loro salute e la presenza di eventuali fattori di rischio, come i livelli di colesterolo, la presenza di diabete, o l’abitudine al fumo o al consumo di alcol.
Inoltre, i partecipanti sono stati classificati in base alla durata dei loro studi: meno di 8 anni, tra gli 8 e i 10 anni, più di 10 anni.
Infine un campione casuale di partecipanti è stato sottoposto a un’ecografia per valutare la funzionalità cardiaca: “È il modo più attendibile per individuare i segni di uno scompenso”, ha spiegato Prescott.
Le persone che avevano frequentato la scuola per più di dieci anni presentavano un rischio del 39 per cento più basso di essere ricoverati per scompenso cardiaco rispetto a quanti erano stati educati per meno di 8 anni. Un meno 25 per cento per chi aveva studiato per 8-10 anni.
I risultati sui ricoveri, inoltre, sono perfettamente sovrapponibili a quelli rilevati con l’ecografia.
Lo studio, naturalmente non spiega perché le persone meno istruite presentano un più elevato rischio di scompenso. Tuttavia, precisa Prescott c’è un dato che emerge dall’analisi dei risultati: “il palese gradiente socioeconomico nel rischio di sviluppare uno scompenso cardiaco non è spiegabile con le differenze degli stili di vita. Perciò dobbiamo pensare ad altre spiegazioni che potenzialmente includono differenze di trattamento tra i pazienti. Per esempio, forse, le persone socioeconomicamente deprivate non ricevono lo stesso standard di trattamento di quelle più ricche. Non possiamo affermarlo con certezza dai dati del nostro studio, ma è evidente che occorre cercare altre spiegazioni oltre a un «comportamento da poveri»” per spiegare la differenza di rischio.
La ricercatrice, inoltre, sottolinea un aspetto spesso sottovalutato: “c’è un punto che deve essere citato”, dice. “È il ruolo dello stress psicosociale nello sviluppo dello scompenso”. È un aspetto “che ha ricevuto veramente poca attenzione finora”.