L’assistenza medica si conferma uno scoglio economico importante per gli italiani. Oltre 2 milioni di cittadini tra i 18 e i 74 anni (pari al 5,3% della popolazione) nel 2024 hanno rinviato visite mediche o cure dentistiche perché non potevano permettersele. E la situazione è ancora più grave tra chi soffre di malattie croniche, dove la percentuale sale al 9,2%. È quanto emerge dall’ultimo report dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), basato sui dati dell’Indagine PLUS.
Da un punto di vista geografico non emergono particolari differenze. Sembra, invece, discriminare la condizione occupazionale (figura 2), con una maggiore difficoltà nel sostenere i costi delle cure tra i pensionati (7,1%). Ma a parità di età, che è il principale fattore di rischio per il consumo di
prestazioni, si ha che i disoccupati hanno rischio del 45% più alto rispetto a chi lavora di posticipare le cure, così come chi ha un lavoro a tempo determinato o precario ha rispettivamente un rischio del 39% e del 14% rispetto a chi ha un lavoro a tempo indeterminato. Sul posticipo delle cure sembra incidere anche la ‘ricchezza’ familiare. Più il reddito mensile disponibile è basso, maggiore è la quota di famiglie che ha rimandato le cure: 9,3% per chi ha fino a 1.000 € di reddito netto mensile familiare e 8% tra 1.001 e 1.500 €, contro l’1,5% per le famiglie con un reddito oltre i 5.000 € netti mensili.
In questo contesto si inserisce il ricorso crescente a polizze sanitarie integrative, oggi sottoscritte da circa un terzo della popolazione, specialmente in ambito lavorativo. Sebbene le assicurazioni riducano parzialmente il rinvio delle cure, il loro impatto è disomogeneo: le coperture sono più diffuse tra lavoratori autonomi e nelle fasce d’età centrali, mentre restano limitate tra anziani e soggetti con patologie croniche. Il sistema assicurativo integrativo, sebbene utile, solleva criticità legate all’equità, alla trasparenza e al rischio di sovrapposizione con il Servizio Sanitario Nazionale. Ma le polizze sanitarie private aiutano, ma non risolvono il problema: t
ra chi non ha un’assicurazione sanitaria, il 5,3% rinvia le cure e tra chi ce l’ha, la quota scende al 3,3%.
Solo il 13,7% degli italiani possiede oggi una polizza sanitaria, mentre un altro 10,6% vorrebbe attivarla. Emergono forti differenze sociali: il 17,9% dei lavoratori ha un’assicurazione, contro appena il 4% di chi cerca lavoro; le polizze sono più diffuse tra gli autonomi (22%) che tra i dipendenti (17%); nelle famiglie con figli e redditi superiori a 5.000 euro al mese, la quota sale al 32,2%.
I rinvii riguardano soprattutto visite specialistiche ed esami diagnostici. Per le cure primarie, ospedaliere e farmaci, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) continua invece a garantire l’assistenza nella maggior parte dei casi. Facendo riferimento all’ultima prestazione sanitaria di cui si è usufruito un primo dato da evidenziare è relativo al fatto che il SSN arriva a garantire (in modo totale o attraverso il pagamento di un ticket) il 76% delle visite e il 79% degli accertamenti diagnostici. Di contro, oltre un quinto delle visite specialistiche (22%) e delle prestazioni diagnostiche (21%) è stato pagato privatamente: un terzo coperto in parte o interamente da una polizza sanitaria, mentre per due terzi il costo è stato sostenuto direttamente dai pazienti. Considerando chi ha fatto ricorso ad una polizza sanitaria, ha pagato e poi percepito un rimborso parziale o totale nel 39% delle visite specialistiche e nel 46% degli accertamenti diagnostici, mentre non ha pagato nulla il 61% di chi ha sostenuta una visita specialistica e il 54% di chi ha
fatto un accertamento diagnostico. Natale Forlani, Presidente INAPP, commenta: “Le polizze sanitarie possono rappresentare una alternativa ed un complemento per contribuire a ridurre i tempi di attesa e ad ampliare l’accesso a prestazioni non coperte dal SSN, offrendo maggiori tutele ai lavoratori che ne beneficiano tramite i contratti collettivi. È importante, però, garantire che l’assistenza integrativa continui a rafforzare e integrare il servizio pubblico, mantenendone la centralità e l’universalità”.