Un Paese, il nostro, con l’assistenza sociosanitaria a zero nel quale la sanità diventa elemento politico divisivo solo sul tema del valore del finanziamento, ovverosia della rideterminazione annua, nella legge di bilancio, del Fondo sanitario nazionale. Così da più anni, tanto da divenire il simbolo della precarietà delle politiche sociali. L’unico tema in conflitto, tra chi governa e chi si oppone, è se l’impegno economico-finanziario deve essere maggiore in termini assoluti (più di sempre) ovvero se essere il maggiore in rapporto al Pil (che, invero, potrebbe anche essere più basso). Questo è il topic in conflictu politico, l’unico argomento di dibattito sulla sanità.
Tutto il resto è irresponsabilmente trascurato, perché a chi conta non è difficile trovare un posto letto ovvero avere “udienza” con i luminari del caso e accesso alle pratiche della diagnostica più avanzata. Quindi, le cose possono stare così come sono. Non occorre alcuna riforma strutturale per andare meglio (a chi soffre).
Anche in clima di metodologia finanziaria tutto fermo, inopinatamente, a 24 anni fa (2001). Nessuna delle due parti in competizione parlamentare accenna pretese di rideterminare il finanziamento nazionale e le modalità di calcolo del riparto alle Regioni e alla due Province autonome. Continuano entrambe a confliggere sul totale del FSN, quello abrogato nel 2000 dal d.lgs. 56 (art. 1), senza pretendere di trasformarlo in Fabbisogno standard nazionale costituito dal fabbisogno epidemiologico valorizzato a colpi di costi standard per ogni Lea.
A ben vedere, un modo di fare politica sociale strampalato. Nessuno si preoccupa di proporre i cambiamenti necessari.
Tutti d’accordo, per silenzio assenso, a che la Nazione sia costretta a sopportare l’inefficienza del Ssn e le diseconomie che produce. Nessuno decide di intervenire sul sistema della salute organizzato come un vecchio esercito allo sbando formato da circa trecento aziende sanitarie con a capo altrettanti direttori generali, espressione fiduciaria della politica che li nomina e li asservisce ai suoi voleri. Spesso capaci però si asservire la politica alla loro community di scopo. Il tutto con procedure preselettive, ove “vince” chi non dà prova di alcunché, se non di quattro carte di carriera guadagnate con l’asservimento storico e titoli di studio che non si rifiutano ad alcuno.
Un colpo di reni diventa, a questo punto, indispensabile! Ma da parte di tutta la politica, nessuna esclusa. Occorre una maggioranza costituita dall’unità nazionale, così come avvenne il 1978 con la legge nr. 833 che mandò a casa il Paese delle mutue e insediò in Servizio sanitario nazionale, garante delle uniformità assistenziale attraverso il passaggio da sistema di finanziamento contributivo a quello impositivo. In pratica, da quel momento chi ha reddito tassabile paga per chi non ce l’ha!
La fiducia, l’unica, risiede nella capacità tecnica del ministro, che si è occupato di sanità tutta la vita. Che riesca a mettere insieme tutti i parlamentari esperti in assistenza sociosanitaria (e ce ne sono!) per elaborare il progetto della svolta ineludibile.
Insomma, occorre una riforma quater proposta a firma multicolor, da sottoporre a consenso multiplo, con aspirazione a conseguire l’unanimità responsabile, difficile da far venire meno.
Una riforma che, comunque, rimetta la palla al centro della prevenzione. Una materia complessa che non può essere lasciata alla ignavia delle Regioni/Province Autonome, abituate a privilegiare le cose che si vedono rispetto a quelle che producono benessere nell’anonimato fisico. Il segmento da privilegiare nella generazione dello star bene che deve trovare, in una Agenzia Nazionale della Salute, il suo riferimento istituzionale. Un’Agenzia indispensabile e risolutiva per il benessere della Nazione dell’ovunque, e non già come quelle che si vedono in giro, che vada ad attrarre a sé anche le competenze dell’Istituto Superiore della Sanità!
Ettore Jorio