La sanità e il de profundis per tanti miei cittadini

La sanità e il de profundis per tanti miei cittadini

La sanità e il de profundis per tanti miei cittadini
Il sospetto è quello di volere incidere negativamente sulla domanda provenienti dalle Regioni più deboli e, quindi, con obbligo degli individui bisognosi di cercare una assistenza dignitosa altrove.

Una economia che prevale sui diritti, finanche cristallizzati nella Costituzione, rappresenta un odioso paradigma. È facile immaginare, con il suo progressivo divenire, la concretizzazione di una tragedia allorquando ad essere sottomesso è quello della tutela della salute, preteso dalla Carta costituzionale come esigibile indistintamente dall’individuo, prescindendo quindi dalla cittadinanza.

Regioni che fanno poco o nulla per garantirlo alla propria comunità, perché incapaci di gestioni accorte e di risolvere i problemi storici di bilancio. Regioni che, forti del loro patrimonio culturale e infrastrutturale, ne approfittano organizzando offerte di salute degne del suo nome con ricezioni dei familiari di accompagno che ne facilitano la domanda crescente. Ovviamente ad intercettarla conta prevalentemente la qualità delle prestazioni essenziali offerte, prioritariamente dalla rete degli IRCCS pubblici e privati.

In mezzo a queste due tipologie di Regioni, esiste un limbo che sopravvive in termini di immagine e di servizi che, tentano di recuperare nonostante tanti buchi neri nella storia e nell’attualità. Basti pensare alla Regione Lazio che – dopo essere uscita dal commissariamento ad acta nonostante i marchingegni (gravi e quasi miliardari) fatti emergere dalla Corte dei conti in sede di parificazione del rendiconto regionale del 2022 (delibera 148/2023/PARI) – pare che stia anche uscendo dal Piano di rientro (si veda qui). Un evento che parrebbe dimostrare la veridicità di un altro paradigma: oltre al danno anche la beffa. Ciò con buona pace della magistratura penale capitolina che, dopo una iniziativa che lasciava ben sperare per pervenire a verità e ad emersione di responsabilità, non lascia intravedere continuità alcuna.

Un evento “fantasioso” che unitamente a quello di bollinare l’art 3, comma 9, del Milleproroghe disciplinante la inconcepibile ricostruzione dei bilanci pubblici pregressi – imporrebbe una diversa declinazione sia dell’acronimo Mef che di quello della Rgs con un finale denso di ilarità.

Ritornando al tema iniziale, della assurda prevalenza – eccessivamente limitativa – della economia sui diritti essenziali per la vita delle persone, diventa preoccupante la disciplina dettata dai commi 319-321 della legge di bilancio per il 2025. Una opzione estensiva di quanto contenuto nell’art. 1, comma 492, della legge n. 178/2020, allora riferita agli accordi bilaterali tra le Regioni di confine, estesa oggi a tutte le Regioni per il governo della mobilità sanitaria interregionale.

Una scelta legislativa che francamente meraviglia e non poco gli assertori dei diritti inviolabili della persona. Ciò in quanto è segnatamente limitativa di due importati principi: il diritto all’assistenza sociosanitaria unica, inviolabile e collettiva, in quanto tale non differenziabile e non soggetta a limitazioni di sorta; il diritto alla libera scelta del cittadino della struttura e della professionalità cui il medesimo ritiene di affidare la propria salute psico-fisica.

Nondimeno, il decisum appare anche limitativo dell’autonomia regionale ad esercitare liberamente le proprie politiche di bilancio riferite al welfare assistenziale, con obbligo partecipativo da assicurare con proprie risorse e inasprimenti fiscali. Le stesse, infatti, con l’obbligo introdotto dal comma 319, sarebbero condizionate ad un esercizio negoziale bilaterale da perfezionarsi con le altre Regioni, alcune della quali palesemente interessate a fare proprie le risorse altrui destinate, sulla base dei quali negozi, di durata almeno biennale, distribuire la loro domanda sociale di assistenza, prescindendo dalla volontà degli utenti interessati.

Il sospetto è quello di volere incidere negativamente sulla domanda provenienti dalle Regioni più deboli e, quindi, con obbligo degli individui bisognosi di cercare una assistenza dignitosa altrove. Ciò senza pensare che una siffatta soluzione genera un ulteriore dramma: in assenza degli anzidetti negozi ovvero di esuberi delle cifre convenute, i cittadini di siffatte regioni deboli sarebbero costretti a curarsi nel peggio prossimo alla loro residenza. Quasi come erano costretti a fare gli indiani chiusi nelle loro riserve.

Immagino l’effetto di una tale negazione della mobilità passiva nella mia Calabria: il de profundis per tanti miei cittadini. Per quelli incapaci di organizzare le loro cure con proprie risorse. Sarebbe, o forse lo è da tempo, la fine dello Stato di diritto, finanche teorico.

Ettore Jorio

Ettore Jorio

24 Gennaio 2025

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