Ricchezza e povertà, universalismo e salute

Ricchezza e povertà, universalismo e salute

Ricchezza e povertà, universalismo e salute
Le nuove priorità geopolitiche e finanziarie rischiano di erodere il modello universalistico europeo, spingendo verso un welfare più privatizzato. Esperienze locali e comunitarie emergono come risposta a diseguaglianze e solitudini crescenti, richiamando l’urgenza di una riforma sistemica fondata sull’equità e sulla prossimità.

Globalizzazione e sviluppo della ricchezza e sua polarizzazione, pauperizzazione dei ceti medi in tutti i Paesi sviluppati … partiamo da qui

La polarizzazione della ricchezza e le sue ricadute sui sistemi di welfare Il “Global Wealth Report 2025” di UBS fotografa una dinamica consolidata: la crescita della ricchezza globale (+4,6% nel 2024) procede parallelamente alla sua concentrazione. In Italia, il 5% della popolazione detiene la metà della ricchezza nazionale. I milionari sono 1,3 milioni, con due terzi del patrimonio accumulato per via ereditaria. Il ceto medio, invece, continua a impoverirsi. Si riduce il numero di persone con patrimoni inferiori ai 10mila dollari, mentre cresce quello delle fasce superiori.

Questi dati segnalano un’accelerazione di tendenze che impattano direttamente sulla coesione sociale, sul carico assistenziale, sulla domanda sanitaria e, più in generale, sull’effettiva fruibilità dei diritti di cittadinanza. “La diseguaglianza”, ricordava Paul Donovan (UBS), “non è solo un fenomeno economico ma una forza che modella dinamiche sociali e istituzionali. In questo contesto, ogni riflessione sulla sostenibilità e l’universalismo del nostro SSN deve confrontarsi con nuovi fattori di frammentazione e vulnerabilità sociale”.

Il nuovo contratto sociale e i rischi per il welfare In un recente articolo, l’economista Francesco Saraceno ha evidenziato come le recenti scelte europee in tema di spesa militare – con l’obiettivo di portarla fino al 5% del PIL tra difesa e infrastrutture – non siano solo risposta a pressioni geopolitiche, ma segnino una svolta politica più ampia: un progressivo e deliberato ridimensionamento del modello sociale europeo basato sul welfare pubblico. In un contesto segnato dal ritorno del Patto di Stabilità e dall’urgenza di ridurre il debito, le nuove priorità di investimento rischiano di comprimere ulteriormente le risorse destinate a sanità, istruzione, previdenza.

Un’analisi convergente arriva da Daniela Gabor, economista critica della proposta europea di creare una Savings and Investment Union (SIU). Secondo Gabor, l’idea di mobilitare gli enormi risparmi privati europei (oltre 8.000 miliardi di euro) verso mercati finanziari e fondi pensione, per finanziare la transizione ecologica e digitale, implica un vero e proprio cambio di paradigma: l’adozione di un modello di finanziamento più vicino a quello statunitense, basato sui mercati dei capitali, e la conseguente erosione dei pilastri pubblici di welfare.
Nel nuovo scenario, fondi pensione e soggetti finanziari privati diverrebbero protagonisti della gestione di risorse finora presidiate dallo Stato, con il rischio che anche la sanità venga progressivamente orientata verso modelli privatistici o misti, non più riconducibili alla logica universalistica beveridgiana.

Le recenti esperienze in ambito sanitario statunitense, criticate in numerose pubblicazioni scientifiche, mostrano come l’ingresso massiccio dei fondi di investimento nella proprietà di ospedali e servizi sanitari abbia spesso comportato una riduzione della qualità, un aumento dei costi per i cittadini e una crescente disuguaglianza nell’accesso alle cure.

Questa transizione, che riguarda l’intero contratto sociale europeo, rischia di trasformare i cittadini da beneficiari di diritti a investitori/consumatori di servizi, in un mercato dove la logica del profitto prevale su quella della solidarietà. Un cambiamento così profondo dovrebbe essere oggetto di un ampio dibattito democratico, non relegato a tecnicismi finanziari.

L’ Universalismo ha ancora senso? In un recente intervento, Elio Borgonovi ha ribadito la necessità di declinare l’universalismo non in termini di egualitarismo prestazionale, ma di equità dei percorsi e delle risposte. L’universalismo, ricorda, non significa “tutto a tutti“, ma “diverso a seconda del bisogno”. La definizione dei LEA già riflette questo principio, che andrebbe esteso a una logica di “universalismo proporzionale”, coerente con l’approccio alla medicina personalizzata, predittiva e di precisione.

Nei fatti, anche nelle Regioni con sistemi sanitari regionali considerati efficienti, una quota rilevante delle prescrizioni (30-50%) non si traduce in prestazioni realmente erogate. Liste d’attesa e ostacoli economici inducono i cittadini a rinunciare o a rivolgersi al privato. Questo genera una selezione post-prescrittiva iniqua, che indebolisce l’universalismo di fatto.

Da qui l’esigenza di prescrivere solo quanto possa essere effettivamente garantito, valorizzando il ruolo del prescrittore nella valutazione comparativa dell’appropriatezza e nell’allocazione ottimale delle risorse. È una prospettiva coerente con un SSN che voglia restare universale, ma anche sostenibile.

Quindi va distinto il concetto di universalismo basato sull’uguaglianza di prestazioni a quello basato sulla equità della risposta ai bisogni. Di fronte a bisogni, che sono diversi per condizioni personali e famigliari, sono necessarie prestazioni diverse, in questo caso alcuni studiosi hanno proposto la definizione di “universalismo proporzionale” che a parere di Borgonovi “si pone nella linea della salute personalizzata, di precisione, oltre che preventiva e predittiva”

Borgonovi sostiene che per superare l’opposizione di principio di chi sosteneva, ai tempi dell’approvazione della 833/78, e ancora oggi sostiene che “non si può garantire tutto a tutti”, ricordando che il Servizio Sanitario Nazionale definisce i LEA, stabilendo chiari confini per la garanzia pubblica.

Peraltro universalismo non significa garantire le stesse prestazioni a tutti, ma significa garantire “prestazioni diverse per bisogni diversi”. “In un sistema con risorse limitate la realtà evidenzia che una parte significativa delle prestazioni diagnostiche, terapeutiche, riabilitative, non si trasforma poi in prestazioni ottenute o, come si dice “consumate”. “Assumere il principio secondo cui occorre prescrivere solo ciò che può essere effettivamente erogato, significa responsabilizzare il prescrittore sulla appropriatezza delle prescrizioni e sulla necessità di comparare l’utilità a fini diagnostici e terapeutici delle prescrizioni tra diversi pazienti”.

Il tutto in un contesto di ricerca di sostenibilità del sistema sanitario e del welfare …

Complessità, pensiero sistemico e salute pubblica Un valido contributo alla riflessione sistemica arriva dal dialogo tra Mauro Ceruti ed Edgar Morin. L’Europa, sostengono, è oggi paralizzata tra nazionalismi regressivi e incapacità di visione comune. La razionalità tecnico-economica dominante ha semplificato e ridotto il pensiero, ignorando la complessità e le dimensioni profonde dell’umano.

Morin sottolinea l’urgenza di una “riforma del pensiero” e dell’educazione, per affrontare le crisi sistemiche: climatica, sociale, economica. In questo contesto, la salute – come bene pubblico – non può essere letta solo in chiave prestazionale ma va inserita in una visione ecologica e relazionale, in cui le vulnerabilità non siano solo cliniche ma sociali, culturali, ambientali.

“… l’umanità è ormai minacciata da pericoli mortali: moltiplicazione delle armi nucleari, scatenarsi di fanatismi e moltiplicazioni di guerre civili internazionalizzate, degrado accelerato della biosfera, crisi e deregolamentazione di un’economia dominata da una speculazione finanziaria scatenata. Ed è a causa di ciò che, come abbiamo scritto, la vita della specie umana e, inseparabilmente, la vita della biosfera diventano un valore primario, un imperativo prioritario” ….

«Tutte le vie nuove che ha conosciuto la Storia», ma anche le nostre esistenze personali, «sono state inattese, figlie di devianze che poi hanno potuto radicarsi, diventare tendenze», dice il grande filosofo.

“La barbarie del pensiero è nella semplificazione, nella disgiunzione, nella separazione, nella razionalizzazione… a tutto scapito della complessità, dei nessi inscindibili, e anche dei sogni e della poesia. Il pensiero si è ridotto a un sussidio del calcolo, che in origine doveva essere un sussidio del pensiero. La sedicente intelligenza artificiale può far paura, ma io temo soprattutto l’intelligenza umana superficiale”.

“ … dobbiamo saper riconoscere la complessità dell’identità umana! Homo sapiens è anche homo demens la follia, il delirio, la dismisura sono una possibilità permanente. La ragione e il delirio sono sempre presenti nell’essere umano, e uno dei poli può inibire l’altro. Assistiamo al delirio dei fanatismi che si moltiplicano, alla follia delle illusioni che si credono razionali. E altrettanto assistiamo al dilagare degli accecamenti di una razionalità puramente tecnica ed economica che ignora le realtà profonde dell’umano. Dobbiamo essere più che mai vigilanti su tutte queste semplificazioni dell’umano … “

Sappiamo che il massimo di soddisfazione economica può portare a un’insoddisfazione profonda. Ma c’è di più: non è sufficiente mettere in discussione la razionalità di homo economicus. Bisogna anche riconoscere che questo, benché ipertrofizzato nella nostra civiltà contemporanea, è solo una polarità dell’umano L’altra è homo ludens».

Solitudine e salute: la sfida delle comunità proattive In questo scenario, segnato da transizioni economiche profonde, tensioni sul modello di welfare e sfide sistemiche globali, prende forma una “nuova domanda di universalismo”: non più inteso come mera uguaglianza prestazionale, ma come capacità di rispondere con equità, flessibilità e prossimità a bisogni differenziati e spesso non standardizzabili.

Di fronte all’insufficienza di risposte centralizzate e alla crisi del pensiero semplificante, emerge la necessità di soluzioni generative, radicate nei territori e nelle comunità. Esperienze locali, spesso non coordinate ma ricche di innovazione e significato, stanno rispondendo a questa domanda, sperimentando forme di mutualismo moderno, “social prescribing”, sanità di iniziativa, reti solidali.

È da questa consapevolezza che nasce la motivazione a promuovere un confronto pubblico: per raccogliere, valorizzare e connettere quanto già si sta muovendo in Italia, dando visibilità a una nuova visione sistemica della salute, fondata sulle comunità come soggetti attivi di benessere.

Nel Convegno del 19 giugno 2025, organizzato presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche dell’Università “Sapienza” di Roma (DiSSE), con la collaborazione di WHO Europa, Wonca Europe, ASIQUAS, Cittadinanzattiva, Federsanità ANCI, FIASO e altri protagonisti del terzo settore, è stato affrontato il tema del ruolo delle comunità come risposta alla solitudine e come supporto alla salute.

A seguito di un avviso pubblico, sono pervenute oltre 65 esperienze da tutta Italia, classificate secondo cinque tavoli tematici:

  1. Tavolo Comunità – su case di comunità e attivazione del terzo settore come agente territoriale.
  2. Tavolo Inclusione – progetti contro le disuguaglianze sociali e di accesso.
  3. Tavolo Solitudini – interventi rivolti in particolare a giovani e anziani.
  4. Tavolo One Health – approcci integrati al benessere, social prescribing e salute ambientale.
  5. Tavolo Digitalizzazione – esperienze ICT, ADI, intelligenza artificiale, FSE.

La distribuzione delle esperienze pervenute è stata la seguente:
Quello che ci ha colpito è che, come spesso accade, le esperienze italiane sono tante, significative, ma isolate, non validate, non divulgate. Il primo compito che ci siamo posti è la raccolta, la validazione e la divulgazione.

Con il supporto dei ricercatori del DiSSE è stato impostato un database tematico dinamico per riconoscere e classificare le parole chiave, che contiamo di ampliare nel tempo: anche a Convegno continuano a pervenire ulteriori esperienze che andranno ad arricchire il database creato.

Prospettive operative: verso linee guida nazionali Il percorso avviato punta ora alla redazione condivisa di raccomandazioni e linee guida nazionali sul social prescribing e sulle comunità proattive inclusive. Un obiettivo concreto del prossimo convegno, previsto per l’autunno, che coinvolgerà i partner già attivi e nuove adesioni istituzionali e associative.

Il lavoro in corso punta a integrare esperienze, buone pratiche, normative, atti aziendali e locali, per arrivare a un corpus operativo utile a tutti gli stakeholder del sistema salute, dalle Regioni alle Aziende sanitarie, dai MMG agli enti locali.

Silvia Scelsi,
Presidente Nazionale ASIQUAS, Presidente Nazionale ANIARTI, Responsabile Professioni Sanitarie Istituto “Gaslini” Genova,
Giorgio Banchieri, Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, Roma, Consulente LUISS Business School, Roma,
Laura Franceschetti,
Professore Associato, DiSSE, Università “Sapienza”, Roma,
Andrea Vannucci,
Membro CTS ASIQUAS, Docente DiSM, Università Siena, Membro CD Accademia di Medicina, Genova.

Riferimenti bibliografici

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  3. Banchieri G, L. Franceschetti, Vannucci A (a cura di) – Monografia di ASIQUAS Review 2025 su “Le comunità come alternative alla solitudine e supporto alla salute”, sul sito asiquas.net ;
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S. Scelsi, G. Banchieri, L. Franceschetti, A. Vannucci

29 Luglio 2025

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