Dalle Alpi al Canale di Sicilia (da non confondere con lo Stretto di Messina), che separa l’Italia dalla costa africana, si sta generando un sano approfondimento critico sulla inesistenza giuridica di 30 sedicenti AOU. Quelle che utilizzano indebitamente le specificità attribuite alle AOU dal d.lgs. 517/1999. Lo fanno senza rispettare le regole ordinamentali, quelle che pretendono che per essere tali occorre che vengano riconosciute in tal senso da un Dpcm, per come ineludibilmente previsto dall’art. 8 dell’anzidetto decreto legislativo, disciplinante i rapporti fra Servizio sanitario nazionale e università, a norma dell’art. 6 della legge 30 novembre 1998, n. 419.
Ma lo si vuole capire che il medico è soggetto alla libera scelta dell’assistito ovvero, in assenza di AOU, è assegnato alle cure esclusivamente a seguito di concorso pubblico?
Una siffatta anomalia sta determinando danni gravissimi al sistema dell’assistenza sociosanitaria nonché ingenerando comportamenti lesivi dei diritti di esigibilità dei Lea ospedalieri in favore dell’individuo, beninteso a regola d’arte e assicurati da erogatori idonei. Un vulnus che sta producendo danni gravi alle persone e ai medici dipendenti dalla spedalità pubblica, in organico delle aziende ospedaliere e finanche dei presidi atti al ricovero delle Asl, ai quali viene amputata l’opportunità di fare carriera attraverso la normale partecipazione a concorsi pubblici.
A ben vedere, un tema dai risvolti negativi che sta sottraendo il sonno alla comunità nazionale, preoccupata all’inverosimile, a causa di invenzioni gestionali e organizzative tirate fuori dal cilindro di un management, quantomeno fantasioso, preposto con leggerezza alla conduzione delle aziende della salute.
Una tale situazione sta principalmente generando forti preoccupazioni – come detto – a valle. Soprattutto all’utenza bisognosa di assistenza ospedaliera, preoccupata dell’abusata regola di nomina dei professori universitari e ricercatori a ”primari” ospedalieri senza che gli stessi abbiano partecipato al previsto concorso pubblico nazionale di cui al DPR 484/1997.
Una regola non regola, cui non hanno aderito i Rettori delle Università lombarde che, con una chiara decisione del Crul, hanno sancito di non perfezionare in alcun modo nomine di accademici al ruolo “primariale”, perché non corrispondenti al dettato legislativo che lo consentirebbe soltanto in presenza di AOU legittimamente costituiti ovvero, nelle aziende/presidi ospedalieri che tali non sono, esclusivamente mediante concorsi pubblici nelle altre (si veda qui, il 16 giugno così il 30 maggio sulla decisione del DG al Welfare regionale Melazzini di bloccare ogni siffatto genere di nomine).
Una prova agonistica, quella prescritta dal DPR 484/1997, che è posta a garanzia di una attenta e curata selezione dei candidati sulla base dei loro curricula, dimostrativi dei titoli posseduti ma soprattutto della esperienza pluriennale maturata e della consistente casistica affrontata e risolta, non sempre ad appannaggio degli accademici.
Su tale ovvia considerazione era stato predisposto dal ministro della Salute un emendamento, poi ritirato non si comprende da chi, nel corso dell’esame alla Camera del Ddl afferente il riordino delle professioni sanitarie, funzionale al riconoscimento “ora per allora” delle sedicenti AOU. Con questo era emerso l’intento di riconoscere una esistenza giuridica “posticcia” a quelle capaci di provare il loro insufficiente riconoscimento perché regolato da leggi regionali, inidonee ad assumere valore sostitutivo della legislazione esclusiva statale (art. 8 de d. lgs. 517/1999). Un emendamento che, pare, essere stato favorevolmente valutato in sede di commissione Affari sociali della Camera. Ua vicenda che darebbe ragione agli eventi trascorsi riguardanti da ultimo la richiesta di un parere all’Avvocatura, non comparso sulle scrivanie delle istituzioni, solo perché attestante la insindacabilità dell’anzidetto Dpcm per riconoscere la legittima esistenza di qualsivoglia AOU.
Sui lavori parlamentari e sui dissapori sindacali
A proposito del Ddl di riordino delle prestazioni sanitarie, più precisamente dei lavori effettuati nell’anzidetta Commissione parlamentare sono emerse delle corrette eccezioni da parte di due importanti sindacati: l’Anaao Assomed e della Federazione Cimo- Fesmed. Gli stessi, analizzando puntualmente le poco meno 400 proposte emendative all’originario testo del Ddl di riordino delle prestazioni sanitarie, hanno picchiato duro.
Alla sbarra soprattutto l’esprit legislativo venuto fuori dalla moltitudine dei firmatari gli emendamenti, dimostrativo della brutta abitudine di organizzare in Parlamento continue imboscate ai disegni di legge ovvero alla conversione di decreti legge utili alle categorie lobbistiche tutelate ovvero ad interessi specificatamente territoriali, prevalentemente regionali.
Tra le modifiche oggetto delle peggiori critiche sono state prevalenti quelle riguardanti le misure atte a rendere più privatizzata la sanità pubblica e meno garante della tutela di diritto alla salute.
L’appalto dei pronto soccorsi – ove si richiede per tradizione e opportunità una maggiore cultura ed esperienza dei medici incaricati in quanto capaci di sancire diagnosi certe e individuare eventuali percorsi di ricovero ovvero di dimissioni – alle cooperative fornitrici di medici gettonisti rappresenta la vergognosa sottovalutazione, con annessa conseguente violazione, del principio di affidamento delle persone del proprio corpo e della propria psiche a personale scelto attraverso accurate procedure concorsuali. Stessa critica verrebbe per l’ipotesi di attribuzione di compiti agli specializzandi nei pronto soccorso, atteso il naturale divieto del loro esercizio autonomo e indipendente se non supportato dalla prevista attività tutoria dei medici esperti formatori.
Una eccezione complessa sull’attività di pronto soccorso è stata altresì ben supportata dalla UIL FPL che ha formalmente definito una siffatta strategia di incursione del privato nella assistenza pubblica dell’emergenza-urgenza un chiaro attentato ai principi della Costituzione e a quelli consacrati nella legge 833/1978, con il rischio di “minare la qualità dell’assistenza, accentuare le disuguaglianze tra territori e demotivare il personale che ogni giorno, tra mille difficoltà, tiene in piedi il servizio pubblico”.
Ettore Jorio