“Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra”, era il ritornello di una delle tante belle canzoni di Giorgio Gaber che ben si addice alla strana vicenda dell’ipotesi di passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia.
Vediamo perché:
– Un unico rapporto di lavoro dei medici dipendenti del SSN ere un obiettivo storico della sinistra e nel suo DNA tant’è che il compromesso tra i padri della riforma sanitaria nel 1978 fu che il rapporto dei medici di famiglia poteva essere sia di dipendenza che a convenzione, il termine di dipendenza veniva prima rispetto a quello a convenzione; la riforma Balduzzi delle cure primarie a fronte di un impianto di collaborazione istituzionalizzata non solo tra i medici di famiglia (AFT) ma anche interprofessionale (UCCP) sia con gli altri dirigenti medici e sanitari del SSN ma anche con tutti, nessuno escluso, i professionisti della salute sia le professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e la professione di ostetrica nonché la professione sociosanitaria di assistente sociale, accettò la modifica dell’art.48 della legge 833/78. Il rapporto di lavorò dei medici di famiglia restò esclusivamente di tipo convenzionale essendo regolato con accordi collettivi nazionali distinti dai contratti collettivi nazionali dei dirigenti medici, senza produrre effetti di rilievo ed infatti di questa riforma non mi pare che ci sia un bilancio di attuazione generalizzata e positiva;
– Nessun Governo ove fossero presenti partiti di sinistra o di centrosinistra neanche ipotizzò l’eventualità del passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia nonostante le richieste e le pressioni delle Regioni, che allora erano in maggioranza di centrosinistra e nonostante che il maggiore sindacato italiano, la CGIL, nelle cui stanze negli anni 60 e 70 era nato e sviluppato il pensiero di come realizzare la riforma sanitaria universale, pubblica e solidaristica, anche con il contributo determinante della sua rappresentanza di categoria, la FP-CGIL Medici, lo avesse teorizzato e rivendicato, ottenendo degli iniziali successi quali il passaggio alla dipendenza, a domanda, di specialisti convenzionati interni e medici della c.d. medicina dei servizi. Un risultato questo ottenuto grazie al lavoro dell’allora Ministro della Salute Rosy Bindi
– Il primo Governo di Destra-Centro che nell’immaginario collettivo avrebbe dovuto difendere e mantenere l’impianto convenzionale rispondendo ai richiami del maggiore sindacato della categoria e all’invasioni di campo della FNOMCeO (un ordine per legge non si può interessare di questioni sindacali) invece sta proponendo una riforma profonda non solo del rapporto di lavoro ma della stessa formazione post laurea dei medici di famiglia in modalità analoga agli attuali dirigenti medici del SSN, mentre i suoi Presidenti di Regione, ad iniziare da quello del Lazio non solo si esprimono a favore con dovizia di particolari ma ipotizzano anche lo spostamento di tutta la contrattazione per i professionisti sanitari presso il Ministero della Salute;
– Per il maggiore sindacato italiano, la CGIL, il passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia è un avamposto per la tutela e il rilancio della sanità pubblica;
– Per il maggiore sindacato di famiglia, la FIMMG, il passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia è il grimaldello per la privatizzazione della medicina di base, nuova terra di conquista per le assicurazioni private. Un assunto quest’ultimo privo di qualsiasi elemento che ne possa dimostrare la fondatezza
Riuscirà il Ministro Schillaci a portare a termine questa storica e profonda riforma delle cure primarie, che come insegnano gli Stati come quelli iberici che l’hanno realizzata e mantenuta con Governi di sinistra ha dato ottimi risultati e non intaccato il principio della libera scelta, nonostante che una delle componenti di maggioranza, Forza Italia, abbia già presentato una proposta di legge che invece mantiene lo status quo e che il solo sindacato di categoria che non solo è d’accordo ma è nel suo DNA costitutivo, sia la CGIL?
Riusciranno, invece, le forze politiche di sinistra a ritornare alle idee forza dell’impianto riformatore della legge 833/78 riaffermando la necessità che per essere più funzionale alla ricostruzione e potenziamento della medicina e della sanità territoriale sia sono solo funzionale ma strategico che i medici di famiglia siano soggetti protagonisti a tutti gli effetti e questo non si può che realizzare divenendo dirigenti medici come gli altri colleghi già dirigenti nei distretti e negli ospedali e come essi divenendo specialisti con un vero corso di formazione universitaria non con un corso regionale?
Ma, siccome la tutela e la promozione della salute individuale e collettiva è un diritto e un principio della nostra Costituzione e non è un concetto né di destra né di sinistra bensì universale, una riforma così profonda come il rapporto di lavoro dei medici di famiglia debba essere realizzato attraverso la comprensione, la condivisione e la concertazione tra tutte le forze politiche presenti in Parlamento riprendendo, attualizzandolo e contestualizzandolo lo spirito altamente riformatore che ha permesso alla quasi totalità degli eletti nella Camera e nel Senato di approvare la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale 23.12.1978 n.833.
Serve dunque in questo caso anteporre gli interessi generali a quelli di parte e adottare uno spirito costruttivo per uscire da una situazione drammatica in cui entro pochi anni milioni di cittadini resteranno totalmente privi di assistenza di base
Saverio Proia e Roberto Polillo